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Divorzi famosi: basta maxi assegno

In uno dei divorzi più famosi di questo decennio esce una sentenza che fa storia. I giudici della corte d’appello di Milano, applicando il principio riconosciuto dalla Cassazione nella sentenza Grilli- Lowenstein, hanno deciso che non conta il tenore di vita. Nel presente caso, quindi Silvio Berlusconi non sarà più tenuto a versare, alla ex-moglie Veronica Lario, l’assegno mensile di 1.400.000 euro. Inoltre, la signora Lario dovrà restituire le somme percepite dal 2014. Il caso cui si sono rifatti i giudici riguarda l’ex ministro dell’Economia Vittorio Grilli, al quale è stato riconosciuto il diritto a non mantenere la moglie poiché economicamente autonoma.

Disparità

È così scardinato uno dei motivi che porta molti uomini sul lastrico, in nome del mantenimento, dopo una causa di divorzio. Certo non è il caso del milionario Berlusconi e del facoltoso Grilli, ma queste sentenze, forse, porteranno nuovi equilibri nelle separazioni, dando nuove prospettive agli uomini anche come padri. Già, come padri, perché un uomo con un lavoro dallo stipendio normale, non ha la possibilità di portare i figli a prendere neanche una pizza, una volta andato via di casa. Nel mondo di oggi è diventato sempre più complicato per l’uomo trovare un’identità ben definita, confusa tra mille modelli di riferimento. Modelli che non si trovano più dentro la famiglia, ma sono trasmessi dall’esterno. Oggi la società richiede un consumismo sfrenato, e questo ha comportato, e sta comportando, cambiamenti radicali nello stile di vita di molti, non risparmiando, forse colpendo più duramente, dei padri.

Il papà separato

Che l’uomo moderno viva cambiamenti destabilizzanti, sembra fuori discussione: la precarietà del lavoro, l’affermazione della donna, la tecnologia sempre più invasiva in ogni contesto della vita. E l’interpretazione che Lacan ha fatto sulla figura del padre può aiutare nel tracciare nuovi percorsi, o ridisegnare i vecchi. Soprattutto per i padri separati, figure ancor più deboli e in difficoltà, quasi sconfitti, nel voler e poter rappresentare il giusto riferimento per i figli e contrastati, in questo, in alcuni casi da madri oppositive. Prendendo spunto dall’evento del divorzio, per rimanere in tema, comunicare con forza ai figli che il fallimento fa parte dell’essenza dell’uomo. Perdere, perdersi, sbagliare allenta la tensione verso il godimento assoluto che la società moderna fornisce cannibalizzando il desiderio, rendendolo sempre accessibile.

L’evaporazione del padre

Nella società di oggi, come già evidenziato, gli uomini sono sempre più deboli, disorientati, non riescono ad essere un riferimento per i figli e quando sopraggiunge un divorzio, in molti casi, lo smarrimento diventa l’unica strada percorribile. Jacques Lacan parlava dell’evaporazione del padre; la figura paterna è ridotta a semplice connotazione biologica, confondendola sempre di più e deferendola da quella psicologica, emotiva e simbolica. Per Lacan il modello materno è “fusionale” rappresenta il nucleo familiare nel suo guscio, il padre deve rappresentare il distacco guidare i figli a rendersi autonomi rispetto alla famiglia di origine, e diventare un adulto. Massimo Recalcati ne parla nel suo libro “Cosa resta del padre?”, dove si esaminano i mutamenti sociali che hanno portato il padre a mancare alla sua funzione di distacco dal legame materno. Un distacco necessario per trovare senso nella vita con l’altro, imparare che il piacere si annida nel desiderio.

Oggi questo viene meno, poiché l’individuo non da più importanza al desiderio e si prodiga per l’immediata “consumazione” della propria esistenza. E il sistema economico attuale, diventato planetario, alimenta il tutto, creando stili di vita da bramare: il lavoro, il giusto vestiario, la vettura da guidare, il giusto modo come passare il tempo libero. Niente è più legato al limite di un desiderio, alle leggi che lo regolamentano. Nel libro di Massimo Recalcati apprendiamo che serve un processo d’individuazione per comprendere il desiderio, e poi spostare le forze desideranti inaccettabili verso l’oggetto accettabile e accettato. La mancanza di questo processo annulla il desiderio.

Gli effetti collaterali della tecnologia

Il padre risulta essere figura sempre più marginale, e in questo processo di destrutturazione la tecnologia sembra svolgere un ruolo di non secondaria importanza. Avanza inarrestabile, sempre più intelligente, non ci sostituisce più solo nei lavori meccanici; ci sono algoritmi cognitivi che rendono i robot in grado di apprendere, software che sostituiranno, e hanno già sostituito, l’uomo in molti lavori. Basti pensare che oggi con un’applicazione sul nostro cellulare espletiamo operazioni bancarie che prima si potevano fare esclusivamente in filiale. Con un’App possiamo sapere tutto dell’andamento scolastico dei nostri figli, sbrigare incombenze amministrative. Possiamo rendere tecnologicamente autonome le nostre case; programmare robot per le pulizie, programmare, anche a distanza, la lavatrice, la lavastoviglie, il riscaldamento. Ci sono droni che vigilano dall’alto, macchinari in grado di eseguire operazioni chirurgiche. A Pisa, l’Istituto Superiore Sant’Anna ha brevettato un robot che aiuta gli anziani a prendere le medicine durante il giorno, che le ritira in farmacia, un robot domestico insomma.

Un mondo sempre più autonomo dalla fallibilità umana. L’automazione annienta lo spirito critico, elimina la voglia di scoprire, giacché tutto è fornito prima che sia stato richiesto. Le figure di riferimento all’interno di una famiglia servono sempre meno come fonte di risposte su ciò che fa mondo, e il padre in tutto questo è la vittima sacrificale (oltre ai bambini ai quali è chiesto, di conseguenza, di crescere in fretta). Spogliato della sua principale funzione di testimone di vita per i figli, di legge che regolamenta il desiderio.

C’è quindi un padre che evapora, alienato dalle sue funzioni principali a causa delle rivoluzioni culturali e anche grazie ad una tecnologia che sembra avere le risposte per tutto, la quale aiuta a consumare le esigenze primarie e anche il piacere. E in questo quadro desolante la sentenza Grilli-Lowestein prima, e Berlusconi-Lario dopo, può avere una diversa chiave di lettura: riconoscere agli ex mariti una possibilità in più per ricostruirsi una vita, può essere un buon punto di partenza. Dopo aver fatto i conti con il fallimento, non rimanere prigionieri dello sbaglio, perché costretti a pagare assegni di mantenimento troppo salati. Il padre deve tornare a dimostrare al figlio che dopo aver toccato il fondo si può tornare a vivere.

 

Scritto da Davide Testa, blogger e articolista

 

Fonti di riferimento

Recalcati M. (2017). Cosa resta del padre? La paternità dell’epoca ipermoderna. TO: Cortina Raffaello.