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Il fascino di Ofelia

Decantata come una delle scene di morte più poeticamente scritte in letteratura, la morte di Ofelia ha attratto innumerevoli artisti che si sono cimentati nella sua rappresentazione. Nell’ “Amleto” di William Shakespeare Ofelia è figlia di Polonio, ciambellano alla corte di Elsinore, capitale della Danimarca. Legata sentimentalmente al principe Amleto, la giovane perde la ragione quando scopre che il padre è morto per mano del suo amato, il quale aveva precedentemente rinnegato il suo amore (in realtà si trattava di un grande malinteso). Ofelia, “la più infelice e derelitta delle donne” (Amleto, monologo di Ofelia, Atto III, scena I), cade nel fiume mentre intreccia ghirlande di fiori. Incapace di intendere il pericolo che sta correndo, la giovane si lascia cullare dall’acqua cantando dolci melodie, fino ad annegare. È stato supposto che Shakespeare abbia tratto ispirazione da Katherine Hamlett, una giovane di Stratford, sua città natale, annegata accidentalmente nel fiume Avon nel 1579.

Ofelia si è affermata nei secoli come una figura poetica indimenticabile, diventando uno dei personaggi più indagati e più raffigurati dei mondi shakespeariani. Non solo artisti, ma anche poeti e cantautori sono stati conquistati dalla giovane folle d’amore e vittima degli eventi, che ha ispirato canzoni e poesie. Si pensi alla “Ophélie” di Arthur Rimbaud scritta nel 1870, dove il poeta mette da parte la follia, si concentra sulla sua tristezza e il suo dolore implacabile, che investono la natura circostante, partecipe della condizione di Ofelia. Esattamente un secolo dopo Francesco Guccini, ispirato dalla sua “dolce pazzia”, compone Ofelia. Anche la psicologia si è interessata al personaggio: nell’Ottocento gli psichiatri l’hanno usata come caso di studio per l’isteria e per l’allontanamento dalla realtà nell’adolescenza sessualmente turbolenta. Nel 1994 Mary Pipher ha pubblicato “Reviving Ophelia: Saving the Selves of Adolescent Girls dove Ofelia è assunta come un modello negativo che rimanda all’adolescente autodistruttiva.

Il volto di Ofelia

Forse sono stati gli artisti ad aver subito maggiormente il fascino di questo personaggio. Nel repertorio infinito di opere ne sono state scelte solo tre, due dipinti e un marmo, per raccontare il volto che è stato dato a Ofelia nell’immaginario artistico. Tra il 1851 e il 1852 John Everett Millais dà vita all’Ophelia, un dipinto che segnerà fortemente l’immaginazione collettiva. Ofelia che giace sull’acqua come una sirena, tenuta a galla grazie al vestito che aprendosi riesce per un po’ a sostenerla, è egregiamente tradotta in immagine da Millais. Il corpo sospeso è incorniciato dalla vegetazione e da splendidi fiori, alcuni citati dall’autore stesso altri aggiunti dal pittore, condividendo con Shakespeare la curiosità per il simbolismo floreale.

E. Millais, Ophelia, 1851-52

Particolare Ofelia

 

 

 

 

 

 

Sarah Bernhardt (1844-1923), attrice teatrale e valida scultrice, scolpisce The death of Ophelia, una lastra di marmo dalla quale emerge in alto rilievo il busto della giovane. I capelli ondulati si confondono con le increspature dell’acqua del fiume, che accarezza il corpo delicato. Il viso modellato di Ofelia è carico di pathos e capace di suscitare una forte empatia nell’osservatore. L’attrazione per il volto che ha esalato l’ultimo respiro è portata all’estremo, effetto dovuto probabilmente alla tridimensionalità dell’opera, ma soprattutto alla resa sublime impressa dalla scultrice. Di tutt’altra natura è la Testa di Ofelia pazza (1865), uno studio preparatorio di Michele Rapisardi per la grande tela Ofelia pazza. L’incarnato delicato, i lineamenti delicati sono fortemente contrastati dalla chioma scura che si accorda all’inquietudine che si sprigiona dagli occhi della giovane. Quello che può essere definito come lo sguardo più ipnotico della storia dell’arte italiana trasmette un forte senso di disagio, ma nell’osservatore. Siamo lontani dal disagio psichico del personaggio della tragedia: nessuno struggimento si legge negli occhi di questa Ofelia dallo sguardo forte, quasi di sfida, che non lascia trasparire alcuna fragilità. Questa Ofelia è una donna determinata e sicura di sé.

Bernhardt, The death of Ophelia, s.d.

Rapisardi, Testa di Ofelia pazza, 1865

L’incanto per il dramma

Nell’ “Amleto” Ofelia appare in poche scene e recita poche battute. Il suo essere appena accennata incuriosisce e ha provocato il bisogno di delinearle meglio i tratti. Così come il momento cruciale del personaggio, la sua fine, ha continuamente affascinato sebbene Shakespeare non abbia messo in scena l’episodio: il fatto non è rappresentato sul palco, ma è reso noto per bocca di Gertrude. Ma perché ci sentiamo così tanto attratti da questa giovane donna? L’osservatore dell’opera di Millais si scopre ipnotizzato dal suo dolore, che appare così dolce, e dalla bellezza della sua morte: la fanciulla infelice si è congedata da questa vita cosparsa di fiori colorati, cullata dall’acqua che si muoveva in armonia con i suoi canti melodiosi.

La dolce Ofelia ha perso la ragione non per una messa in scena, non per la logica di un intrigo come invece ha fatto Amleto. La sua psiche ha ceduto, perché troppo fragile. Fragile come i fiori che raccoglie e intreccia in ghirlande negli ultimi istanti della sua vita. Amleto in una battuta recita «fragilità, il tuo nome è donna» (Amleto, Atto I, scena II), ma il termine ha un’accezione assolutamente dispregiativa. In una visione del tutto misogina, scatenata in Amleto dall’unione della madre con lo zio dopo la morte del padre, la donna è un essere debole. Si pensi al quadro di Rapisardi, Ofelia ha lo sguardo fermo, determinato e forte, ma è giustificato dal disturbo che si è impadronito della sua mente. E oggi ha preso ancora più corpo il dubbio che è stato insinuato dai personaggi della tragedia: Ofelia è morta suicida o è stata vittima del fato? È questo che i visitatori della Tate Gallery, del Castello Ursino di Catania cercano di carpire dai volti di Ofelia e siamo certi che ognuno a suo modo riesca a trovare la propria risposta.

 

Riferimenti bibliografici

Shakespeare, W. (1603). The Tragedy of Hamlet, Prince of Denmark (trad. it. Amleto, Feltrinelli, Milano, 2013)

(2001) Millais. Novara: De Agostini

 

Immagini

E. Millais, Ophelia, 1851-52

Particolare dell’opera di Millais

Bernhardt, The death of Ophelia, s.d.

Rapisardi, Testa di Ofelia pazza, 1865