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Progetto Alice

Intervista a Silvio Palermo, Associazione MADE IN JAIL

Come è nata l’Associazione?

L’associazione MADE in JAIL nasce negli anni ’80 dentro l’area omogenea per la dissociazione del terrorismo; nasce perché, oltre ad aver rivisitato le scelte politiche legate agli anni ’70, scelte che hanno portato una generazione intera alle armi come unico strumento per combattere la forza politica, si sentiva il bisogno di allontanarsi, all’interno dell’area omogenea di Rebibbia, da qualsiasi forma di violenza politica organizzata. All’interno di questi spazi dell’area omogenea, i detenuti, fra cui me, chiedevano con grande forza la possibilità di avere dei contatti con l’esterno, come una maggiore attenzione all’affettività, attraverso la rimozione del vetro divisorio durante i colloqui con i familiari oppure degli spazi di socialità dove potersi esprimere attraverso la musica, l’arte e la lettura. Così, un gruppo di reclusi di Rebibbia, decide per la prima volta in Italia, di organizzare il proprio percorso di reinserimento e di prospettiva lavorativa in forma culturale ed artistica prima della fine della detenzione. Infatti, ad esempio, ricevevamo moltissimi libri dalle case editrici, libri che per difetti di produzione non potevano essere venduti, giungevano a noi in carcere e ci siamo trovati ad arricchire la biblioteca di Rebibbia.

Insieme alla lettura, molte delle nostre richieste riguardavano la serigrafia, che negli anni ’70 era legata più che altro alla produzione dei manifesti politici. Noi avemmo la fortuna di incontrare tante persone provenienti dal giornale “Il Manifesto” e, quindi, creammo così le magliette con scritto “Meglio Liberi” che questo giornale vendeva e con i ricavati potevamo permetterci di pagare gli avvocati per difenderci nei processi.

Una volta finita la mia pena, ho avuto la fortuna di incontrare l’allora Direttore del Carcere Minorile di Casal del Marmo, che ha proposto a me e agli altri che come me erano appassionati di serigrafia, di andare ad insegnare le tecniche serigrafiche al minorile. Questa per noi è stata una grande possibilità, perché eravamo appena usciti dal carcere ed il nostro futuro era incerto, quindi grazie a questa occasione il periodo post-carcere, a volte così drammatico, non l’ho vissuto perché avevo immediatamente un’occupazione, anche se a livello di volontariato. Il nostro unico ricavo era quello dovuto alla vendita delle magliette prodotte dai ragazzi del minorile.

Questa prima esperienza pienamente realizzata, ha aperto una nuova prospettiva di reinserimento per migliaia di detenuti ed ex detenuti. Da quel giorno sono passati 35 anni ed ancora continuiamo a collaborare con gli Istituti penitenziari. Credo che la nostra marcia in più sia quella di poter comprendere le condizioni dei detenuti perché, avendole noi vissute per primi, riusciamo a capire quali sono le loro difficoltà in situazioni di reclusione. Riteniamo che sia fondamentale, soprattutto in carcere, qualsiasi intervento di tipo culturale, soprattutto la scolarizzazione, anche ai fini dello sviluppo della creatività, che sembra non entrare nulla con la serigrafia, ma grazie al proprio ingegno è possibile creare un marchio, dei disegni ed avere sempre nuove idee per produrre. La soddisfazione più grande, oltre a quella di insegnare ai detenuti un mestiere e permettergli un reinserimento sociale e lavorativo più agevole, è stata vedere come molti di loro sono riusciti ad aprire autonomamente delle serigrafie.

Quale è lo scopo che ancora oggi vi porta a continuare questa attività?

L’associazione MADE in JAIL ha il preciso intento di reinserire i detenuti nella società attraverso lo strumento della formazione in serigrafia: la realizzazione di stampe, loghi, immagini tipiche delle subculture quali quelle carcerarie o metropolitane. Per oltre 30 anni ha organizzato corsi di formazione in serigrafia in vari istituti penitenziari, il minorile di Casal del Marmo, la Terza Casa Circondariale di Rebibbia, il minorile di Quartuccio a Cagliari, Villa Andreini a La Spezia e al Giudiziario G8 di Rebibbia.

Vantiamo la partecipazione a diverse mostre d’arte quali Enzimi (Roma), centro Alliende (La Spezia) Melbourne (Australia) Centre Pompidou (Parigi) Modena, Torino, Castiglione del Lago (Perugia), Treviso, Villa Durazzo Bombrini (Genova), museo di arte contemporanea di Roma MAXXI. L’associazione Made in Jail ha dato vita ad un vero e proprio laboratorio artigianale permanente presso la terza casa circondariale ICATT (Istituto a Custodia Attenuata Tossicodipendenti) di Rebibbia. Il laboratorio funziona da circa 20 anni ed è gestito dal personale di MADE in JAIL a titolo di volontariato.

L’obiettivo del laboratorio è coinvolgere i detenuti incoraggiandoli alla formazione culturale, motivandoli al lavoro facendo emergere anche le loro qualità artistiche. Un processo indirizzato alla riconquista della dignità sociale e culturale attraverso il lavoro visto come strumento principe nel migliorare la qualità della vita e nell’offrire opportunità concrete di reinserimento. Le tecniche utilizzate per la realizzazione delle opere sono varie: spray art, scultura (materiali di recupero) pittura e serigrafie.

Che cosa vorresti dire a chi si vorrebbe avvicinare o si sta avvicinando a questa arte?

Vorrei dargli un consiglio, che è quello di avvicinarsi alla lettura. Leggete tanto, perché la lettura apre la mente più di qualsiasi altra attività. Nonostante le difficoltà che ci possono essere in carcere, soprattutto dovute ai limiti nei tempi di apprendimento, perché l’apprendimento di cui si può usufruire in carcere è molto più limitato rispetto a ciò a cui si può attingere fuori, ma anche dovuti ai problemi di concentrazione che si possono riscontrare in una situazione di deprivazione della libertà e degli affetti, è importante provarci e coltivare giorno dopo giorno le proprie passioni ed i propri piccoli momenti di evasione.

 

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