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In Gran Bretagna esiste il ministero della solitudine

In uno dei paesi più multiculturali del mondo, crea allarme sociale la solitudine.

Proprio così, nella nazione dove scorre il Tamigi, dove la monarchia ancora regala rituali da storie fiabesche e dove si sono insediate migliaia di etnie, il primo ministro Theresa May, la donna che ha dato il via alla Brexit, ha incaricato il ministro per lo Sport e la Società Civile, Tracey Crouch, di istituire un Ministero per la Solitudine. Il Governo della May ha preso in esame il rapporto della commissione Jo Cox, creata in onore della parlamentare laburista assassinata brutalmente, nel giugno 2016, da un nazionalista. L’uomo le contestava l’impegno sul fronte dell’accoglienza dei rifugiati siriani e la contrarietà all’uscita della Gran Bretagna dalla Comunità Europea.

La Cox, inoltre, si era spesa moltissimo nell’aiutare le persone più fragile, avendo riconosciuto portata endemica della solitudine nel suo Paese. La Crouch ha dichiarato di essere onorata nell’avere ricevuto tale incarico. Ha spiegato che collaborerà con associazioni umanitarie e istituti di statistica per capire le dinamiche dell’isolamento sociale, individuare i dati salienti del problema e attuare, così, un’adeguata strategia. Il primo ministro May ha tenuto a precisare di essere pronta, con il suo Governo, a erogare finanziamenti a gruppi e comunità che operano sul territorio, aiutando le fasce più deboli, dove le storie di emarginazione sono all’ordine del giorno.

La parlamentare conservatrice Seema Kennedy e la laburista Rachel Reeves, presiedono la commissione Jo Cox. Hanno collaborato, per oltre un anno, con vari enti di beneficenza per raccogliere dati sul problema della solitudine. Circa nove milioni di persone soffrono di questo male sociale. Circa due milioni di persone hanno oltre i 75 anni e hanno dichiarato di passare anche diverse settimane senza avere nessun tipo di relazione sociale. In questa spirale della solitudine non troviamo solo gli anziani ma anche i disabili, i disoccupati, i rifugiati, i genitori divorziati.

Jo Cox diceva spesso: “La solitudine non discrimina nessuno”

Sempre più soli in un mondo affollato

Parlare di solitudine significa affrontare, quando questa non la si vuole praticare per libera scelta, un disagio sociale. E questo disagio è causato da un diffuso senso di inadeguatezza della persona nei confronti del sistema sociale in cui si trova a vivere. Le conseguenze sulla salute psichica sono devastanti, legate ad uno stato di sofferenza permanente e relativa assenza di benessere.

La psicoterapeuta Luisa Laurelli elenca tre tipologie di disagio sociale:

Frustrazione da anomia: l’anomia è una condizione caratterizzata dall’assenza di precise norme sociali. E proprio questo causa smarrimento e angoscia, il dover rapportarsi con le norme sociali.

Solitudine: in questa accezione, la solitudine è conseguente alla mancanza di affetti, sostegno concreto e corretta acquisizione delle abilità sociali, saper comunicare, prendere decisioni, gestire i conflitti.

Timidezza: disagio e impaccio nell’interazione con l’altro.

La frustrazione da anomia, a sua volta, dà luogo a quattro differenti comportamenti:

Devianza: si sceglie di raggiungere gli obiettivi normativi rifiutando i mezzi legittimi.

Ribellione: rifiuto di mezzi e scopi socialmente leciti

Conformismo: debolezza e assenza di libertà per adeguarsi e raggiungere gli obiettivi sociali riconosciuti dalla comunità di appartenenza.

Ritualismo: si rispettano le norme senza condividerne gli scopi sociali.

La solitudine da origine ad una serie di sintomi, diversi tra loro. Questa diversità scaturisce, innanzitutto, dal tipo di isolamento preso in considerazione, ovvero se si parla di emarginazione sociale o individualismo estremo.

Nella timidezza, i sintomi più evidenti sono la ruminazione su situazioni di disagio e la tendenza a d isolarsi. Sono presenti, nell’individuo, frequenti pensieri aggressivi e autodistruttivi legati anche ad un senso di inferiorità e scarsa fiducia nei propri mezzi. Scarsa concentrazione e paralisi a livello cognitivo, sono sensazioni che il timido prova con frequenza. La timidezza si manifesta in due modi: con la sottomissione, quando il senso di inferiorità prevale nella psicologia dell’individuo. Con l’aggressività, mostrando spavalderia per nascondere le proprie insicurezze.

Quando il contesto sociale non è grado di proporre norme e valori condivisi e riconosciuti, il pensiero diventa debole, un senso di smarrimento accompagna l’agire delle persone. Senza la guida della società l’individuo è incapace di porre un limite alle proprie aspettative e desideri, e una volta di fronte all’impossibilità di realizzarli, cade in uno stato di frustrazione. Questo secondo la teoria del sociologo e antropologo Émile Durkheim.

La Laurelli espone anche la teoria del sociologo Merton: il disagio si crea grazie alla discrepanza tra gli scopi esistenziali formalmente promossi dalla società e i mezzi legittimi messi a disposizione dalla società stessa per conseguirli. Per combattere il disagio sociale si deve educare l’uomo a perseguire la ricerca della giusta strada, che conduce al benessere personale. Formare uno spirito critico che permetta di distinguere i propri comportamenti spontanei da quelli acquisiti e accettare l’errore, non viverlo sempre come un fallimento definitivo, ma come un percorso di crescita. Diventa prioritario educare nuovamente le persone alla solitudine, rendendola un’oasi dove si possa stabilire una vera connessione tra il proprio sé e gli altri. Una solitudine produttiva è la base di partenza per creare la propria autonomia, dove si distingue con chiarezza il proprio sé e l’altro.

La solitudine in Taxi Driver

Un esempio cinematografico della solitudine contemporanea è stato magistralmente fornito da Martin Scorsese e il suo “Taxi Driver”, il protagonista Travis Bickle, interpretato da Robert De Niro, da vita ad un personaggio solo in mezzo alla folla. Travis si sente rifiutato, senza possibilità d’appello, dal mondo che non gli permette di esprimersi, di relazionarsi (tanto da non riconoscere la bellezza di un rapporto con una donna interessata a lui) e risolvere sé stesso in maniera sana. Nel Regno Unito hanno preso coscienza del problema, grazie al riscontro di numeri vertiginosi. Lo studio delle cause e l’intervento promesso, concertando strategie con le associazioni che operano quotidianamente sul territorio, sembrano essere la giusta risposta ad un fenomeno che non riguarda solo la popolazione oltre Manica. L’istituzione del ministero della solitudine dovrebbe essere presa in considerazione anche in Italia, e non solo, dove casi di cronaca legati all’emarginazione sociale sono all’ordine del giorno.

Scritto da Davide Testa, blogger e articolista

Foto di Fabiano Asciolla