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Psicologia sociale e ricerca

Tra gli anni ’60 e ’70 la psicologia sociale ha incanalato la sua attenzione sulla natura dei comportamenti antisociali e prosociali. Questi studi hanno portato a curiose scoperte, facendo emergere crudeli aspetti dell’animo umano. I famosi esperimenti di Milgram, di Latané e Darley, di Jones e, infine, di Zimbardo, il cui filo conduttore è il comportamento aggressivo, espongono i partecipanti ad una forte pressione psicologica ed emotiva e per questo non sono più replicabili. Questi esperimenti sono stati condotti prima che l’American Psychological Association – APA  stilasse delle regole etiche e morali rigide che tutelassero in maniera adeguata la salute psicofisica dei soggetti che partecipano agli esperimenti.

La realtà scientifica odierna presenta studi condotti in tempi più recenti che permettono di fornire ulteriori spiegazioni ai comportamenti aggressivi. La BBC infatti ha finanziato uno studio sulla falsa riga della prigione di Standford.

 

Le ricerche di allora…

Gli esperimenti di Milgram (1961) e di Zimbardo (1971) hanno permesso di evidenziare una caratteristica dell’animo umano legata al potere intrinseco che suscita in noi una persona ritenuta autorevole. Quando un individuo che riteniamo autorevole, ci chiede di fare qualcosa tendiamo ad obbedire, anche se ciò comporta un atto aggressivo o infliggere ad altri dolore. Milgram durante i suoi esperimenti evidenziò la presenza del cosiddetto “stato d’agente”; una condizione psicofisica che porta i partecipanti a considerarsi unicamente come agenti del volere dello sperimentatore, soccombendo quindi al potere di una persona ritenuta autorevole.

In modo analogo Zimbardo constatò che i partecipanti avevano perso le caratteristiche iniziali di personalità e si erano individualizzati nel ruolo assegnatogli, seguendo le regole del gruppo e del contesto in cui si trovavano. In quest’ottica la naturale tendenza dell’uomo a conformarsi al ruolo, lo legittimava ad agire in modo violento e aggressivo con gli altri.

E di oggi

Nel 2001 la British Broadcasting Corporation (BBC) ha contattato Alex Haslam e Steve Reicher chiedendogli se fossero interessati a replicare uno studio simile a quello di Zimbardo. La collaborazione ha portato al The BBC Prison Study che ha permesso di indagare quando un gruppo di individui accetta la diseguaglianza di potere e quando invece la contesta. Haslam e Reicher avevano il totale controllo sullo studio mentre invece la BBC registrava h24 tutto ciò che accadeva all’interno del setting, rendendo quindi l’esperimento visibile in futuro anche in televisione.

In Ottobre, i due ricercatori decisero di inserire un annuncio su diversi giornali con titolo: “Conosci te stesso?” per costituire il campione che avrebbe partecipato ad un esperimento di scienze sociali. Nell’annuncio veniva specificato che i partecipanti sarebbero potuti andare incontro ad emozioni negative quali rabbia, disagio o solitudine. Coloro che risposero vennero sottoposti a diversi test psicometrici, ad un’intervista telefonica e ad un colloquio clinico con psicologi esterni che consentiva ad Haslam e Reicher di escludere individui violenti e che avrebbero potuto inficiare la sperimentazione.

 

The BBC Prison Study

In base ai risultati Haslam e Reicher decisero di dividere i partecipanti in cinque gruppi da tre in base a delle caratteristiche di personalità fondamentali come l’autoritarismo o la prosocialità. Da questi gruppi, assegnarono a caso ad un solo individuo il ruolo di guardia: nella prigione erano quindi presenti cinque guardie e dieci prigionieri.

Nell’esperimento di Zimbardo, dopo pochi giorni i partecipanti si identificarono con il loro ruolo, in questo invece ciò non avvenne; specialmente il gruppo delle “guardie” non riuscì mai a cooperare come un’unità ma giorno dopo giorno si mostrò sempre più fragile. I “prigionieri” invece riuscirono col tempo a percepirsi come un unico gruppo, portando anche ad un cambiamento nella distribuzione del potere. Durante l’esperimento infatti si venne a creare una nuova condizione nella quale non esistevano più i ruoli originali ma tutti avevano lo stesso potere. Pochi giorni dopo però la situazione cambiò nuovamente e gli stessi che avevano respinto all’inizio una diseguaglianza di potere, riuscirono a istituire una tirannia, diventando aggressivi e oppressivi.

L’esperimento durò otto giorni e i risultati portarono Haslem e Reicher a sostenere che era l’identità sociale a determinare le scelte dei gruppi e non la semplice assegnazione ad un ruolo: soltanto quando l’individuo si sentiva parte di un gruppo cooperava con esso in maniera coesa. Ultima condizione necessaria affinché venga instaurata una tirannia, è la presenza di una leadership integrata nel gruppo e in cui tutti i membri si possano individuare e riconoscere.

I risultati ottenuti evidenziano come i processi che portano gli individui a contrastare una diseguaglianza di potere sono gli stessi che poi li portano ad instaurare un regime autoritario. Individuarsi e riconoscersi all’interno di un gruppo potrebbe portare sia ad una tirannia, sia ad un’opposizione della stessa.

 

Ricerche recenti sull’aggressività

Jean Twenge, Roy Baumeister, Dianne Tice e Tanja Stucke (2001) hanno condotto vari esperimenti per monitorare se l’esclusione e il rifiuto sociale portassero ad un aumento dei comportamenti aggressivi. Nei loro studi emerge che non è la proiezione in un futuro isolato socialmente, o in uno sfortunato e pieno di disavventure, ad aumentare i comportamenti aggressivi, bensì l’esclusione sociale in quel momento. Viene evidenziato inoltre che i partecipanti manifestano comportamenti aggressivi, se rifiutati ed esclusi, nei confronti di persone che non c’entrano niente con la loro estromissione. Questa tendenza però veniva meno quando i partecipanti erano trattati bene dagli altri, condizione in cui quindi emergevano invece risposte prosociali.

Ciò che sorprese e allarmò gli sperimentatori fu constatare che le manipolazioni effettuate erano molto meno pesanti rispetto ai rifiuti che potremmo sperimentare nella vita reale. Se il rifiuto di persone estranee comporta l’aumento di condotte aggressive, cosa succede quando siamo estromessi da un gruppo di cui vorremmo veramente fare parte?

 

Aggressività e videogames violenti

Craig Anderson e Brad Bushman (2001) hanno condotto una meta analisi sulle ricerche effettuate negli ultimi anni che indagano la relazione tra la visione di programmi aggressivi, l’uso di videogiochi violenti, e l’aumento di comportamenti aggressivi, con conseguente diminuzione di atteggiamenti prosociali. L’esposizione a questi programmi o l’uso frequente di tali videogiochi comporta un aumento dell’eccitazione fisiologica che caratterizza gli stati emotivi aggressivi.

Anderson e Huesmann (2001) hanno scoperto, inoltre, che anche una breve esposizione a film violenti, nei bambini provoca un aumento di aggressività, rappresentando quindi un fattore di rischio per l’insorgenza dei disturbi esternalizzanti. Infine, per quanto riguarda l’Italia, Davide Clerici (2013) nella sua tesi ha dimostrato, confermando i dati presenti già in letteratura, che l’utilizzo duraturo e ripetitivo di videogiochi violenti è legato ad una probabilità maggiore di mettere in atto comportamenti delinquenziali e ad un alto livello di aggressività fisica e verbale.

Scritto da Federica de Lillis, Dott.ssa in Psicologia dello sviluppo tipico e atipico presso Facoltà di Medicina e Psicologa La Sapienza

 

Riferimenti bibliografici

Anderson, C. A., & Bushman, B. J. (2001). Effects of violent video games on aggressive behavior, aggressive cognition, aggressive affect, physiological arousal, and prosocial behavior: a meta-analytic review of the scientific literature. Psychological Science, 12 (5).

Boca, S., & Bocchiaro, P., & Scaffidi Abbat, C. (2010). Introduzione alla psicologia sociale. Bologna: Il Mulino.

Clerici, D. (2013). Pre-Adolescenti e Videogames. Rischio di dipendenza nelle traiettorie evolutive. Tesi presso l’università Cattolica del Sacro Cuore, Milano.

Gray, P. (2012). Psicologia. Bologna: Zanichelli S.p.A.

Twenge, J.M., &  Baumeister, R.F., & Tice, D.M., & Stucke, T.S. (2001). If you can’t join them, beat them: effects of social exclusion on aggressive behavior. Journal of Personality and Social Psychology, 81 (6), 1058-1069.

Voci, A. (2003). Processi psicosociali nei gruppi. Bari: Laterza.