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Senilità e invecchiamento

La senescenza è una fase della vita e fa parte dello sviluppo della persona. Dato che il numero di anziani è in aumento è bene garantire loro il benessere psico-fisico. Con tale termine, non si intende una totale assenza di malattie perché sarebbe impossibile, ma il miglior stato di salute che la persona possa avere anche con la malattia. Quindi questo vuol dire offrire servizi sia all’anziano che alla sua famiglia. L’ invecchiamento porta ad una comparsa di sintomi sia fisici che psicologici. Anche in assenza di deterioramento cognitivo la persona anziana perde anche delle funzioni cognitive oltre che fisiche. Chiaramente se è presente il deterioramento cognitivo, la perdita di queste funzioni è più marcata oltre che più rapida.

L’Alzheimer è una forma  di deterioramento cognitivo. Al giorno d’oggi non esiste una cura per questa patologia, comunque si può intervenire per “ostacolare” il decorso della patologia o per evitare che si presenti. Di fatti ciò che si fa è cercare di ritardare i sintomi. Invece, nel caso in cui, i sintomi si presentino si ha la possibilità di agire per ritardarne la comparsa di nuovi. L’aumento della vita media ci porta non solo ad interessarci degli anziani per migliorare la loro qualità di vita, ma ci spinge a prevenire e quindi a considerare le persone che non sono ancora anziane. Questo porta a studiare sempre più questa patologia e a cercare di individuare i fattori di rischio e di protezione.

Fattori di rischio

L’individuazione dei fattori di rischio è importante perché aumenta le possibilità di intervenire meglio su queste patologie ed anche di prevenirle. Uno dei primi fattori di rischio è rappresentato dall’età, in cui questa patologia esordisce. Solitamente,  la patologia appare tra i 65 ed i 70 anni; poi però vi sono casi, soprattutto quando è presente l’Alzheimer familiare (SAD) in cui l’esordio è più precoce, attorno ai 50 anni, anche se vi sono casi in cui potrebbe presentarsi a 40.

L’Alzheimer e in generale i deterioramenti cognitivi, sono più comuni nelle donne rispetto che negli uomini. Questo avviene perché nelle donne, per via della menopausa,  vi è uno scompenso ormonale. Quindi il sesso rappresenta un fattore di rischio, dato che queste patologie risentono dell’oscillazione ormonale (Imitiaz B. et al., 2017). Kryscio e colleghi hanno dimostrato che anche l’obesità rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo delle malattie metaboliche (Kryscio R.J. et al., 2013). In un altro studio è stato dimostrato che sia l’obesità che la presenza di diabete, aumentano il rischio di sviluppare l’ Alzheimer (Wolters  F.J. et al., 2017).

Si è visto che nelle persone affette da Alzheimer vi è una riduzione dei recettori nicotinici, quindi è stato ipotizzato che l’uso di nicotina potrebbe prevenire o ritardare la malattia (Mielke M.M. et al., 2014). Chiaramente è bene precisare che l’uso della sigaretta riduce la vita di almeno 6,6 anni. Inoltre il fumo in interazione con l’alcool aumenta il rischio di declino cognitivo (Hagger-Johnson G. et al., 2013).

Hollands S. e colleghi (2017) hanno dimostrato che le persone con sindrome di Down hanno più probabilità di sviluppare l’ Alzheimer. Questo avviene perché l’APP ossia il precursore del peptide B-amiloide si trova sul cromosoma 21 e chi ha la sindrome si Down ha un cromosoma 21 in più. La presenza di questi fattori non vuol dire sviluppare la patologia. Infatti, questi fattori rappresentano una vulnerabilità maggiore all’eventuale sviluppo della patologia e non una certezza. Chiaro che più fattori sono presenti più è probabile che si possa verificare, anche se comunque si devono considerare anche altri elementi.

Fattori di protezione

I fattori di protezione rappresentano quei fattori che contrastano il presentarsi dalla patologia. Chiaramente solo la presenza di questi fattori non basta per poter escludere che la patologia possa manifestarsi. Tuttavia mettere in atto dei comportamenti preventivi  sicuramente migliora la qualità della vita . Uno di questi fattori è un’ alta scolarità o comunque tutte quelle attività che attivano il cervello come la lettura.

Un ruolo importante viene ricoperto dall’ attività fisica, che aiuta sia il corpo che la mente. Si è visto che l’attività fisica previene l’esordio sia dell’Alzheimer che di altre patologie ed inoltre può contrastare la patologia qualora fosse in corso. Dannhauser e colleghi (2014), grazie al loro studio, hanno dimostrato proprio l’importanza dell’ attività fisica nei pazienti che già erano affetti da Alzheimer. Si è visto che chi pratica regolare attività fisica ha un’atrofia cerebrale che è minore rispetto a chi non la pratica.

Fondamentale è anche l’alimentazione, seguire la dieta mediterranea potrebbe ridurre la probabilità di sviluppare il deterioramento cognitivo (Singh et al.,2014). Questo tipo di alimentazione è caratterizzato da un elevato consumo di frutta, verdura, legumi, pesce, acidi grassi ( come l’olio d’oliva). Mentre è previsto un ridotto consumo di carne, formaggi, alcol e acidi grassi saturi. È importante anche il consumo di frutta secca, soprattutto quella oleosa (mandorle, noci o nocciole). Di fatti, questi frutti sono degli antiossidanti.

Consigli utili

L’Alzheimer, così come le altre forme di deterioramento cognitivo non possono non interessare tutta la popolazione. Sarebbe auspicabile tentare di aumentare i fattori protettivi e ridurre quelli di rischio e questo perché così facendo si riduce la possibilità di sviluppare l’Alzheimer e si aumenta la probabilità di invecchiare in salute.

Qualora la patologia sia già presente, si deve comunque cercare di ritardarla e migliorare la qualità di vita della persona e dei suoi familiati. Per fare un buon intervento, è necessario fare un buon assessment e questo richiede il coinvolgimento di più figure professionali. Per attuare un buon intervento cognitivo sarebbe auspicabile l’intervento di un esperto in neuropsicologia o quanto meno di uno psicologo. Proteggere il nostro cervello è importante ed è una responsabilità da non sottovalutare.

Scritto da Concetta Rametta, laureata in psicologia clinica, esperta in neuropsicologia clinica: età evolutiva, adulti ed anziani

 

Riferimenti bibliografici

Dannhauser T.M., Cleverley M., Whitifield T.J., Fletcher B.C., Stevens T., Walker Z., Acomplex multimodal activity intervention to reduce the risk of dementia in mila cognitive impairment-Thinkinfit pilot and feasibility study for a randomized controlled trial. 14:129. Doi:10.1186/1471-244X-14-129.

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Holland S., Lim Y.Y., Laws S.M.,Villemagne V.L., Pietrzak R.H., Harrington K., Porter T., Snyder  P., Ames D., Fowler C., Rainey-Smith S.R., Martins R. N., Salvado O., Robertson J., Rowe C.C., Masters C. L., Maruff P., APOEE4 genotype, amyloid, And clinical disease progression in cognitively normal older adults, 2017.

Imitiaz B., Taipale H., Tanskanen A., Tihonen M., Kivipelto M., Heikkinen A. M., Tihonen J., Soininen H., Hartikainen S, Tolppanen A.M., Risk of Alzheimer’s disease among users of postmenopausal hormone therapy: a nationwide case-control study, 2017. Doi:10.1016/j.maturitas.2017.01.002.

Kryscio R.J., Abner E.L., Shmitt F.A., Adjusting for mortality when identifyng risk factors for transitions to MCI and dementia,2013. Alzheimer Dis. 35 (4):823-32. Doi:10.3233/JAD-122146.

Mielke M.M., Weigand S.D., Wiste H.J., Vemuri P.,Machulda M.M., Knopman D.S., Lowe V., Roberts R.O., Kantarci K., Jack C.R. Jr, Petersen R.C., Independent comparison of CogState computerized testing and a standard cognitive battery with neuroimaging, 2014. DOI:10.1016/j.jalz.2014.09.001.

Rametta C. (2017). L’Alzheimer: una comune realtà. In Cabras E. & Saladino V. (a cura di). (2017). Psicotypo. Appunti di psicologia clinica. ISBN 9791220022422 Versione Ebook.

Singh B., Parsaik A.K., Mielke M.M., Erwin P.J., knopman D.S., Petersen R.C., Roberts R.O., Association of mediterranean diet with mild cognitive impairment and Alzheimer’s disease: a systematic review and meta-analysis. J. Alzheimers Dis. 39 (2).271-82. DOI:10.3233/JAD-130830.

Wolters F.J., Egan  K., Albanese A., Launer L.J., Egger M., Prince M.J., Giannakopoulos P.,  Body mass index in midlife and dementia: Systematic review and meta-regression analysis of 589,649 men and women followed in longitudinal studies, 2017. DOI: 10.1016/j.dadm.2017.05.007. eCollection 2017.