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Età evolutiva

La ricerca dell’imperfezione, una storia di balbuzie 

Voglio raccontarvi la mia storia

Questa intervista nasce dalla richiesta di un utente che vuole restare anonimo,  è la storia di una persona che ha avuto il coraggio di accettarsi e che ha quindi educato gli altri a fare lo stesso…

 Buonasera, sono […] una ragazza di 26 anni laureata in psicologia clinica, ma questa è solo l’informazione che si dà quando qualcuno ti chiede chi sei e tu, presa un pò dal panico dici solo ciò che la società vorrebbe sentirsi rispondere. Ammiro enormemente il vostro lavoro, e stimo lo scopo di questa rivista, la realtà umana. Vi scrivo perché  vorrei contribuire in qualche modo a questo scopo per me fondamentale. La mia storia è di una ragazza che sin da piccola si è sentita fuori luogo per la sua balbuzie, problema che in Italia viene considerato una “particolarità di coloro che poverini si emozionano in pubblico”, dopo anni di corsi per il linguaggio che ti insegnano a non essere te stessa, sono arrivata ad essere la persona fluente che la società vuole che sia. Sono felice? Non direi, e vorrei far capire a tutti coloro che soffrono di questo problema l’importanza di avere la forza di dire io balbetto e questa sono io.  Perdonate la testimonianza magari inappropriata per la vostra rivista o per le tematiche affrontate ma ho a cuore il poter comunicare questo messaggio al mondo e vi ho pensato perfette per questo.

 

Io ti chiederei di raccontarmi liberamente ciò che vuoi condividere della tua storia

Innanzi tutto io faccio la psicologa. La mia storia parte da quando ero piccolina, all’età di sei anni, insomma anche perché la balbuzie fino ai sei anni non è molto diagnosticata e quindi te ne accorgevi quando facevi delle letture in classe oppure magari dovevi parlare in classe. Io non ho molti ricordi rispetto a quei tempi… ricordo solo un episodio in particolare di quando facevo le elementari e… e dovevo leggere e in quel frangente lì la maestra mi ha detto che leggevo male, ma avendo 5 anni tu non è che capisci molto che cosa significa leggi male, oppure l’imperativo di leggere in modo migliore, quindi per me quell’episodio lì è stato un po’ una conferma della mia confusione rispetto alle mie abilità di quell’epoca. Per tutte le scuole elementari il disturbo è continuato ma a quell’età non ti rendi conto, per cui anche se lo facevo non ho dei ricordi molto vividi. Invece alle scuole medie ho iniziato a fare dei paragoni, perché la mia abilità era nulla, perché poi hai un’ansia espressiva e pensi sempre che quella cosa lì non la sai fare. E poi “quella parola lì non la so dire, e quella lettera li non so dire e poi quella frase li non la so dire…” quindi diventa una montagna di “non so fare quella cosa” una montagna difficile da valicare. Le scuole medie sono state un’agonia perché comunque io vedevo i miei compagni che si esponevano liberamente. Io avevo il terrore di andare a scuola e mi fingevo malata. Insomma tutte queste cose che a quell’epoca non capivo neanche bene come affrontare perché la balbuzie è un argomento molto fatto passare in sordina. Di questa cosa c’è vergogna perché è una cosa che non sai fare rispetto agli altri. In vista dell’esame di terza media i miei genitori hanno iniziato ad informarsi su dei corsi per il miglioramento del linguaggio. Da piccolina avevo fatto logopedia, ma insomma logopedia è molto riduttiva rispetto a questo disturbo che va a prendere tantissime aree della qualità di vita. Chi balbetta non ha nessun difetto all’apparato fonologico , la logopedia interviene sulla corretta produzione dei suoni che non è sbagliato ma, nella balbuzie incidono tante aree come l’area psicologica e cognitiva. In Italia ci sono delle scuole che attenzionano i disturbi del linguaggio, sono degli ex balbuzienti che hanno un loro metodo e lo insegnano. Ricordo che c’è una settimana che è un bombardamento di esercizi continuativi e di prove in un ambiente esterno, ad esempio andare a chiedere un cappuccino al bar, fare un’interrogazione controllata.

Tu lo chiami giustamente “bombardamento” quindi mi pare che per te sia stato pò come andare in guerra

Ma per tutti, noi che abbiamo questo disturbo tendiamo a non fare per la paura, quindi arrivi ad un punto in cui la maggior parte delle cose che tutti fanno tu non le fai. Ti parlo di piccole cose. Io per anni non ho chiesto un cappuccino al bar perché non mi usciva la “c” di “cappuccino”, quindi per anni io non ho bevuto il cappuccino ma ho bevuto il succo alla pesca e a me la pesca fa schifo. Comunque fatto questo corso io parlavo molto fluentemente in realtà, poi mi sono messa alla prova e ho fatto tante cose di cui non credevo di essere capace. Quel corso lì si basava sulla respirazione perché chi soffre di balbuzie tende a non buttare fuori l’aria, non usa il diaframma e se siamo in una situazione di ansia il respiro si blocca, non fluisce più e in quel caso quel corso lavorava su questo. Dopo il corso non avevo più la paura ma se qualcosa andava male avevo sempre l’idea che non ero abbastanza brava e che non meritavo di avere un bel voto. Il voto che mi veniva dato, per me era indifferente se non riuscivo a parlare bene. Comunque per me il fatto di aver dovuto frequentare un corso per parlare come parlano gli altri era indicativo che non andavo bene. Dopo ho continuato ad allenarmi con continui esercizi a casa.  Con l’Università invece è peggiorato tutto. Avevo il terrore, mi sono laureata in tempo in psicologia ma è stato uno strazio.

Qual era la difficoltà più grande che avevi nello studio?

Agli orali, per me era come andare al patibolo, già da mesi prima immaginavo la mia incapacità in quella situazione. Il tuo studio è finalizzato a comunicare che sai quell’argomento. Non ero soddisfatta del modo in cui esponevo. Quando sei cosi insoddisfatta questa va ad intaccare tante aree, come quella sociale. Io ho sempre avuto tantissimi amici ma quando capitano queste situazioni ti isoli, tendi a non uscire, pensi di non meritare una cena fuori o un semplice svago o premio. Quindi alla fine della triennale ho deciso di andare all’estero per un po’ di mesi a perfezionare la lingua. Mi sono buttata e con un po’ di difficoltà sono rimasta tre mesi e sono tornata per fare i test della specialistica.

Ti sei messa alla prova…

Io ricordo che ci sono stati anche degli insegnanti che mi hanno detto “se è questo quello che riesci a fare, lascia perdere”. Con questo disturbo incontri molti ostacoli e se hai forza di volontà questi ostacoli diventano la tua forza. Se invece è un momento difficile possono essere la tua fine perché ti limiti in tutto.

In tutto questo tempo, in tutti questi anni, in cui hai dovuto lottare per essere te stessa c ‘è stato qualcuno che ti è stato particolarmente vicino?

La mia famiglia mi ha sempre incoraggiato e mi ha dato la forza di andare avanti. È stato anche il mio carattere e la mia forza di volontà, il mio voler far vedere che anche con questo disturbo nella vita puoi fare qualsiasi cosa. In modo diverso, in realtà in modo diverso perché ora non mi spaventa quasi più nulla. Il messaggio che io volevo darvi è che è importante diagnosticare la balbuzie ma anche sostenere, il punto è il non cercare la perfezione.

Tu hai detto che ti sei resa conto che ciò che hai fatto con i corsi ti ha portato a cambiare te stessa, mentre non era il cercare la perfezione nel linguaggio il tuo obiettivo

Si non era questo il punto. Il migliorarsi è una cosa bellissima, la guarigione dalla balbuzie è una cosa possibile ma è una caratterista con cui tu nasci. Il messaggio che passa è che il bambino deve essere uguale agli altri e qualsiasi imperfezione e sbavatura deve per forza essere corretta. Quindi a sei anni devi fare un corso per il linguaggio perché sennò non sei come gli altri. Secondo me si deve lavorare sul fatto che essere imperfetti va bene.

Cosa diresti a un bambino o a un adolescente che legge la tua intervista e che ha questo problema come lo hai avuto tu?

Gli direi che forse pensa di essere solo ma in realtà ci sono milioni di persone in Italia e miliardi nel mondo che hanno il suo tra virgolette, difetto. Gli direi di non arrendersi mai e di non ascoltare tutte quelle persone che sicuramente incontrerà e che gli diranno che essendo diverso non può fare quello che fanno gli altri. Lui lo può fare, in modo diverso, che non significa in modo migliore o peggiore. Il percorso che deve fare non è di accettazione passiva ma attiva. Tu sai che tu sei questo e continui a migliorarti sempre. Non pensare che sia una bacchetta magica, che si guarisca in sette giorni o in quindici. Si migliora in sette giorni, si migliora in quindici giorni e anche in anni. Soprattutto si migliora facendo quelle cose di cui hai paura, gli direi di circondarsi di persone che non hanno paura.

Insomma di ordinare un cappuccino anche se non esce la “c”

Di ordinare il cappuccino anche se non esce la “c”… esatto, è questo il punto. Poi a distanza di anni la “c” esce, però io per cinque anni ho preso il succo alla pesca. Ora però ci scherzo sù. Soprattutto la cosa più importante è di non prendersi mai troppo sul serio su questo, di dirlo apertamente. Non nascondersi, perché le persone hanno stima di chi è sincero con se stesso, perché poi non è nulla di che il ri…ri…ripetere una parola. L’evitare di farlo scatena poi delle sensazioni nelle persone.

Di solito si chiede l’episodio più difficile. Io ti vorrei chiedere invece se c’è stato un episodio buffo che non sarebbe stato possibile se non avessi avuto la tua balbuzie?

Mi viene in mente la discussione del voto di laurea. Mi sono laureata in Aula Magna, ti aspetti circa cinquanta persone, invece guardando l’elenco ho visto che eravamo in tantissimi. Io ho sempre fatto teatro, è importante capire perché sulla scena il balbuziente non balbetta. Il motivo principale è perché non sei te stesso. Io per allenarmi a questa discussione sono andata per un mese al teatro della mia città ad allenarmi con un microfono, con una persona gentilissima che poi era il proprietario di questo teatro che mi ha aiutato a ripetere la mia tesi. Tutti i giorni, io andavo ad orari indecenti a ripetere. Arrivato il giorno della discussione, vedo file di parenti, amici, io ero quasi l’ultima. Mia mamma e mio papà avevano le mani nei capelli perché pensavano che non sarei riuscita. Quando tocca a me comincio il discorso e poi mi impunto su una parola che non riesco a dire, allora chiedo al pubblico di ripetere insieme a me la parola e si sono messi tutti a ridere. Ed è stato un evento molto buffo che mi ha distinto dagli altri, in realtà. Erano tutti estremamente veloci, estremamente perfetti, io mi sono presa i miei tempi e sono stata me stessa.

Quando l’imperfezione rende unici…

Questo lo capisci dopo aver desiderato di essere come gli altri. Poi capisci che essere diverso è una cosa in più, non è una cosa da togliere o che ti toglie niente.

Oggi, quali strategie usi per risolvere queste piccole difficoltà?

Io non mi metto mai fretta, anche se l’interlocutore ha fretta. È come una danza, se tu fai capire che i tuoi tempi sono quelli, il tuo interlocutore si assesta su di te in modo implicito. Non vomitare come di solito facciamo tutto quello che vogliamo dire. Poi ci sono tante tecniche come la mindfullness, il training autogeno. La cosa che fa la differenza però è il mettersi alla prova. L’inceppo è solo la conseguenza di te che ti nascondi.

Quanto questa tua esperienza ti ha cambiato?

C’è una cosa che noto rispetto ai coetanei, che mi fanno felice le cose che sembrano banali ma poi in realtà fanno la differenza. Come quando sei felice perché esce il sole dopo una giornata di pioggia. Il mio modo di parlare, io non lo valuto più.

Cosa vorresti dire a chi non ha la balbuzie?

Gli direi semplicemente di ascoltare. Di non fare tutte quelle cose che fanno, come finire le frasi, come provare pena, come cercare di incubare la persona. La persona che balbetta ha semplicemente più paura di te ma non ha niente in realtà. Non è una persona da cullare, da coccolare, anzi devi avere fiducia in lui anche se sbaglia. E, anche se sembra ovvio dirlo, di non prendere in giro, perché tutto questo resta dentro e lui se lo porterà dietro. Conosco persone che non hanno fatto l’Università perché nessuno credeva in loro e perché alle scuole medie avevano un blocco. Questo è il lasciare crescere la personalità sul proprio disturbo. Il mondo può comportarsi allo stesso modo, noi abbiamo il dovere di informalo. Io che balbetto, devo informare il mio interlocutore che sono così. Bisogna avere un po’ di pazienza insomma perché un cappuccino non esce sempre…

 

 

 

Valeria Saladino - Fondatore di Psicotypo

Psicologo clinico, psicoterapia ad approccio breve strategico, specializzato in scienze criminologiche, forensi e psicologia giuridica. Fondatore e Presidente di “Psicotypo Associazione per l’Informazione e l’Aggiornamento in Psicologia”. Dottore di ricerca e psicologo esperto ex articolo 80 presso la Casa Circondariale di Cassino. Studiosa della psicologia della devianza, in particolare del fenomeno dell’istituzionalizzazione e delle dinamiche psicologiche che costituiscono quest’ultimo, ha partecipato e coordinato interventi di valutazione e trattamento all’interno degli Istituti Penitenziari. Si è occupata inoltre di nuove dipendenze, gestendo il Behavioral Addictions Research Team, Centro di ricerca sulle dipendenze comportamentali. Oltre alla ricerca svolge attività di tutoring e consulenza per chi è interessato al settore della ricerca e alla costruzione di elaborati di tesi a carattere sperimentale.