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Il caso di Wölfli

Il caso di Wölfli potrà un giorno essere d’aiuto per fornire nuovi chiarimenti sulle origini della forza creativa e ribadisce la singolare e sempre più autorevole opinione che molti sintomi di malattia sarebbero da incoraggiare, in quanto suscitano il ritmo tramite cui la natura tenta di riconquistarsi quanto le è diventato alieno e di strumentarlo in una nuova melodia. (Rainer Maria Rilke, 1921). Adolf Wölfli, considerato il più straordinario esempio di Art Brut, rispecchia quasi del tutto la definizione di “genio”, data la stupefacente vastità della sua opera pittorica, letteraria e musicale composta durante i trentacinque anni trascorsi nel manicomio di Waldau (Berna). Grazie alla monografia Ein Geisteskranker als Künstler (Adolf Wölfli) – Un malato di mente come artista – scritta da Walter Morgenthaler, suo psichiatra, è stato possibile addentrarsi nella feconda relazione che intercorre tra malattia mentale ed espressione creativa.

L’infanzia e l’internamento

Wölfli nasce nel 1864 a Bowil, in Svizzera, da madre lavandaia e padre intagliatore di pietra. La usa infanzia è segnata dall’alcolismo cronico del padre, il quale finisce più volte in carcere prima di abbandonare la moglie e i sette figli, quando Adolf ha solo 5 anni. Le già misere condizioni della famiglia peggiorano e i bambini sono costretti a dividersi per svolgere piccole mansioni nei campi di alcuni contadini. A 10 anni Wölfli viene a conoscenza della morte della madre e tra svariati maltrattamenti e soprusi continua a guadagnarsi da vivere facendo il bracciante agricolo. Nel 1890 è condannato a due anni di carcere per tentato stupro ai danni di una bambina. Una volta scontata la pena, il reinserimento nella società ha pessimi risvolti: il giovane sulle orme del padre cede all’alcool, contrae la sifilide e ancora nel 1895, quando ha ormai 31 anni, viene arrestato per un nuovo tentativo di stupro.

Questa volta però viene condotto a Waldau, la clinica psichiatrica nei pressi di Berna, per una verifica sulle sue condizioni psichiche: la diagnosi parlerà di schizofrenia, determinandone così l’internamento. Adolf trascorrerà in manicomio il resto della sua vita, interrotta il sei novembre 1930 da un tumore allo stomaco. Durante i 35 lunghi anni, di cui 30 passati in isolamento per sua volontà, il paziente si dedica unicamente alla composizione di una monumentale opera narrativa, pittorica e musicale. L’ingente mole di disegni non divulgata sarà scoperta dall’artista francese Jean Dubuffet nel 1945 durante un suo viaggio in Svizzera. Questi farà di Wölfli uno dei pilastri della sua concezione di Art Brut, elaborata in quegli anni. La prima esposizione pubblica delle opere risale al 1950, durante l’Exposition internationale d’art psychopatologique di Parigi, seguita dalla mostra Bildnerei del Geisteskranken (Attività artistica del malato di mente) ospitatata nella Kunsthalle di Berna nel 1963.

 

L’inclinazione all’arte

È interessante sottolineare che Wölfli prima del manicomio non scrive e non disegna nulla, a differenza di altre figure che prima di essere “artisti pazzi” erano già artisti più o meno affermati. Il primo riferimento all’inclinazione del paziente al disegno si trova nelle cartelle cliniche del 1899, sebbene le prime opere che si conservano risalgono al periodo che va dal 1904 al 1906. Nel 1907 una grande svolta è data alla sua attività dall’incontro con lo psichiatra Walter Morgenthaler (1882-1965), che sarà suo medico curante fino al 1920 e promotore della sua arte – lui si preoccuperà di fornirgli i materiali -, in virtù della convinzione del vero valore della sua arte. Dal 1916 Adolf inizia la produzione di disegni a pastello su foglio singolo da donare o vendere ai medici e al personale dell’ospedale. La stessa struttura ospedaliera gli commissiona armadi decorati e perfino un grande quadro per la sala conferenze.

L’intera opera creativa di Wölfli è caratterizzata da un’ossessiva ripetitività delle forme e dalla loro infinita combinazione: gli elementi che ritornano incessantemente sono i motivi ornamentali, i simboli, le rappresentazioni iconografiche, le parole, i numeri e le note musicali. Il tutto è armonizzato in una composizione complessa e chiusa in se stessa: la fitta trama di decorazioni accostate a riproduzioni naturalistiche di uomini, animali, edifici e paesaggi è sempre incorniciata da una sorta di recinto che racchiude il frutto della sua creatività. Per queste caratteristiche i disegni sono più volte stati paragonati ai tappeti persiani. Altra peculiarità riguarda il rapporto di contaminazione con la scrittura: a volte i disegni sono le illustrazioni dei testi, altre volte la scrittura è usata come didascalia dell’immagine. Dal punto di vista formale si riscontra un procedimento che può essere definito “infantile”, dato dalla resa della raffigurazione e dall’assenza di una costruzione prospettica: un lessico primitivo che definisce un mondo fantastico e delirante.

 

Arte e pazzia

Il ruolo determinante per lo sviluppo dell’arte di Wölfli è giocato da Morgenthaler, il quale ne documenta l’attività nel 1921 con Ein Geisteskranker als Künstler, un volume pioneristico sia nel settore psicopatologico che artistico nel quale per la prima volta l’opera di un malato mentale viene riconosciuta come un’autentica forma d’arte e non solo come un sintomo. Come è stato notato, lo psichiatra costruisce il saggio intorno a un sostanziale quesito: l’arte di Wölfli è la diretta espressione della sua malattia o viceversa il linguaggio dell’ordine contro il disordine mentale? (Pedrazzini, 2007). Dallo scritto si apprende che Adolf viveva la sua produzione come una missione da compiere con estrema concentrazione, motivo per cui chiede l’isolamento per estraniarsi e dare ascolto al suo delirio interiore. Il paziente disegnava senza sosta, tutti i giorni tutto il giorno, viveva senza smettere mai di creare e la temporanea interruzione era determinata solo dal foglio interamente ricoperto.

In manicomio la creatività di Wölfli esplode con un flusso continuo e inarrestabile, nel quale filtra e canalizza la sua malattia. Sotto il profilo clinico le cartelle registrano il potere calmante dell’attività artistica e le diverse crisi, durante le quali era aggressivo o preda di allucinazioni uditive e visive, avute quando restava senza materiale. Di certo il riconoscimento del valore della sua arte gli permette di raggiungere consapevolezza e dignità che prima non aveva e quando poi gli viene mostrata la monografia prende anche coscienza di essere un artista. Non si può sapere se la sua genialità sia frutto della malattia o se questa l’abbia solo fatta emergere. In ogni caso Adolf è un “artista pazzo” libero dalle norme della produzione figurativa e da ogni tipo di condizionamento. Eppure la libertà espressiva tanto lodata e esaltata probabilmente è una convenzione impropria: non è forse vero che Wölfli è fortemente influenzato dai suoi deliri o dalle sue associazioni sconnesse?

Scritto da Maria Riccardi, Laureata in Beni e Attività culturali all’Università degli Studi di Perugia. Specializzata in Storia dell’arte all’Università degli Studi di Torino

 

Riferimenti bibliografici

Adolf Wölfli 1864-1930, catalogo della mostra Roma, Roma: De luca 1998

The other Side of the Moon: the World of Adolf Wölfli, Moore College of Art, Philadelphia 1988

Morgenthaler, Arte e follia in Adolf Wölfli, traduzione di A. Pedrazzini, Padova: Alet 2007