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Seconda parte dell’intervista con la Dottoressa Marina Benemeglio, che descrive la mission dell’Associazione No Profit  Le Tele di Penelope, una realtà associativa con sede a Roma che vuole fa comprendere alle persone le nuove regole, i problemi e le opportunità di un universo lavorativo molto più flessibile e precario. Un supporto che offre la possibilità di un percorso personale per riprendere in mano la consapevolezza delle proprie capacità e che si concretizza nella stesura di curriculum adeguati e nella presa di coscienza del concetto di flessibilità richiesto dalle aziende. Perché investire su se stessi e i propri desideri è una delle chiavi per lavorare in futuro. 

Leggi la prima parte dell’intervista

 

La politica in questo non aiuta?

Negli ultimi anni abbiamo assistito allo smantellamento dei diritti del lavoratore, dando più mano libera alle aziende in nome di una maggiore flessibilità. Poi ci sono progetti come “Garanzia Giovani”, promulgato dalla Regione Lazio, che dovrebbero garantire e tutelare la fascia di età che va dai 15 ai 29 anni. Con questo progetto, si parla di percentuali bassissime di ragazzi che hanno trovato lavoro. Una buona notizia è  probabilmente sarà previsto un ampliamento, in via sperimentale, della fascia di età, dai 15 ai 34 anni, poiché ci si è resi conto che la fascia dei giovani si è allargata, anche grazie ad un’aspettativa di vita più lunga.  Il progetto aiuta ad inserire i giovani in degli stage e non garantisce il lavoro, creando la spirale del rinnovo dei contratti come abbiamo detto all’inizio. Lo spirito di “Garanzia Giovani” era ben diverso. Politiche del lavoro inefficaci, che non rispondono adeguatamente alle richieste del mercato e dei lavoratori. In questo solco si inserisce Le Tele di Penelope, che ha come obiettivo aiutare i giovani, e le persone che hanno perso il lavoro, ad interagire con la tecnologia per rispondere alle nuove esigenze delle aziende. E poi devono fare i conti con la flessibilità, è bene sottolinearlo, una caratteristica imprescindibile nel lavoro del futuro, che piaccia o meno. Parlo di orari, di prendere in carico più mansioni nella stessa azienda e a cambiare sede di lavoro.

 

Non tutti possono accettare certe condizioni, a causa dell’età, per un “vecchio” concetto del lavoro, per esigenze familiari.

L’esempio classico è quello delle donne che diventano madri. il loro rientro a lavoro mal si concilia con il concetto di flessibilità e fa apparire la neomamma come una lavoratrice scaduta. Termine forte, ma rende bene l’idea.

 

Il lavoro moderno è contro la famiglia?

Il concetto di flessibilità prevede che debba portare con te la famiglia, se è richiesto un trasferimento. Quando facciamo i corsi di formazione sul lavoro, preparazione dei curriculum e proposte di professioni alternative, sono informazioni che non possiamo nascondere. Le persone, devono sapere da subito che il moderno concetto di lavoro ha questo tipo di esigenza. Il giovane che entra nel mercato del lavoro o il disoccupato che vuole reinserirsi, deve avere ben chiaro in mente questo concetto.

 

Per le persone oltre i quarant’anni è un concetto altamente destabilizzante.

Certo, e siamo andati a coprire questo aspetto. Da noi arrivano persone completamente disorientate, una volta che hanno perso il lavoro, e le nuove dinamiche sono difficili da accettare. L’80% dei casi portati alla nostra attenzione sono legati allo stress da lavoro o della mancanza di esso.

 

Che tipo di supporto riuscite a dare?

Ci sono due percorsi ben distinti che, con la nostra Associazione, affrontiamo. Il primo riguarda una ripresa della consapevolezza di se stessi e della propria posizione, sia personale che professionale, e cerchiamo di perseguire questo obiettivo con il counseling psicologico. Il secondo percorso è fondato sull’orientamento al lavoro. Riguarda la raffinazione di quelli che chiamiamo gli strumenti nel cassetto e preparazione nella stesura del curriculum, lettere di presentazione, creazione del profilo su Linkedin, fino al bilancio delle competenze. Inoltre prepariamo le persone al rapporto con le APL e il Social Recruitment. Sono due percorsi che devono viaggiare paralleli e ben distinti, poiché senza una presa di coscienza reale il resto svanisce nel nulla.

 

La tecnologia ha fatto sparire molti posti di lavoro?

Sì è vero, molti altri hanno subito profonde trasformazioni con l’ausilio di modernissime ed efficienti tecnologie. Ma d’altro canto ne sta creando di nuovi, e quando dico questo intendo del mio ambito di lavoro. Sto parlando del Social Recruitment, dove le aziende, tramite anche le APL, ricercano candidati sui social network. Negli ultimi anni c’è stato un forte sviluppo di questa forma di ricerca e social network come Linkendin stanno lì a dimostrarlo. Internet, con i social, permette di dare un’immagine di sé immediata e su larga scala. Prima ci si fermava ai curriculum portati direttamente sui posti di lavoro e al semplice passaparola.

 

Parli anche di formare un’educazione all’utilizzo dei social in questo senso?

Certo, infatti, pochi mesi fa, con la nostra Associazione abbiamo presentato un progetto dal titolo “Migranti Digitali”, che tratta questo tema. Ha riscosso un buon successo, ma non siamo riusciti a reperire i fondi pubblici, poiché competevamo con altre grandi associazioni, una lotta impari. Però ha riscosso molto interesse, a conferma della bontà del progetto, su una tematica importante e attuale per quanto riguarda le evoluzioni in atto nel mondo del lavoro. Nel progetto proponiamo di fare formazione alle persone con scarso accesso e confidenza con in internet e il mondo dei social.

 

Quindi fate riferimento soprattutto alle persone di mezza età?

Non necessariamente, anche per molti trentacinque/quarantenni non è semplice. I cosiddetti migranti appunto. E in quanto migranti, spesso fanno un uso un po’ ossessivo e superficiale del mezzo.

 

Cosa proponete per l’orientamento?

Dopo una piccola rieducazione sull’utilizzo di Internet, nel caso si presentino soggetti precedentemente descritti, li indirizzo a mettere un profilo su Linkedin. Prima era dedicato esclusivamente ai professionisti, oggi anche chi non è un professionista può mettersi in vetrina. All’inizio le persone che vengono da noi, e sentono farsi questa proposta, rimangono spiazzate. Sta a noi far comprendere che un profilo sugli appositi Social darà loro l’opportunità di essere direttamente chiamati da un’azienda. Dobbiamo far capire com’è completamente ribaltata la ricerca di un lavoro, le aziende vanno in rete e cercano direttamente i profili che interessano.

 

Molte persone necessitano di un cambiamento professionale, come vi comportate in merito?

Il nostro obiettivo è fornire degli strumenti, per arrivare a capire cosa è meglio per il lavoratore e il futuro mestiere da intraprendere. Molte persone arrivano in orientamento che non hanno coscienza di quello che sono in grado di fare. Per questo parlo con forza di consapevolezza e spendibilità. Nel caso della perdita di un lavoro, le persone si trovano davanti a una dipendenza non più soddisfatta, e rimangono imprigionate nel concetto di poter svolgere solo quella professione, svolta per anni, e non essere in grado di fare altro. Vivono una depressione da lutto, anche se quello che facevano non era gratificante, mal pagato e svolto in pessime condizioni, era il loro mondo. Noi cerchiamo di far prendere coscienza che sono in grado di fare altro, anche dopo venti anni passati a fare la stessa cosa.

 

Cercate di far comprendere che le persone non solo il loro lavoro.

In tutti quegli anni hai fatto crescere anche i tuoi interessi, coltivato una passione. Cerchiamo di far comprendere come la soluzione possa trovarsi nell’intraprendere una strada dove la passione è il segreto per un nuovo lavoro. Sei un appassionato della cucina dolciaria? Provare con l’apertura di una piccola pasticceria. Se la passione sono i libri, tentare percorsi nell’ambito dell’editoria. Ovviamente non bisogna puntare alla grande casa editrice, ma muoversi in quella direzione e confrontarsi con piccole realtà. Le persone che arrivano da noi, si trovano in un forte stato confusionale e non sono in grado di aprire gli occhi verso queste opportunità.

 

C’è il terrore di una famiglia sulle spalle, le rate del muto, delle spese quotidiane.

Molti si fossilizzano solo su quello che non hanno, perdendo di vista quello che c’è, delle potenzialità personali per ottenere qualcosa, puntando su quello che si è grado di fare meglio e con passione. Questo, ovviamente, fa parte di un orientamento più avanzato e, se ci sono delle potenzialità, bisogna trovare il coraggio di mettersi in gioco. Oggi il mondo del lavoro chiede questo, se non si è in grado di accettare la flessibilità. Accostare i sogni e i desideri al bisogno non è così utopico, come potrebbe risultare di primo impatto.

 

Anche tu vivi sulla tua pelle la flessibilità del lavoro.

Non sono mai stata interessata al posto fisso, che all’inizio avevo. Appena uscita dall’Università, inoltre, era molto dura. Oggi con un profilo professionale molto più strutturato riesco a lavorare con costanza, senza particolari affanni e lo faccio in un ambito che avverto in piena sintonia con la mia personalità.

Influisce molto sulla tua vita privata?

Io sposo appieno la filosofia del work-life bilance. Semplificando al massimo il concetto, si riesce a trovare il giusto equilibrio tra lavoro e vita privata. Convivono perché non è prevista una differenziazione tra i due mondi, entrambe formano la vita della persona. Una filosofia prettamente statunitense e che qui in Italia non è concepibile. Vivo tutto in un’unica forma, per quanto posso, ed è quello che provo a trasmettere alle persone.

 

Come vedi il mondo del lavoro tra quindici anni?

Questa è una domanda che rivolgo sempre in orientamento: “Come ti vedi tra dieci quindici anni?” e le risposte mi fanno sempre molto sorridere, e con il sorriso rispondo a questa domanda: posso dire che su molte cose basterebbe che l’Italia copiasse dagli altri Paesi, imitare alcune politiche scandinave e tedesche. La politica potrebbe fare molte cose, smettendo di essere complice delle esigenze di mercato, dell’Economia. Ma se non cambia l’aspetto culturale dell’approccio al lavoro, non vedo bene l’Italia da qui a quindici anni in Italia.

 

Quali sono i lavori più richiesti?

Il settore informatico rimane il più forte. Non so dire se in un futuro ci saranno lavori non accostati alla tecnologia, ma ribadisco che le persone devono sposare il desiderio al bisogno per trovare un mestiere. L’individuo deve formare la consapevolezza che non può diventare tutto quello che vuole, ma in una buona parte sì, deve essere la sua forza. Il lavoro del futuro è investire su se stessi. Per quanto riguarda le aziende italiane spero che in futuro facciano affidamento sulle competenze trasversali, perché quelle non hanno scadenza e sono fondamentali per il clima di un luogo di lavoro.

 

La vostra Associazione, a parte un uomo, è formata tutta da donne, questo ha creato qualche difficoltà o vi ha aiutato?

E’ una cosa che è avvenuta naturalmente, non l’abbiamo progettata appositamente così. Sta di fatto che una buona percentuale delle persone che decidono di chiedere aiuto sia di sesso femminile, cosicché la nostra utenza ha sempre trovato un clima informale e familiare. Non sono mancati però utenti di sesso maschile che hanno giovato dello stesso clima senza sentirsi in imbarazzo nel chiedere aiuto né nell’essere aiutati. L’acquisizione maschile nel nostro staff è recentissima, ma ci siamo già trovati in sintonia e siamo sicuri che la collaborazione sarà proficua e arricchirà tutti noi a livello personale e lavorativo.

 

Progetti per il futuro dell’Associazione?

Abbiamo iniziato con il passaparola e siamo cresciuti. Adesso, come no-profit, puntiamo su progetti e innovazione, andando alla ricerca di fondi da parte di enti privati, poiché con quelli pubblici se non hai un nome affermato neanche sei preso in considerazione. Con il nostro progetto “Migranti Digitali”, infatti, tanti complimenti ma i fondi sono andati ad altri. Ci sono grandi Corporation, che investono sulle no-profit e proveremo a seguire questa strada. Per ora la Pubblica Amministrazione l’abbiamo accantonata.