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Cos’è l’effetto spotlight

L’effetto riflettore (o effetto spotlight) si riferisce alla tendenza comune a sovrastimare le proprie caratteristiche, soprattutto esteriori, nella convinzione che gli altri le notino con particolare attenzione (Brown & Stopia, 2006). La sensazione è proprio quella di avere un riflettore puntato addosso, messo ad illuminare i difetti e a portare lo sguardo altrui a notare in particolar modo ciò che ci mette in imbarazzo. In realtà il riflettore è molto meno illuminato di quanto si pensi. Ognuno fa della propria mente, dei propri pensieri e delle proprie sensazioni la misura di riferimento delle proprie esperienze. Di conseguenza tendiamo a percepire come particolarmente importanti le caratteristiche che ci riguardano direttamente, piuttosto che quelle altrui. Erroneamente, rischiamo di dare per scontato che ciò che è saliente per noi lo sia anche per gli altri.

È stato dimostrato che l’effetto spotlight è particolarmente marcato nelle persone con ansia sociale. Chi soffre di questo tipo di fobia, infatti, ha sviluppato dei pensieri e delle credenze su di sé molto rigide e negative, che li porta ad avere standard elevati e rigorosi sulle proprie performance con, come conseguenza, un elevato timore di fallire e di non riuscire a colpire positivamente gli altri, garantendosi una buona reputazione (Brown & Stopia, 2006).

 

La scoperta dell’effetto spotlight

Dopo aver intuito l’esistenza dell’effetto spotlight, un team di ricercatori condusse diverse ricerche per verificarne il funzionamento (Gilovitch et al., 2000). Essi fecero indossare ad un gruppo di partecipanti all’esperimento una t-shirt ritenuta imbarazzante. Li fecero poi entrare in una stanza affollata e, dopo una breve permanenza, chiesero loro di enumerare quante persone avessero notato, a loro avviso, il capo indossato. Il numero da loro dichiarato venne poi confrontato con quello delle persone che effettivamente avevano notato la maglietta bizzarra: i risultati dimostrarono che l’effetto spotlight portava i partecipanti a sovrastimare il numero di persone che avevano fatto caso all’abbigliamento imbarazzante.

Gli stessi ricercatori condussero poi un altro studio per verificare se questo tipo di effetto fosse presente anche in situazioni non ritenute imbarazzanti, come quando si cambia taglio di capelli o si indossa un abito nuovo. Per fare questo venne chiesto ai partecipanti di indossare una t-shirt raffigurante un personaggio famoso, che li avrebbe fatti sentire a loro agio nell’indossarla. Vennero fatti entrare, come nell’esperimento precedente, in una stanza con altre persone e, allo stesso modo, venne loro chiesto di indicare quante di queste, secondo loro, si fossero accorte di quale personaggio fosse raffigurato sulla t-shirt. Lo studio dimostrò che l’effetto spotlight si verifica anche in situazioni non necessariamente negative: anche questo esperimento dimostrò una sovrastima delle persone che, secondo i partecipanti, avevano effettivamente notato quale personaggio fosse rappresentato sulla t-shirt (Gilovitch et al., 2000).

 

Ridurre l’effetto spotlight

Gilovitch condusse assieme al suo team un ulteriore studio, per verificare se l’effetto spotlight fosse soggetto ad un calo di intensità col passare del tempo. Una serie di partecipanti, a cui fu fatta indossare una t-shirt imbarazzante, venne divisa in due gruppi. Il primo entrò immediatamente in una stanza dove si trovavano altre persone. Il secondo fu fatto entrare più tardi. I ricercatori scoprirono che l’effetto spotlight era meno presente nelle persone che venivano fatte entrare nella stanza dopo un certo periodo di tempo. Di questo secondo gruppo, infatti, il numero di soggetti che sovrastimavano l’attenzione che le persone presenti nella stanza avevano posto al loro modo di vestire era inferiore rispetto a quelli fatti entrare nella stanza nell’immediato.

Questo risultato è molto importante, perché ci dimostra che, se ci viene dato il tempo di distrarci o di abituarci, la luce del riflettore si affievolisce e il giudizio degli altri nei nostri confronti spaventa meno. Nella quotidianità può rivelarsi utile provare a replicare, su scala ridotta, gli esperimenti qui descritti. Concedendosi volontariamente di mettere alla prova l’attenzione altrui a dettagli che si considerano imbarazzanti (come può essere l’indossare qualcosa di stravagante, o dire una frase sconclusionata), si potrà verificare in prima persona che il riflettore non illumina tanto quanto si teme.

 

Scritto dalla Dr.ssa Vanessa Pergher – Psicologa

 

Riferimenti bibliografici

Brown, M.A. & Stopa, L. (2007). The spotlight effect and the illusion of transparency in social anxiety, Journal of Anxiety Disorders 21, 804–819

Gilovitch, T., Medvec, V. H., & Savitsky, K. (2000). The Spotlight Effect in Social Judgment: An Egocentric Bias in Estimates of the Salience of One’s Own Actions and Appearance, Journal of Personality and Social Psychology, 78(2), 211-222