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La violenza sessuale

Il termine sex offender identifica quella specifica categoria di autori di reato che commettono crimini di tipo sessuale. Questa categoria, identificata con l’articolo 609 bis del codice penale, descrive quelle tipologie di reato che riguardano la violenza sessuale. Il concetto di violenza si è evoluto nell’arco degli anni. In precedenza i delitti sessuali erano annoverati fra i delitti contro il buon costume e l’ordine pubblico (Codice Zanardelli, 1889), valutando unicamente la componete etica e non quella di danno morale e personale della vittima. Inoltre si riconosceva la violenza come uso della forza nella costrizione all’atto sessuale.

Con il Codice Rocco (1930) i reati sessuali vengono collocati nel titolo IX del secondo libro del Codice nei delitti contro “la moralità pubblica ed il buon costume”, collocando la sessualità fra i beni della moralità pubblica, quindi negando ancora la presenza di una componente personale. Siamo nel 1996 quando la legge del 15 febbraio n.66 “Norme contro la violenza sessuale” rivoluziona del tutto il rapporto che l’uomo ha con la sessualità e con i reati ad essa connessi. Attraverso questa legge i reati sessuali rientrano fra i “delitti contro la persona”. In tal modo viene riconosciuta la sessualità come forma di espressione individuale e dunque annoverata fra i diritti inviolabili della Costituzione.

 

Atipie sessuali e disturbo pedofilico

Se nel linguaggio giuridico parliamo di sex offender, ossia persone che commettono violenza sessuale su minore o stupro, il punto di vista psicologico differisce da questa visione per vari aspetti. Una persona infatti potrebbe commettere un reato di violenza sessuale ma non possedere quelle caratteristiche psicologiche che contraddistinguono questa categoria di persone. Il Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi Mentali (DSM V) identifica il disturbo pedofilico e le parafilie come egodistoniche, ossia devono rappresentare un disagio per il portatore del sintomo che lo esperisce. Questa distinzione è fondamentale rispetto al concetto passato in cui invece bastava esperire il sintomo per essere etichettato con il nome del disturbo. Le parafilie infatti sono manifestazioni patologiche della sfera sessuale derivate da un’incapacità di investire su un oggetto specifico.

Questo disequilibrio rende impossibile alla persona agire comportamenti adattivi costringendoli in rituali ossessivi, come la scelta di vittime minorenni che presentano le medesime caratteristiche fisiche nel caso dei pedofili o specifiche categorie di donne nel caso degli stupratori. Attualmente esiste una distinzione fondamentale fra interessi sessuali atipici e parafilie. Queste infatti presentano la componente dell’ossessività e della rigidità, inficiano la qualità della vita del soggetto per un lungo periodo di tempo e prevedono l’uso della coercizione e della violenza su soggetti non consenzienti.

 

Reti tematiche e distorsioni cognitive

Ci si chiede spesso come possa un essere umano agire offese contro un altro, a volte sottoporlo a vere e propri torture per il proprio piacere. Una spiegazione scientifica a tale quesito esiste ed è stata descritta da vari modelli psicologici, sociologici e biologici, per comodità definiti multifattoriali. Uno dei più citati in merito ai sex offender è il Judgment Model of Cognitive Distortions, (JMCD) di Ward Gannon e Keown. Questo modello identifica alcuni schemi di pensiero definiti Thematic Networks o reti tematiche. Alcune sono comuni a pedofili e stupratori e altre sono specifiche a una o all’altra categoria. Le reti tematiche comuni sono l’incontrollabilità, la credenza in un mondo pericoloso e l’autorizzazione; le due specifiche dei pedofili comprendono bambini come oggetti sessuali e natura del danno; mentre le due specifiche degli stupratori sono donne impossibili da conoscere e donne come oggetti sessuali.

Queste reti tematiche raccontano il vissuto dei sex offender e ciò che li spinge ad agire in tal modo. Essi credono di non poter controllare il loro comportamento e dunque giustificano le loro azioni in maniera razionale, rifiutando la possibilità che il mondo sia un luogo sicuro. Per tale motivo si aggrappano al bambino visto come innocente e non pericoloso o alle donne, vissute in realtà come oggetti da domare e possedere. Infine sentono di essere autorizzati a compiere ciò che vogliono in quanto ritengono che la vittima meriti il trattamento che riceve.

 

Pedofili e stupratori

Nel caso specifico del pedofilo egli nutre per il bambino un’affezione in parte simile a quella che c’è fra discepolo e docente. Egli ha infatti la sensazione di avere una missione che è quella di educare il fanciullo alla sessualità. Dunque quando si parla di “natura del danno” si intende appunto la minimizzazione da parte del pedofilo rispetto al danno sulla vittima. Inoltre egli non ritiene il bambino vittima che subisce passivamente ma piuttosto oggetto di piacere in grado di decidere di intraprendere un rapporto sessuale. Quest’ultima razionalizzazione prende il nome di “bambino come oggetto sessuale”.

Nel caso degli stupratori invece le donne sono spesso identificate come pericoli, “impossibili da conoscere” e quindi l’unica modalità di relazione è l’aggressività e la coercizione sessuale che identifica la seconda rete tematica specifica degli stupratori “donne come oggetti sessuali”. Da questa breve panoramica si evince una modalità di analisi dinamica e prospettica circa gli autori di reati sessuali, che risultano ancora oggi una delle categorie più a rischio di recidiva e più complessi nel loro trattamento.Questo modello prevede ulteriori approfondimenti che richiedono un’analisi più approfondita.

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Riferimenti bibliografici

American Psychiatric Association, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali. Quinta edizione. DSM-5, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2014.

Ward, T. A. Gannon, K. Keown, “Beliefs, values, and action: The judgment model of cognitive distortions in sexual offenders”, Aggression and Violent Behavior,11, 4, 2006, pp.323-340.

Valeria Saladino - Fondatore di Psicotypo

Psicologo clinico, psicoterapia ad approccio breve strategico, specializzato in scienze criminologiche, forensi e psicologia giuridica. Fondatore e Presidente di “Psicotypo Associazione per l’Informazione e l’Aggiornamento in Psicologia”. Dottore di ricerca e psicologo esperto ex articolo 80 presso la Casa Circondariale di Cassino. Studiosa della psicologia della devianza, in particolare del fenomeno dell’istituzionalizzazione e delle dinamiche psicologiche che costituiscono quest’ultimo, ha partecipato e coordinato interventi di valutazione e trattamento all’interno degli Istituti Penitenziari. Si è occupata inoltre di nuove dipendenze, gestendo il Behavioral Addictions Research Team, Centro di ricerca sulle dipendenze comportamentali. Oltre alla ricerca svolge attività di tutoring e consulenza per chi è interessato al settore della ricerca e alla costruzione di elaborati di tesi a carattere sperimentale.