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Allarme presepio

Negli ultimi anni, quando giunge il periodo delle feste natalizie, fioriscono polemiche di stampo politico-religioso. Nelle scuole primarie fervono i preparativi per le recite, ispirate alla vita di Gesù. Opere di allestimento di presepi e alberi di natale, occupano gli androni di molti istituti lungo lo Stivale. La segretaria di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni si è fatta promotrice di una campagna pro-presepio. A suo avviso, e non solo, nel Paese di Dante sta svanendo l’identità culturale. Le cronache ci hanno abituato a coloriti dibattiti: l’opportunità dei crocefissi esposti nelle aule, dirigenti scolastici preoccupati a non offendere gli alunni con altri orientamenti religiosi. Apprendiamo di genitori allarmati per il rischio estinzione dei Gesù Bambini da collocare tra buoi, asinelli, Giuseppi e Marie.

I cambiamenti epocali di una società, passano per gli istituti scolastici. La vecchia scuola è sgretolata sotto i colpi della nuova morfologia, plasmata con i criteri del villaggio globale. I bambini, spesso, si confrontano per la prima volta, con altre etnie, proprio all’interno dell’iter di alfabetizzazione scolastica. Oggi non si parla del compagno di classe figlio del dottore o figlio del parrucchiere. La prima esigenza del genitore è sapere se ci sono alunni di varia origine geografica. Le classi sono veri meltin’ pot, soprattutto nelle periferie delle grandi città. E la religione diventa terreno di forti scontri, in particolare quando si avvicina l’anniversario della nascita di Cristo. E coinvolge tutti, anche chi professa un laicismo fondamentalista (una forma di religione anch’essa, a ben pensarci), dato che, in questo Paese, la cultura ha una delle sue matrici nel cattolicesimo.

Il percorso di emancipazione dal credo, comunque, sboccia da una storia che affonda le sue radici nella storia del cristianesimo, e va affrontato con cognizione, rispetto di chi rimane nel giardino della fede e la consapevolezza di restare cercatori del senso dell’esistenza. Vari movimenti politici rivendicano l’orgoglio italico e la tutela della religione cattolica. Denunciano il lassismo dello Stato, nei confronti di una colonizzazione spirituale da parte degli immigrati, praticanti fedi diverse da quella cattolica. Sul tema dell’immigrazione si è detto di tutto e il contrario di tutto. Accogliere lo straniero, ricacciarlo in mare, accettarne un numero ristretto. Per quanto concerne la questione religiosa, si devono fare altre considerazioni, non tanto dal punto di vista di una crociata al contrario (gli islamici che vengono in Italia), ma da un’ottica che mette in evidenza la superficialità nel praticare la propria fede.

 

L’importanza della spiritualità

La religione in Italia è vittima di una superficialità, sempre più marcata, che accompagna il percorso alla spiritualità della maggioranza dei bambini avvicinati alla parola del Signore. La prima comunione si trasforma in evento mondano, buono per ricevere regali. Molti non proseguono il cammino, ricevono la cresima solo in caso di matrimonio. Già il matrimonio, altra liturgia che mantiene il suo fascino quasi esclusivamente per lo sfoggio dell’abito degli sposi, per la “location” della chiesa e per la formula del voto nuziale. In altre religioni le usanze sono prese con ben altro spirito. Come avviene nell’ebraismo, ad esempio. Un bambino di origine ebraica raggiunge l’età della maturità religiosa 13 anni e un giorno (per le bambine 12 anni e un giorno). Raggiunge l’età del Bar Mitzvah (per le femmine Bat Mitzvah), dove si diventa membri a pieno titolo della comunità ebraica. I ragazzi diventano moralmente responsabili della loro pratica religiosa, rispettando la Halakha (la legge ebraica). Gli islamici legano saldamente la vita al Corano. Le piccole figlie di Allah sono responsabilizzate fin dall’età di 9 anni. precocemente iniziate al loro futuro di donne. La vita è piena di trappole, e loro saranno le madri ed educatrici delle generazioni a venire. Nella concezione islamica le bambine, raggiunta la maturità religiosa, sono in grado di comprendere meglio Dio. A 15 anni cominciano a progettare la costituzione di una famiglia.

Concezioni di base, che creano un forte senso di appartenenza religioso. Si può obiettare che siano legami fortemente restrittivi per la libertà di pensiero, e possono svilire l’individualità di un essere umano. La religione, diceva Marx, è l’oppio dei popoli, questo però non può essere l’alibi per screditare la Religione in nome del materialismo. Lo spirito critico trova mille contraddizioni, all’interno di una fede, è vero, ma in un’epoca di forti disorientamenti etici, di uomini condannati alla solitudine, effetto collaterale della modernità sempre più tecnologica, la religione rimane un punto di forza per la costituzione di comunità connesse, non solo virtualmente.

Nell’Occidente opulento si sono insediate migliaia di sette, ci si è dati al buddismo senza essere orientali, tuffati in idolatrie inquietanti. Personaggi famosi, come Tom Cruise e John Travolta, seguono Scientology come fosse l’unica verità terrena. I bambini italiani, in molti casi, assistono a questo approccio pernicioso con la religione. Guidati con leggerezza, e senso del ridicolo completamente azzerato, nella gestione del proprio Spirito. Gli scandali, inoltre, che hanno colpito la Sacra Romana Chiesa, soprattutto i casi di pedofilia di molti esponenti del clero, hanno minato la credibilità di questa istituzione. I ragazzi affrontano con scherno la parola del Signore. I loro cuori si scaldano per altre “divinità”: Pop star, rapper, attori, campioni sportivi e, ultimi arrivati, gli youtuber. Negli anni sessanta, le orde di ragazze urlanti, piangenti, in catartica adorazione dei Beatles, dovevano essere un monito a ciò che stava accadendo. Dio è morto, affermò Nietzsche. Aveva ragione, ma una deriva così deprimente non può essere la risposta definitiva. La spiritualità deve emanciparsi da culti mercificati. Un mito non può sponsorizzare un paio di scarpe. Ponendo l’accento sulla spiritualità non si vuol affermare l’obbligo dell’appartenenza a una religione, ma tutti provengono da una cultura non laica. Carl Gustav Jung, in una famosa intervista alla Bbc, quando gli fu chiesto se credesse in un’altra esistenza dopo la morte e in Dio rispose : “Non credo né all’una né all’altro. So che entrambi esistono”

 

L’inconscio collettivo e la spiritualità

Jung affermava l’esistenza di due forme di inconscio:

L’inconscio personale è l’insieme di esperienze rimosse, dimenticate, represse o semplicemente ignorate.

L’inconscio collettivo è il magazzino dove si depositano tracce latenti provenienti dal passato ancestrale dell’uomo. Questo inconscio interagisce e condiziona costantemente il vissuto personale dell’uomo, influenzando il suo comportamento fin dalla nascita. L’inconscio collettivo fa parte del patrimonio genetico dell’individuo; gli archetipi (principi primitivi) e gli istinti che costituiscono l’inconscio collettivo sono esterni alla materia, ma attraverso essa si sono sviluppate e tramandate tramite la storia evolutiva dell’umanità. Jung considerava l’origine degli archetipi e degli istinti comprensibili solo supponendoli come residui di esperienze reiterate dall’umanità. E l’anima di un uomo non nasce con lui, essa esiste da milioni di anni.

In una intervista del 2001 la dottoressa Brigitte Spillman, nipote di Jung, ha affermato che l’eredità di Jung è quella di aver tracciato la strada per il superamento dei conflitti interiori e interpersonali nella scoperta dell’anima e della riconciliazione tra scienza e spiritualità .Questo può avvenire grazie all’intuizione junghiana dell’esistenza di un inconscio collettivo e la propria Ombra (l’inconscio che si contrappone alla persona). Jung ha compreso che oltre ad avere un’anatomia comune, oltre ogni differenza culturale, anche la psiche possiede un enorme substrato comune, caratterizzato da modelli comuni in tutte le culture.

Tali modelli sono gli archetipi.

L’Ombra è invece la parte della personalità che si tende a rifiutare e censurare poiché ritenute meschine e spaventose. Jung insegna che solo trovando la forza di affrontare la propria ombra l’uomo può scoprire la propria anima. Tuttavia non confondeva mai la dimensione spirituale con quella materiale. Aveva vissuto forti esperienze spirituali, dichiarando che costituivano il perno attorno al quale ruotava la sua vita ma, chiariva, erano esperienze da vivere in prima persona, perché al massimo si può indicare la strada, non proclamare verità assolute. E con questo non voleva sminuire l’esperienza spirituale rispetto a quella materiale, poiché secondo lui “Reale è ciò che si vive” Come psichiatra e psicoterapeuta, constatò come molti conflitti interiori, molte nevrosi, fossero legate alla rimozione della domanda religiosa, che altro non è che la ricerca del senso della vita, tentare di capire se la vita non finisce con la morte. Jung era convinto dell’importanza, per l’uomo, di formarsi una concezione della vita ultraterrena, ed era possibile ottenere delle informazioni attraverso i miti e i sogni depositati nell’inconscio collettivo.

Jung si sentiva profondamente cristiano, buddista, induista. Anche se convinto della assoluta necessità di rimanere legati alle proprie radici, era giunto alla conclusione che Dio fosse uno solo ma al contempo dotato di mille volti e che per ogni cultura corrispondesse uno di questi. E nei punti dove le varie religioni sembrano contraddirsi sono solo apparenze, riconducibili al fatto che l’uomo percepisce immagini frammentarie di un Dio che rimane, alla fine, un affascinante mistero. Scienza e religione non devono sempre vivere in conflitto, l’essere umano ha bisogno di entrambe. E i bambini devono vivere il mondo della spiritualità, senza confonderlo con le continue pressioni materialistiche e del culto del successo che la società odierna impone. La ricerca della propria anima va coltivata sin da piccoli, perché si possa così evitare di precipitare in una spirale di cinismo, sacrificio, vuoto senso di sé e appiattiti su un eterno presente, come sta accadendo a milioni di persone.

Leggere la Bibbia, oggi, diventa un atto rivoluzionario.

 

Riferimenti bibliografici

C.G. Jung (1977), Gli archetipi dell’incoscio collettivo. TO: Bollati Boringhieri