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Il telefonino come una protesi

L’impressione che si ha è proprio quella di vedere gli smartphone come una protesi, una volta letti i dati dell’indagine svolta dall’Associazione Di.Te. Utilizzando un piccolo, ma significativo campione di cinquecento persone. La ricerca è stata presentata a Roma, e si scopre che si sta diffondendo la Nomofobia. Sul dizionario Treccani la Nomofobia è così descritta: il terrore di rimanere privi del telefonino. Dove “nomo” è l’abbreviazione di “no mobile”, che i ricercatori britannici, dopo un sondaggio commissionato dal dipartimento per la telefonia delle Poste a YouGov, hanno dato al terrore di non essere raggiungibile al cellulare. Il 53% degli utenti inglesi intervistati ne soffre, con un a maggioranza degli uomini (58%) rispetto alle donne (48%).

L’indagine italiana, presentata a Roma, ha riscontrato anche la Fomo, ossia la paura di essere esclusi da qualcosa e il Vamping. Quest’ultimo è un fenomeno ben noto negli Stati Uniti, ma ha preso piede anche in Europa. I ragazzi vanno sui social network in piena notte, dandosi appuntamento con gli amici. Una volta collegati, chiacchierano tra di loro fino all’alba. Amano definirsi esseri notturni come i vampiri, che vagano nella rete. Ci sono poi tutta una serie di compulsioni legate all’utilizzo del proprio cellulare, ad esempio controllare di continuo le applicazioni di messaggistica. Scopriamo anche la nascita di sindromi multidimensionali: sindromi che portano a crearsi un’identità virtuale tramite i giochi di ruolo on line.

Risulta che il 51% dei giovani tra i 15- 20 anni hanno serie difficoltà a staccarsi dalle apparecchiature elettroniche per un certo lasso di tempo, stare tre ore senza cellulare diventa una pura utopia. I ragazzi controllano il proprio smartphone una media di 75 volte al giorno, e il 7% anche fino a 110 volte. Gli adulti, non vanno molto meglio. Il 49% delle persone oltre i 35 anni controlla il cellulare almeno 43 volte al giorno, e il 6% fino a 65 volte.

Dati che lasciano intuire come la chiusura sociale, l’inaridimento dei rapporti interpersonali, siano tra le conseguenze di questa dipendenza tecnologica. Lo ribadisce Giuseppe Lavenia, presidente dell’associazione che ha svolto questa ricerca, e rincara la dose arrivando a parlare di un processo di alienazione che può sfociare nell’Hikikimori.

Lo psicologo Stefano Galeazzi, responsabile della Cooperativa Vivere Verde Onlus, afferma che l’hikikimori è un termine giapponese dove viene catalogata una fascia di età compresa tra i 13 e i 35 anni di adolescenti e giovani adulti che vivono reclusi volontariamente nelle loro stanze. Un ritiro dal mondo reale, che prevede anche l’esclusione dei parenti più prossimi. Le pressioni della società moderna vengono percepite come sempre più insostenibili, e il processo di auto-esclusione sembra essere l’unica via possibile. In Italia non ci sono ancora numeri certi sul fenomeno. Dati non ufficiali parlano di un numero di giovani, che mostrano questo comportamento, compreso tra i 30000 e i 50000. Galeazzi, in collaborazione con l’Associazione Di. Te, ha predisposto il Servizio Diurno+. Un servizio dove si presta un’opera psico- educativa, e si tenta di fornire un intervento psicologico personalizzato per i giovani coinvolti e le loro famiglie.

I giovani di oggi faticano a gestire la noia

I giovani di oggi non riescono a tollerare la noia, sono impulsivi, abituati ad avere molti impegni extrascolastici. Un’infanzia che viene caricata di piccole, grandi responsabilità che possano gettare in uno stato di frustrazione. Il cellulare diventa sempre più momento di svago e connessione con qualcosa di diverso da quello che gli viene proposto dalle figure genitoriali . I piccoli vivono gli eventi con le emozioni, non sono adulti che applicano la parte cognitiva. E quindi un videogame regala svago, una sterile emozione di gioia, ma pur sempre qualcosa che allontana l’ansia da prestazione. E questo vale anche quando si immergono nei giochi interattivi o si confrontano nei social network con altri coetanei.

I giovani e i bambini, inoltre, percepiscono il futuro che li aspetta come qualcosa che non li riguarda, abituati come sono al qui ed ora. Un eterno presente, dove devono subito avere e subito dimostrare. Piccoli fenomeni che nella maggioranza dei casi non sono, ma spinti a crederlo dagli adulti che li circondano. Anche nelle scuole elementari si istituiscono gare sui verbi, la storia, la matematica, dove i bambini vengono esortati a primeggiare.

Lucio Dalla cantava, in Disperato erotico stomp: “L’impresa eccezionale è essere normale…” . Oggi siamo immersi in un stato di eccezionalità apparente foriera, molto spesso, di future disillusioni.