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Mentire col corpo, segni e segnali

La comunicazione non verbale

Prima ancora che gli uomini sviluppassero il linguaggio, riuscivano a comprendersi tramite la comunicazione non verbale. Essa comprende un insieme eterogeneo di fenomeni che riguardano la mimica facciale, i gesti, lo sguardo, la postura e anche l’abbigliamento.

La comunicazione non verbale coinvolge i circuiti nervosi deputati all’attivazione e al controllo dei movimenti, ovvero sia il sistema piramidale che extrapiramidale. Questi due sistemi agiscono in modo sincrono e coordinato, facilitando o inibendo l’attività dei motoneuroni che eseguono i movimenti. La comunicazione non verbale è soggetta a differenti forme di controllo: esistono gesti involontari, come la dilatazione della pupilla in risposta ad una variazione di luce, ma anche quelli volontari, come salutare una persona da lontano con la mano. La variabilità nella consapevolezza e nel controllo porta molti a credere che la comunicazione non verbale sia spontanea, meno soggetta al controllo volontario e per questo rivelatrice dei reali stati d’animo o delle intenzioni dell’individuo.

Ekman e le espressioni emotive

Fu Darwin (1872) il primo a sostenere che le espressioni facciali fossero un esito della selezione naturale, e per questo innate e universali. Ma soltanto con Ekman (1972) e la diffusione della teoria dei programmi affettivi, la convinzione che le espressioni facciali fossero universali prese piede. In linea con questa teoria le mimiche facciali consentirebbero di esprimere in modo inequivocabile le cosiddette 6 emozioni di base: gioia, collera, paura, tristezza, disgusto e sorpresa. L’espressione rappresenta la manifestazione immediata e istintiva dell’emozione esperita in quanto prodotta da programmi neuromotori unici e diversi.

Nello stesso anno Ekman ribadì l’universalità delle espressioni emotive, ammettendo però anche che, nella loro manifestazione, subentrano delle differenze culturali: esistono delle regole, delle tecniche di gestione, che sono il risultato di un apprendimento culturale. Ekman quindi affermò che in una certa situazione gli individui potrebbero essere genuini, e quindi mostrare l’emozione che stanno provando; potrebbero accentuarla oppure attenuarla; potrebbero sopprimerla e non esplicitarla proprio; potrebbero camuffarla palesando un’emozione diversa da quella esperita; o infine potrebbero simularla quando non la provano. Le espressioni, quindi, possono essere genuine, ovvero involontarie e non intenzionali, oppure false, ovvero volontarie e intenzionali.

Analisi del volto

Nel 1987 Ekman e Friesen hanno elaborato il Facial Action Coding System (FACS): un complesso sistema di codifica e di elaborazione dei micromovimenti facciali. In base al modello, il viso veicola informazioni in basa a 4 classi di segnali:
– i segnali statici comprendono le informazioni che coinvolgono tratti relativamente permanenti del viso;
– i segnali lenti comprendono i cambiamenti dettati dal passare del tempo, come le rughe;
– i segnali artificiali contemplano le informazioni fornite da elementi esterni al viso, come occhiali o interventi di chirurgia estetica;
– i segnali rapidi, infine, rappresentano le vere e proprie espressioni poiché sono determinati da attività neuromuscolari.

Quest’ultima classe di segnali è quella che maggiormente ha interessato gli studiosi. Ekman e Friesen hanno preso in cosiderazione 44 Unità d’Azione (Action Units) che possono dare vita ad un numero indefinito di espressioni facciali. Il FACS rappresenta un sistema di elaborazione puramente descrittivo e quindi non mira a fornire un significato interpretativo alle Unità d’Azione che caratterizzano una determinata espressione.

Menzogna e comunicazione non verbale

La menzogna non è un errore, ovvero sostenere involontariamente il falso per ignoranza; né tantomeno una finzione, che avviene quando l’individuo non vuole ingannare, anzi desidera che l’interlocutore scopra la falsità del suo messaggio. Affinché si possa parlare di menzogna, devono presentarsi simultaneamente 3 condizioni:
– falsità del contenuto;
– consapevolezza di affermare il falso;
– intenzione di ingannare l’interlocutore.

Anolli (2003) definisce la menzogna come “la trasmissione intenzionale di conoscenze ritenute non vere a un altro in modo che quest’ultimo assuma credenze false sulla realtà dei fatti”. Scopo principale della comunicazione menzognera è quello di fornire all’interlocutore una rappresentazione fuorviante della situazione. Per raggiugere tale scopo è necessario che il parlante rispetti la regola della sincerità (Searle, 1969): deve far credere al destinatario che crede in ciò che sta affermando e anche che quello che dice è ciò che crede.

Utilizzare questo tipo di comunicazione è impegnativo sia a livello cognitivo che emotivo, eppure è un fenomeno piuttosto diffuso nella quotidianità. Vrij (2008) sostiene che la menzogna sia accompagnata da una riduzione dei gesti illustratori delle mani e dei movimenti delle gambe, da un aumento della frequenza e della durata delle pause con conseguente rallentamento della velocità del parlato, da un incremento del tempo di latenza nelle risposte e da un innalzamento del tono della voce. Su quest’ultimo aspetto Anolli e Ciceri (1997) affermano però che i mentitori abili, a dispetto di quelli ingenui, riescono a mantenere un tono della voce uguale sia quando dicono il vero che quando mentono.

Paul Ekman e il Dr. Cal Lightman

Samuel Baum ha deciso di rendere omaggio agli studi di Ekman e Friesen, elaborando una conosciuta serie tv chiamata “Lie to me”. Il protagonista, il Dr. Cal Lightman, è un analista delle espressioni facciali e del linguaggio del corpo che utilizza queste personali abilità per aiutare la polizia locale a risolvere casi particolarmente complessi.

Nel tentativo di rappresentare televisivamente i risultati derivanti da un’analisi complessa come quella delle espressioni facciali, il processo e il risultato vengono amplificati e resi accattivanti per lo spettatore che si avvicina alla serie tv. È anche vero che Ekman ha strutturato un programma per addestrarsi a riconoscere le Unità d’Azione che potrebbe facilitare il mascheramento di una menzogna quindi, forse, la serie tv non è poi così distante dalla realtà.

Scritto da Federica de Lillis, Dott.ssa in Psicologia dello sviluppo tipico e atipico presso Facoltà di Medicina e Psicologa La Sapienza

 

Riferimenti bibliografici

Anolli L. (2003), “Mentire”, Bologna, Il Mulino

Anolli L. (2012), “Fondamenti di psicologia della comunicazione”, Bologna, Il Mulino

Ekman, P., Friesen, W.V. (1978), “The Facial Action Coding System”, Palo Alto, Consulting Psychologists Press

Santrock J.W. (2013), “Psicologia dello sviluppo”, McGraw – Hill Education