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Una panoramica sulla malattia 

Nei tempi odierni, il numero degli anziani è aumentato. Ciò si deve soprattutto al miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie. Questo porta sempre di più a sottolineare l’importanza della prevenzione non solo nell’aumentare la “quantità” ma anche la qualità di vita delle persone anziane. Oggi, i disturbi neurocognitivi, ossia quelli che un tempo venivano chiamate demenze, possono essere lievi o maggiori. Sono patologie ingravescenti che procedono lungo un continuum. È bene precisare che non vi è una cura. Tuttavia, è di fondamentale importanza individuare l’insorgenza per intervenire quanto prima.

La tempestività dell’intervento può anche ritardare la comparsa dei sintomi. È opportuno fare un buon assessment che ci consente di individuare non solo le difficoltà ma anche i punti di forza dei pazienti. Ritengo fondamentale inoltre, agire, soprattutto nelle fasi più avanzate, per modificare l’ambiente e quindi anche i caregiver. Il supporto ai parenti o ai significativi è importante perché migliora la relazione con l’ammalato e anche la sua salute. Si deve lavorare per individuare i fattori di rischio e i fattori protettivi importanti per far si che si ritardi la manifestazione della patologia stessa e qualora fosse già presente se ne rallenti la progressione.

 

Una breve descrizione

L’Alzheimer ci interessa sempre di più perché con il migliorare delle condizioni igienico sanitarie, aumenta anche il numero dei pazienti anziani. La probabilità di sviluppare questa patologia è dunque in aumento. Le caratteristiche cliniche patologiche e biomediche variano a seconda dell’età di insorgenza e di fatti può essere diagnosticato sia il tipo I che il tipo II.

L’Alzheimer di tipo I o SAD ha un’insorgenza media che si aggira intorno ai 70 anni ed ha un declino cognitivo meno grave. Si registrano inoltre meno alterazione biochimiche e strutturali. Mentre l’Alzheimer di tipo II o FAD, ossia quella ad insorgenza giovanile, è geneticamente codificato ed ha un’eziologia familiare.

L’Alzheimer è una patologia insidiosa e progressiva che comunque non porta alla morte che può comunque verificarsi per la comparsa di altre patologie che si possono riscontrati in casi di cachessia.  Questa patologia è caratterizzata da una perdita di neuroni in varie aree cerebrali. Tra queste vi sono i nuclei basali del telencefalo, l’ippocampo, l’amigdala, nella corteccia entorinale e le aree associative della corteccia cerebrale (temporali, frontali e parietali).

Dal punto di vista istopatologico le principali caratteristiche sono la presenza dell’accumulo di betamiloide, lo sviluppo dei grovigli neurofibrillari e la perdita dei neuroni.

 

Il ruolo dell’esperto in neuropsicologia

All’interno della stessa patologia si riscontra una notevole variabilità per cui è fondamentale una corretta valutazione. È auspicabile che ci sia una collaborazione tra medici, neurologi, psichiatri, fisioterapisti, infermieri e psicologi esperti in neuropsicologia. In questi casi il lavoro di equipe è fondamentale. È importante avere la collaborazione anche da parte dei familiari. Questi possono aiutare a far comprendere quali problemi accompagnano la persona nella vita di tutti i giorni. Attraverso l’indagine svolta dai professionisti si potrà realizzare un piano riabilitativo. Chiaramente questo non vuol dire guarigione ma, si accompagna il paziente e la famiglia all’evoluzione del disturbo.

Il piano d’intervento va creato ad hoc per ogni persona. Dunque è necessario fare un buon assessment. Con questo termine si intende non solo la valutazione formalizzata ma anche i vari colloqui con il paziente, i familiari e gli altri professionisti, l’osservazione e in alcuni casi anche i questionari. Non esiste una batteria di test che vada bene per tutti. In base alla persona che abbiamo davanti e le informazioni raccolte si può decidere il da farsi ed anche in base ai punteggi ottenuti nelle varie prove.

 

Cosa e come valutare

Spesso si corre il rischio di sopravvalutare le capacità della persona che si sentirà frustrata, arrabbiata. La sensazione di inadeguatezza potrebbe compromettere la relazione.  Un altro rischio è quello di sottovalutare il paziente che si potrebbe sentirsi poco rispettato e sminuito. Si può decidere di valutare formalmente solo le aree cognitive in cui la persona ha difficoltà. Tuttavia, è di fondamentale importanza rintracciare anche i punti di forza perché è grazie a questi che si potrà intervenire al meglio. È importante comunicare con l’anziano usando un tono di voce calmo e pacato e questo va detto anche alla famiglia.

Esistono molti interventi che si possono fare sia sulla persona che sulla famiglia ma tutto dipende dalla fase in cui il paziente si trova.

In entrambe le situazioni di rischio sovra citate, ossia sottovalutazione o sopravvalutazione del paziente, la persona si sentirà non compresa. Questo messaggio deve essere comunicato anche ai figli o comunque alle persone che si occupano del paziente. Quando il deterioramento è in una fase così avanzata da non poter intervenire su di lui, si può agire sull’ambiente. Si adatta l’ambiente per renderlo più funzionale alla persona.

 

Per concludere

Le conoscenze sul deterioramento cognitivo ed in particolare sull’Alzheimer sono aumentate, ma si possono ancora ampliare. È importante però agire per migliorare non solo la quantità della vita ma anche la qualità. Si deve incrementare la comunicazione tra professionisti e soprattutto tra famiglia e paziente. Deve esserci un’equipe che lavori in sinergia per il bene del paziente.

La figura dell’esperto in neuropsicologia è fondamentale non solo per la valutazione e la riabilitazione cognitiva ma anche per migliorare le relazioni della persona. Potrebbe riscontrarsi anche una deflessione del tono dell’umore che deve essere valutata. Tuttavia, è bene dire che può capitare che si parli di depressione quando in realtà è apatia. Di fatti l’apatia è fra i sintomi del deterioramento cognitivo, spetta al professionista fare questa distinzione. L’intervento riabilitativo è importante perché potrebbe evitare l’insorgenza dei sintomi o comunque ritardarne la comparsa. Questi interventi migliorano la vita della persona e sono efficaci quanto la terapia farmacologica quindi vanno usati.

Così come i familiari devono essere aiutati e supportati perché hanno difficoltà nell’accettazione della patologia che genera stress e incomprensioni. I familiari vanno guidati verso una comunicazione e un comportamento adeguato per prevenire problematiche sia dei pazienti che dei caregiver.

 

Riferimenti bibliografici

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Rametta C. (2017). L’Alzheimer: una comune realtà. In Cabras E. & Saladino V. (a cura di). (2017). Psicotypo. Appunti di psicologia clinica. ISBN 9791220022422 Versione Ebook

Scritto da Concetta Rametta, laureata in psicologia clinica, esperta in neuropsicologia clinica: età evolutiva, adulti ed anziani.