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La salute del corpo e della mente attraverso lo sport

Sport e valori morali

Nel gymnasium, tipico della Grecia e della Roma antica, luogo in cui i giovani atleti si allenavano, si svolgeva l’importante relazione pedagogica tra allenatore e atleta che consentiva il passaggio di esperienza dal più anziano al più giovane, favorendo l’apprendimento di determinate competenze sociali e civiche, della disciplina e del rispetto. Tale relazione pedagogica è caratterizzata da quello che Vygotskij definisce scaffolding, ovvero impalcatura: l’allenatore supporta e guida l’atleta nel proprio sviluppo, sia fisico che morale, consentendogli di raggiungere il suo reale potenziale. L’insegnamento aiuta l’atleta a muoversi lungo la propria zona di sviluppo prossimale e ad ottenere sempre più responsabilità e indipendenza dal proprio allenatore.

Praticare un’attività sportiva sana infatti consente di apprendere il rispetto delle regole, il valore della fatica e dei possibili risultati raggiunti, permette di conoscere il proprio corpo e le proprie capacità e, infine, educa alla frustrazione derivante da una sconfitta.

L’attività sportiva, fin dai primi tempi, comprende quindi non solo il miglioramento delle proprie abilità fisiche ma anche l’instaurarsi di una relazione costruttiva e positiva col proprio allenatore. Negli sport di squadra subentra anche la possibilità di creare nuovi legami e di trovare degli amici: cooperare con altri diversi da me per ottenere lo stesso obiettivo, diminuisce la presenza di pregiudizi e di discriminazione. Il singolo non si percepisce più come individuo ma come parte di un gruppo che condivide non solo lo stesso obiettivo finale ma anche ogni singola sfida: la fatica fisica, le frustrazioni, le vittorie e le sconfitte vengono vissute tutti insieme e non in solitudine. Cooperare all’interno di un gruppo è fondamentale per ottenere una vittoria e questo porta il singolo a fare affidamento sugli altri: per creare un team vincente è necessario che ogni atleta sia convinto che dove non riuscirà ad arrivare lui, ci sarà un suo compagno pronto ad aiutarlo.

 

 A scuola di emozioni

Le emozioni, come in quasi tutti gli ambiti della nostra vita, giocano un ruolo fondamentale nella messa in atto di una prestazione sportiva ottimale. A partire dagli studi sulle emozioni negative quali rabbia o frustrazione sperimentate dagli atleti a seguito di una gara fallita, oppure l’ansia che caratterizza il momento prima di iniziare una competizione, Hanin e collaboratori hanno strutturato il modello individuale di funzionamento ottimale (1997, 2007). Il modello consente di valutare l’emozione dell’atleta, positiva o negativa, ed i relativi effetti, funzionali o disfunzionali, prodotti sulla prestazione. In base al modello le emozioni esperite da un atleta possono essere classificate in
• positive funzionali;                                      • negative funzionali;
• positive disfunzionali;                                 • negative disfunzionali.

La zona individuale di funzionamento ottimale coincide con l’area in cui le emozioni positive o negative sono funzionali, e quindi facilitanti, alla prestazione sportiva. Il modello di Hanin e collaboratori (1997, 2007) consente all’atleta di riconoscere una gamma di emozioni esperite prima, durante, e dopo la prestazione che gli consentirà di capire quali di esse sono funzionali all’ottenimento del risultato.

Saper riconoscere le proprie emozioni e saperle gestire, soprattutto quelle negative come frustrazione e rabbia, è un importante valore aggiunto che ci da la pratica sportiva. La frustrazione derivante da una gara andata male, il rispetto per un avversario più forte, la delusione di una sconfitta, sono tutti elementi che aiutano a comprendere e gestire queste emozioni al meglio anche al di fuori di un contesto sportivo. Lo sport non è soltanto attività sportiva ma è anche una scuola che educa alle emozioni, proprie e altrui.

 

Kids kicking cancer

Alla fine degli anni ’90, Rabbi Elimelech Goldberg, ha deciso di  fondare un associazione che collabora con importanti ospedali Americani nei reparti oncologici per insegnare a gestire il dolore cronico derivante dalla malattia. Lo strumento utilizzato per ottenere questo obiettivo è il Tai Chi poiché, come tutte le arti marziali, combina esercizi di potenza, di respirazione e di meditazione. Grazie a delle lezioni condotte da esperti, programmate in ospedale o a domicilio, i ragazzi del reparto oncologico riescono ad apprendere tecniche di visualizzazione e di gestione del dolore che potrebbero aiutarli nell’affrontare la malattia.

Il Center for Disease Control di Atlanta ha controllato la concretezza di tale intervento: l’86% dei bambini che hanno seguito le lezioni di Tai Chi, hanno utilizzato le strategie apprese per controllare l’avanzamento della malattia; il 100% dei bambini ha dichiarato di aver continuato ad utilizzare queste tecniche anche a casa; e l’88,1% ha riportato un miglioramento dei sintomi dopo aver svolto lezioni di arti marziali. Nel 2011 la Kids kicking cancer onlus è stata costituita anche in Italia.

Scritto da Federica de Lillis, Dott.ssa in Psicologia dello sviluppo tipico e atipico presso Facoltà di Medicina e Psicologa La Sapienza

 

Riferimenti bibliografici e sitografici

Hagtvet, K.A., Hanin, Y.L. (2007); “Consistency of Performance-Related Emotions in Elite Athletes: Generalizability Theory. Applied to the IZOF model”, Psychology of Sport and Exercise, 8, 47-72

Hanin, Y.L. (1997); “Emotions and athletic performance: Individual zones of optimal functioning model”, European Yearbook of Sport Psychology, 1, 29-72

Santrock J.W. (2013); “Psicologia dello sviluppo”, editore McGraw – Hill education