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I processi creativi in psicologia

Lo studio dei processi creativi e del legame con la psicologia ha avuto origine dalla psicoanalisi. Per Freud la creatività è concepita come la sublimazione di pulsioni sessuali represse in desideri di natura fantastica e quindi artistica. L’analista, mediante il processo di interpretazione, fornisce una base di partenza per accedere ai contenuti mentali dell’individuo ed apre, nello stesso tempo, una vasta gamma di possibilità di significati, di emozioni e di esperienze. Successivamente, Melanie Klein sottolinea come la creazione artistica sia collegata alla depressione ed ai disturbi schizoparanoidei; così facendo queste teorizzazioni hanno gettato le basi per la teoria della creatività di Bion e Meltzer (Williams, 2012). Quest’ultima pone l’accento sul legame tra arte e psicoanalisi ed evidenzia come la formazione del pensiero e lo sviluppo mentale seguono processi simbolico-creativi che possono essere ricondotti all’espressione artistica; l’artista, mediante l’opera, dà forma ai propri contenuti psichici e questi, a loro volta, suscitano nel fruitore dell’opera, pensieri ed emozioni non ancora consapevoli.

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All’interno della relazione terapeutica ci confrontiamo con le azioni processuali, esse possono essere definite come azioni non soggette al primato della coscienza, orientate verso il presente e verso sé stesse, attraverso le quali si riconoscono parti del terapeuta nell’altro da sé e ci consentono di attuare una conoscenza per sensibilità (Madonna, 2013). Si mettono in atto processi mentali in cui l’organismo (o parte di esso) viene usato come metafora (Bateson, 2000) utilizzando delle modalità di relazione, in un certo senso, di tipo artistico. Esempi di fenomeni di questo tipo sono: produrre una metafora, provare empatia e cogliere isomorfismi. Tutte queste abilità sovra descritte entrano in gioco anche nell’ utilizzo di tecniche espressive, corporee o dell’uso delle immagini d’arte in terapia, laddove mediante meccanismi metaforici ed appartenenti all’ azione processuale, sia il paziente che il terapeuta co-costruiscono nuove e possibili letture del contesto e delle relazioni.

L’utilizzo di processi creativi in psicoterapia: Genogramma classico e fotografico

Il genogramma può essere definito come: “una forma rappresentativa dell’albero genealogico che tiene conto delle informazioni e delle relazioni che intercorrono tra i membri della famiglia nel corso di tre generazioni” (Mc Goldrick et al., 1985); esso viene ampiamente utilizzato per indagare le rappresentazioni interne che hanno i singoli individui del sistema familiare al quale appartengono; il terapeuta, nell’ utilizzare questo strumento, deve prestare attenzione a tre aspetti: storia, luoghi e modalità di vita di una data famiglia. Questo strumento viene altresì utilizzato per facilitare o sbloccare la comunicazione tra i membri della famiglia, per coinvolgere l’intero sistema nel processo terapeutico e conoscere tutti quei contenuti emotivi, segreti, miti familiari e modalità di trasmissione verbale e psichica di modalità di pensiero non altrimenti accessibili. La sua efficacia si ipotizzava anche nel training degli psicoterapeuti affinché percepissero i loro sistemi familiari non come una somma di individui bensì come un insieme di immagini introiettate emotivamente nelle quali è possibile coglierne le varie triangolazioni e detriangolazioni.

Il genogramma fotografico è uno strumento elaborato da De Bernart, Ravenna e Iacoella che utilizza l’immagine ed in particolare la foto in ambito terapeutico (De Bernart, 1987). Esso fa parte delle tecniche di fotografia terapeutica ossia di tutta una serie di strumenti che si avvalgono di elementi verbali e non verbali per esplorare elementi di relazione tra i partecipanti di una terapia. Si parte da un input sensoriale (fotografia singola o insieme di immagini) e tramite una serie di domande o di riflessioni si individuano alcuni dei temi significativi che si andranno ad esplorare in terapia; generalmente sono temi legati ai bisogni, alle aspettative, al ricordo di eventi particolari, ai miti familiari e alle motivazioni personali profonde. Alcuni obiettivi raggiungibili mediante l’utilizzo di questo strumento sono: analizzare le proprie modalità di relazione, riflessione sulla propria storia personale e familiare (sul trigenerazionale) e facilitare la comunicazione (in termini di ascolto ed espressione).

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La scultura familiare

La scultura familiare fu utilizzata nella pratica terapeutica da Virginia Satir nei primi anni ‘70 e nacque da un’idea di Peggy Papp, Duhl e Kantor che elaborarono questa modalità di intervento relazionale che permetteva l’espressione di idee e di emozioni attraverso l’utilizzo del corpo e del suo movimento. Essa può essere definita come la rappresentazione simbolica di un sistema, nella quale vengono messi in luce relazioni, emozioni, sentimenti e cambiamenti che possono essere esperiti in forma simultanea; essa mobilita i vissuti dei singoli, ed anche una elaborazione creativa da parte del paziente, della famiglia e del terapeuta. In genere il terapeuta sceglie lo scultore in base alla particolare fase del ciclo di vita o del momento terapeutico nel quale la famiglia si trova, ad esempio quando un membro della famiglia è particolarmente restio a comunicare o infine se è presente un bambino, allora il terapeuta proporrà di effettuare la scultura.

Nella fase iniziale della scultura la persona scelta avrà l’aiuto del terapeuta al fine di arginare eventuali difficoltà sul piano emotivo e situazioni di stallo; successivamente lui si metterà in una posizione di osservatore commentando solo sporadicamente quello che accade. Nella fase finale il terapeuta chiederà allo scultore ed ai partecipanti come si sono sentiti in quella posizione ed eventualmente anche di spostarsi in una per loro più congeniale; così facendo si dà uno stimolo per effettuare un possibile cambiamento all’ interno di quelle dinamiche familiari e di come questo cambiamento venga agito e percepito dal sistema familiare. Questa tecnica, permette di rappresentare una situazione emotiva agita e di liberare modalità comunicative che altrimenti risulterebbero inespresse; consente inoltre di percepire il quadro di una famiglia nella sua completezza, osservando da una posizione privilegiata, quella dello scultore, le relazioni all’interno ed all’esterno della famiglia, i rapporti intragenerazionali ed intergenerazionali.

Le immagini d’arte

L’utilizzo delle immagini d’arte in terapia parte da alcune riflessioni di terapeuti e studiosi. Secondo C. Leporatti (2010, pp. 4-5) “il terapeuta esplora con i pazienti per mezzo dell’immagine il sistema familiare, la relazione con il sé, con il mondo interno e con l’inconscio ottico, usando il suo sé – nella prospettiva indicata da Minuchin (1981) – nella dinamica del sistema coppia-terapeuta e nel «qui e ora» della terapia”. L’immagine consente quindi di ottenere una distanza tra il paziente e la propria storia che ne permette l’ascolto, la pensabilità e il dialogo (Leporatti, 2010). Per mezzo dell’immagine si ha accesso a mondi interni, non facilmente raggiungibili e spesso difesi dall’uso del canale verbale dove si ha l’occasione di dare rappresentabilità a qualcosa che per il soggetto si manifesta a livello di vissuti e di agiti, e si costituisce un modo di articolare parti di sé e dell’altro nella relazione terapeutica.

Negli anni ‘90 Conny Leporatti inizia ad utilizzare le immagini d’arte per poi elaborare insieme con Rodolfo de Bernart, nel 2002, un “Test delle immagini d’arte” ossia un catalogo di duecento opere suddivise in venti categorie che si possono utilizzare nella pratica terapeutica individuale, di coppia e familiare. Si chiede al paziente di scegliere un’immagine per categoria ed una volta effettuata la scelta, il compito del terapeuta sarà quello di connettere le immagini con le motivazioni per le quali sono state scelte, con il sé del paziente, con le emozioni, con le relazioni familiari e con il sistema terapeutico. L’obiettivo è quello di dare accesso alla propria immagine di sé, si può vedere come l’altro vede sé stesso, la coppia o la famiglia e si possono cogliere come stanno nella relazione e come gli altri percepiscano il loro modo di stare in quella relazione e nella famiglia.

Scritto da Valeria Natalello, Psicologa –  www.valerianatanello.altervista.org

 

 

Riferimenti bibliografici

  • Bateson G. (2000), Verso un’ecologia della mente, MI: Adelphi
  • De Bernart R. (1987), L’immagine della famiglia, Terapia Familiare, Notizie: 6: 3-4
  • Leporatti, C. (2010), In Imagine Verum, Immagini d’arte e clinica di coppia. Storie e geografie familiari, RM: Scione Editore
  • Leporatti C. (2011), Fuochi nell’ombra. Uso di immagini d’arte in psicoterapia individuale e di coppia ad orientamento sistemico-relazionale, Manuale clinico di terapia familiare, vol. III, MI: Franco Angeli
  • Madonna G. (2003), La Psicoterapia attraverso Bateson. Franco Angeli, Milano
  • Madonna G. e collaboratori (2017), Sogno, guarigione e cura. Franco Angeli, Milano
  • Montàgano S, Pazzagli A. (2015), Il genogramma: teatro di alchimie familiari. Franco Angeli, Milano.
  • Williams M. H. (2012), Sviluppo estetico. Lo spirito poetico della psicoanalisi. Saggi su Bion, Meltzer, Keats, RM: Borla edizione