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La tradizione del silenzio

Toccare il silenzio, respirare il silenzio, camminare in solitudine lungo strade che sembrano infinite. Nell’oscurità della notte e nel pallore del giorno ognuno di noi può sentire tutta la pesantezza dei pensieri che ci avvolgono completamente. Alcuni di noi soffrono e provano angoscia dinnanzi al silenzio, altri godono della sua purezza. Ma è davvero possibile trovare consiglio nel silenzio? Perché lo temiamo? Perché lo amiamo? Il silenzio è tradizionalmente la comunicazione più efficace e contemporaneamente la più ambigua. Sono diversi i significati che è possibile attribuirgli.

Il silenzio del poeta porta con sé il mistero delle parole, il silenzio del filosofo il peso della riflessione ed ancora il silenzio del ricercatore che cerca e osserva è differente da quello di un bambino triste. Stefano Raimondi in Portatori di silenzio parla del rapporto speciale che ognuno di noi stabilisce con il silenzio. Il patto che stabiliamo sin da bambini quando decidiamo di non parlare e di ascoltare. Le sensazioni e le percezioni che si frappongono fra noi e il silenzio che diventa il suono più acuto e profondo della nostra vita, sempre presente e sempre assente. Il “luogo” del silenzio è uno spazio speciale in cui esistere a modo proprio.

 

Non lasciatemi solo con i miei pensieri!

Oggi sono in pochi ad apprezzare il suono del silenzio. Molte persone sono abituate ad essere continuamente stimolate da suoni, luci. Se provassimo a spegnere il telefono e ad entrate in contatto con i nostri pensieri potremmo fare grandi scoperte o perderci nei meandri della nostra mente. Il team di ricerca dell’Università della Virginia (Wilson et.al., 2014) ha reclutato 400 studenti e li ha sottoposti a meditazione solitaria. Dai risultati statistici è emerso che metà del campione ha valutato negativamente l’esperienza.  È stato chiesto secondariamente di svolgere il medesimo esercizio a casa propria e di meditare per 20 minuti in solitudine. I partecipanti hanno riferito di aver trascorso minuti terribili e alcuni di aver imbrogliato accendendo la radio o usando il telefonino nell’arco dei 20 minuti.

In un secondo momento a 55 dei partecipanti sono stati proposti tre stimoli piacevoli e tre dolorosi, fra cui anche una scossa elettrica.  Poi è stato chiesto loro se avessero pagato per far cessare le stimolazioni dolorose e 42 su 55 ha risposto affermativamente. Tuttavia nel momento in cui agli stessi è stato proposto di meditare per 15 minuti in silenzio, avendo a disposizione un dispositivo per infliggersi la scossa, il 67% dei maschi e il 25% delle femmine hanno preferito la stimolazione dolorosa al silenzio.

Questo esperimento ovviamente non deve condurci alla generalizzazione sulla difficoltà di gestire il silenzio ma tuttavia ci fa riflettere sull’importanza di dedicare almeno un piccolo spazio del nostro tempo quotidiano al silenzio interiore.

 

Mutismo selettivo, bambini troppo silenziosi

Quando il silenzio è troppo smette di essere funzionale. Un caso da non sottovalutare e che spesso passa in osservato è quello del mutismo selettivo che colpisce spesso i bambini. I sintomi non sempre vengono notati poiché scambiati per timidezza. Il mutismo selettivo consiste nell’incapacità del bambino di interagire normalmente nei contesti sociali nonostante l’assenza di scompensi cognitivi, ritardi e problematiche nello sviluppo linguistico. Il bambino infatti ha acquisito le normali capacità tipiche della sua età tuttavia a causa di un pervasivo stato emotivo ansiogeno ha sviluppato un blocco nella comunicazione in contesti che possono generare emozioni negative o di ansia in generale.

Un esempio è la scuola, il rapporto con gli insegnanti e con i pari risulta deficitario. Ciò che contraddistingue il mutismo selettivo dalla  timidezza è questa forte incapacità del bambino di parlare in luoghi pubblici o davanti ad estranei che si scontra invece con un comportamento aperto e sereno in contesti familiari. Il bambino a casa e con i suoi genitori potrebbe infatti essere un vero chiacchierone.

Il Mutismo Selettivo riguarda 7 bambini su 1000, nonostante l’incidenza sulla popolazione sia bassa e colpisce più le femmine. Solitamente l’esordio si verifica intorno ai 4 anni, ossia quando il bambino comincia a frequentare le scuole materne e ad entrare in contatto con persone al di fuori del nucleo familiare.  I bambini che soffrono di mutismo selettivo potrebbero anche sviluppare problematiche del linguaggio. Inoltre il contesto familiare è spesso connotato da problematiche relazionali e isolamento sociale.

 

Qualche consiglio

Mai forzare un bambino con mutismo selettivo,  accrescerebbe solo la sua ansia, piuttosto bisogna cercare di creare un momento e una modalità che faciliti la comunicazione. Non utilizzare il metodo dei rinforzi né positivi, come il regalare qualcosa in cambio delle parole né negativi, ad esempio le minacce. Il bambino non smette volontariamente di parlare ma nutre una profonda ansia che blocca il suo flusso di parole e rinforzarlo con premi o minacce significherebbe incrementare la sua ansia e il suo senso di colpa.

Il silenzio ha molti luoghi, ognuno di noi è libero di sceglierne uno e godersi il riposo alla ricerca dei significati più disparati. Se il silenzio fa male possiamo ascoltarlo a piccole dosi. Non ci sono regole da seguire ma solo qualche consiglio.

 

Riferimenti bibliografici

 

Timothy D. Wilson, David A. Reinhard, Erin C. Westgate, Daniel T. Gilbert, Nicole Ellerbeck, Cheryl Hahn, Casey L. Brown, Adi Shaked. Just think: The challenges of the disengaged mind. Science  04 Jul 2014: Vol. 345, Issue 6192, pp. 75-77, DOI: 10.1126/science.1250830

Stefano Raimondi  (2012). Portatori di silenzio. Mimesis.

Elisa Shipon-Blum (2010). Comprendere il mutismo selettivo. Guida per genitori, insegnanti e terapeuti

 

Valeria Saladino - Fondatore di Psicotypo

Psicologo clinico, psicoterapia ad approccio breve strategico, specializzato in scienze criminologiche, forensi e psicologia giuridica. Fondatore e Presidente di “Psicotypo Associazione per l’Informazione e l’Aggiornamento in Psicologia”. Dottore di ricerca e psicologo esperto ex articolo 80 presso la Casa Circondariale di Cassino. Studiosa della psicologia della devianza, in particolare del fenomeno dell’istituzionalizzazione e delle dinamiche psicologiche che costituiscono quest’ultimo, ha partecipato e coordinato interventi di valutazione e trattamento all’interno degli Istituti Penitenziari. Si è occupata inoltre di nuove dipendenze, gestendo il Behavioral Addictions Research Team, Centro di ricerca sulle dipendenze comportamentali. Oltre alla ricerca svolge attività di tutoring e consulenza per chi è interessato al settore della ricerca e alla costruzione di elaborati di tesi a carattere sperimentale.