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Siamo tutti esseri speciali?

Sul vocabolario della Treccani, alla voce Mediocrità si può leggere: condizione media; stato di ciò che è o si tiene ugualmente distante dai due limiti estremi. In un’epoca dove tutti sono definiti esseri speciali, sentirsi dire di essere mediocri è come ricevere uno schiaffo nel bel mezzo della notte, mentre si dorme. Molti vivono le proprie giornate con l’affanno di non essere compresi, di prestare il proprio lavoro per cause insignificanti. Tuttavia, pensare che il mondo possa essere abitato solo da esseri speciali ne annullerebbe il concetto stesso.

Saremmo tutti equidistanti, ma solo a un livello più alto. Questo, ovviamente, non è veritiero e nel corso della vita, se si è muniti di sufficiente spirito critico, si apprende sulla propria pelle. In questo contesto non si vogliono fornire dei parametri per capire se si è in possesso delle qualità superiori, ma avviare una piccola riflessione sulle conseguenze di una mediocrità vissuta inconsapevolmente. E in merito a questo, l’intervista fatta al filosofo canadese Alain Deneault dal quotidiano “La Stampa”, si presta ottimamente allo scopo. Con il saggio “La mediocrazia” il filosofo espone un lucido pensiero sulla struttura che ha assunto la società moderna.

 

Benvenuti nella mediocrazia

Nell’intervista a Deneault a cura di S.R. Voza capiamo che il suo pensiero spazia dalla politica, al mondo del lavoro, dall’impiego che è fatto del proprio tempo libero. In politica descrive leader sterili. Uomini che inebriano con visioni nuove, di emancipazione dal giogo di un’economia asfissiante e proclamano vere e proprie rivoluzioni culturali. Una volta al comando si posizionano, parole del filosofo, all’“estremo centro”. Fa l’esempio del premier greco Tsipras, il quale aveva promesso vere e proprie barricate contro le richieste della UE. Una volta eletto, è andato a Bruxelles e si è trovato ad accettare tutti i diktat imposti dalla Comunità Europea. Ci parla di “religione del brand”, del “consumatore credente” per arrivare alla “dittatura del buonumore”.

Quello che colpisce è anche il suo concetto di tic verbali nel mondo della comunicazione, sia essa privata o sociale: “stare al gioco”, “essere imprenditori di se stessi”, “sapersi vendere”. Modi di dire, che sono interiorizzati come verità assolute, senza porsi dubbi o chiedersi se appartengano al proprio modo di essere, incanalandosi in percorsi mentali altamente standardizzati. Tutto questo è il terreno dove si coltiva quello che il filosofo chiama mediocrazia.

Alla domanda sul perché bisogna temere la mediocrazia, la risposta è illuminante: “Perché fa soffrire. Chiede a persone impegnate nel servizio pubblico di gestire come fosse un’organizzazione privata, così si trovano in conflitto perché avevano un’etica diversa; chiede a ingegneri di progettare oggetti che si rompano in maniera deliberata perché vengano sostituiti, chiede ai medici di diagnosticare malattie che potrebbero diventare davvero pericolose a 130 anni… Senza parlare della manipolazione dei consumatori da parte del marketing”.

In un altro straccio afferma che la mediocrazia è perversa perché cerca di dissolvere l’autorità nelle persone facendo in modo che la interiorizzino e si comportino come fosse una volontà loro. Accusa l’omologazione della lingua, l’inglese manageriale sterile e privo di slanci. Ponendo l’accento anche sull’utilizzo del web e dei social in particolare. E a tutto questo l’unico antidoto, secondo Deneault, è il pensiero critico, l’unica arma che può scalfire le ideologie consumistiche che caratterizzano questo millennio.

 

Le depressioni reattive

E rimanere equidistanti diventa un modo di essere anche nei sentimenti. Una società sempre più edonistica, con i giovani intrappolati nel nichilismo, come ci ricorda Umberto Galimberti nel suo saggio “L’ospite inquietante. Il nichilismo nei giovani”, che porta ad avere pensieri sterili, senza l’intenzione di porsi domande che possano scardinare l’inferno, spesso inconsapevole, di una vita passata su percorsi prestabiliti da altri.

Il rischio è di tuffarsi in rapporti legati a liturgie che non appartengono al proprio modo di essere. La comunicazione sempre più blanda, tartassata dal contatto senza sosta con il mondo (il cellulare sempre tra le mani), inaridisce il pensiero critico, annulla l’idea fuori dagli schemi. E gli affetti rimangono basici creando individualità da catena di montaggio. Inoltre la crisi economica di questi ultimi dieci anni, che ha colpito il mondo, ha indebolito gli stili di vita della maggioranza, evidenziando ancora di più le fragilità strutturali di personalità che non si sono adeguatamente risolte nel corso della propria esistenza. E uno degli effetti che ne possono scaturire non può che essere la depressione.

Eugenio Borgna, psichiatra e scrittore, descrive in modo chiaro e preciso le varie tipologie di depressione. Nel suo scritto “L’inquietudine dell’uomo moderno”, ci ricorda che esistono tre diverse forme depressive: la depressione esistenziale, la depressione psicotica (detta anche endogena) e la depressione reattiva, cioè motivata da un evento. Depressioni reattive che colpiscono sempre più; grazie ad una crisi sociale e personale si amplificano eventi traumatizzanti, come la perdita del lavoro, l’impossibilità di provvedere adeguatamente ai propri familiari, la perdita degli affetti a causa di un divorzio. La cronaca degli ultimi anni è piena di queste drammatiche notizie, con fabbriche che chiudono, il problema abitativo nei grandi centri urbani o l’immigrazione selvaggia. Un mondo sempre più incerto dove il culto della mediocrazia è inadeguato poiché peggiora uno stato emotivo di partenza già sofferente.

Il Dottor Borgna evidenzia anche l’approssimazione con cui è curata la depressione reattiva, con la prescrizione indiscriminata, soprattutto da parte dei medici di base, di psicofarmaci. Borgna precisa che i farmaci antidepressivi hanno ragione d’essere nell’ambito delle depressioni psicotiche e non in quello delle depressioni reattive, dove si ha bisogno di altre strategie terapeutiche, come ad esempio la psicoterapia. Prendere consapevolezza dei propri limiti è un passaggio fondamentale nella propria esistenza, così da potersi applicare dove meglio si riesce e perseguire obiettivi alla propria portata. Raggiungere uno scopo fa sempre bene al proprio Io. Perché i primi cui si deve dimostrare qualcosa è a Sé stessi, non affannandosi alla ricerca del nevrotico consenso dell’altro. Raggiunto questo equilibrio si potrà, con serenità, offrirsi al prossimo affettivamente in una relazione appagante e appassionante, o nel mondo del lavoro attraverso un’essenziale realizzazione personale così come nella socialità in tutte le sue manifestazioni. Tutto ciò affrontando con strumenti adeguati le difficoltà presenti nella propria vita.

 

 

Riferimenti bibliografici

Deneault A. (2017). La mediocrazia. VI: Neri Pozza.

Galimberti U. (2007). L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani. RM: Feltrinelli.