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Cosa sono i centri antiviolenza

I centri antiviolenza sono enti pubblici regolamentati dai Comuni in cui convergono storie diverse ma che hanno tutte un unico comune denominatore: la violenza di genere. Essa è trasversale ad ogni classe sociale e ad ogni cultura: non c’è un profilo standard di uomo violento né tantomeno è possibile individuare un target di donne particolarmente inclini a subirla e quindi non sussiste nessuna diagnosi di psicopatologia. I centri antiviolenza nascono da un’elaborazione del movimento femminista degli anni ’70 che ritiene la violenza di genere un fenomeno di carattere sociale e culturale.

La nostra cultura è patriarcale. Da sempre gli uomini hanno fatto proprio lo spazio pubblico, emarginando le donne in quello privato, considerandole una loro proprietà. I centri antiviolenza sono spazi progettati unicamente per le donne che si determinano ad uscire dalla violenza e nei quali avviene, a volte, con un cambiamento radicale uno svelamento di dinamiche relazionali nella coppia non alla pari, primo passo verso la soluzione. Non sempre purtroppo.

All’interno dei centri antiviolenza cooperano diverse figure professionali: assistenti sociali, psicologhe, educatrici e avvocate con l’unico intento di far sentire ogni donna accolta e sostenuta in un processo di elaborazione lungo e doloroso. L’obiettivo principale, grazie ad una relazione di fiducia, è quello di sostenere la donna e i minori, se presenti, e di fornirgli uno spazio proprio in cui poter parlare di violenza subita o assistita. La metodologia seguita nei centri antiviolenza è integrata poiché coinvolge molteplici servizi che devono esser coordinati per supportare la donna.

 

Centri Antiviolenza e Case Rifugio

Negli ultimi anni i centri antiviolenza, CAV, sono stati distinti dalle case rifugio, CR, in cui vengono ospitate, anche a dormire, donne che attraversano un momento di particolare pericolosità per la propria vita. Le operatrici che vi lavorano giornalmente ascoltano con empatia frammenti di storie da cui poi prenderà il via un percorso di sostegno e supporto. In genere il primo contatto è telefonico e può avvenire anche attraverso organi istituzionali quali servizi sociali o forze dell’ordine. Dopo il contatto telefonico viene fissato un primo colloquio che consente alla donna di raccontare più dettagliatamente il suo vissuto e qualsiasi altra cosa voglia condividere. Durante i colloqui si struttura il percorso di uscita dalla violenza che meglio si adatta alla situazione in questione e si elabora il vissuto di violenza, ridistribuendo ruoli e responsabilità.

Le donne sentono un forte senso di colpa, soprattutto nei confronti dei figli quando presenti, per esser rimaste in una relazione violenta per diverso tempo. Fin da subito è importante capire il sentimento che lega la donna all’uomo e comprendere come le svalutazioni subìte  e interiorizzate non le abbiano concesso di sentirsi forte abbastanza da allontanarsi da lui e da quella relazione. E’ un intervento di carattere relazione e psicosociale, non terapeutico, che consiste in una serie di colloqui a cadenza periodica e di durata variabile in base alle esigenze della donna. Dopo alcuni colloqui, e su richiesta della donna accolta, è possibile fornire un sostegno anche a livello legale dato che in seguito alla denuncia si avvia un procedimento penale, e in presenza di minori, viene coinvolto anche il tribunale civile. Questo iniziale percorso di conoscenza consente alle operatrici di valutare la pericolosità della situazione e di offrire, in assenza di soluzioni alternative e con un alto livello di rischio, una sistemazione temporanea alla donna e al minore che decidono di allontanarsi da un uomo violento.

 

 La difficoltà di parlarne

La reazione della società quando si parla di violenza è di allontanamento. La maggior parte delle persone non vuole ascoltare e preferisce convincersi che determinate dinamiche non esistano, che appartengano ad altri tempi. Le donne, nei rari casi in cui riescano a comunicare le loro problematiche e difficoltà, non trovano sostegno e supporto nei loro amici e parenti bensì negazione e distanza.

Lenore Walker (1979) sostiene esista una spirale della violenza che prevede intimidazioni, isolamento, svalorizzazione, segregazione, aggressione fisica e/o sessuale, false riappacificazioni e infine ricatto dei figli. Colei che è vittima di un uomo violento non riceve immediatamente uno schiaffo poiché esso è il segno ultimo e visibile di un processo iniziato molto prima con insinuazioni, intimidazioni, e allontanamento dal gruppo di amici e parenti della stessa. Le donne si ritrovano isolate senza nessuno a cui rivolgersi, convinte che le promesse di cambiamento da parte dell’uomo che amano, siano sincere e reali. Finché non succede qualcosa e l’uomo torna ad esser violento.

 

Donne coraggiose e in rinascita

A partire dai frammenti dei racconti delle donne che trovano il coraggio di rivolgersi ad estranee, nonostante i propri amici e familiari non le abbiano dato aiuto, inizia un processo di rinascita e autoaffermazione. Alcuni colloqui sono difficili per il carico emotivo che comportano, altri sono frustranti poiché le donne hanno normalizzato la violenza e i maltrattamenti subìti e non riescono a uscirne o a comprenderne la gravità. Osservare la difficoltà e la reticenza con cui espongono ciò che hanno vissuto, o stanno vivendo; donne coraggiosamente timide che cercano sostegno e comprensione e che affermano di sentirsi più forti anche dopo pochi colloqui perché hanno trovato un luogo in cui non si ha timore di parlare di violenza.

Parlare di ciò che logora dentro aiuta a controllare la situazione in cui viviamo, esternare i propri sentimenti e poterne parlare con persone competenti ed empatiche, è il primo passo verso l’autoderminazione. Durante i colloqui le donne accolte crescono e maturano una propria determinazione poiché hanno trovato un posto proprio, tutto loro, in cui è possibile parlare di uno degli ultimi tabù dell’era postmoderna. Ma il vero spettacolo che avviene in queste strutture è il cambiamento delle donne e dei minori ospiti: vederle rinascere giorno dopo giorno, riacquistare una propria serenità e ricominciare a vivere, senza più dover condividere niente con uomini violenti.

Come afferma Diego Cugia:
“Più dei tramonti, più del volo di un uccello, la cosa meravigliosa in assoluto è una donna in rinascita.
Quando si rimette in piedi dopo la catastrofe, dopo la caduta.
Che uno dice: è finita.
No, non è mai finita per una donna.
Una donna si rialza sempre, anche quando non ci crede, anche se non vuole”.

 

Scritto da Federica de Lillis, Dott.ssa in Psicologia dello sviluppo tipico e atipico presso Facoltà di Medicina e Psicologa La Sapienza

 

Riferimenti bibliografici

Agnes N. O’Connell; Nancy Felipe Russo. Women in Psychology: A Bio-bibliographic Sourcebook. Greenwood Publishing Group; 1 January 1990.

Woods, J Breaking the cycle of abuse and abusing: Individual psychotherapy for juvenile sex Clinical Child Psychology and Psychiatry, Vol. 2, No. 3, 379-392 (1997).