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Voglio inviarvi un messaggio importante

Quest’intervista deriva dalla testimonianza di un utente che desidera restare anonimo. Per motivi di privacy alcuni dettagli sono stati omessi e sono stati utilizzati nomi d’invenzione. Ringraziamo Eric per la sua voglia di raccontarsi e il coraggio dimostrato nell’affrontare le sfide della sua vita. Questa testimonianza è preziosa e ci insegna che reagire è possibile.

Salve Eric, vorrei che mi raccontassi la tua storia, soprattutto la motivazione che ti ha spinto a volerla raccontare. 

Era da tanto tempo che cercavo di raccontarmi… l’ho fatto per molto tempo attraverso la mia scrittura, infatti penso di terminare un libro, ovviamente romanzato, che dovrebbe essere il mio modo per superarla completamente… però certe cose hanno bisogno di tempo per essere totalmente chiare, quindi è per questo che ho deciso di fare l’intervista… anche perché mi sento veramente pronto per parlarne. Spero davvero che qualcuno si rispecchi nella mia esperienza, mi sentirei felice di poterlo aiutare indirettamente… principalmente per questo motivo, lo stesso per cui ho intrapreso gli studi di psicologia. Per quanto riguarda la questione del libro penso che giocando con la fantasia si possono aiutare molte più persone, perché si toccano le corde della sensibilità, della creatività, che sono insite in tutti gli esseri umani. Vedo molte persone che hanno a che fare con i problemi che ho avuto io durante l’adolescenza, che sono sempre molto uniti tra di loro… mi sono da poco laureato in psicologia e quello che voglio fare è riuscire a specializzarmi nell’ambito delle violenze. Voglio fare qualcosa di capillare per diminuire l’incidenza di questi fenomeni. Partiamo dall’inizio… io provengo da una piccola città, una città sperduta e squallida. Mi sono sempre trovato male, è stato molto difficile per me avere una vita sociale normale perché sono totalmente diverso dalla tipica persona che vive in questi posti. Già dalle elementari ho iniziato ad avere i primi problemini perché non mi piaceva il calcio, amavo scrivere e cantare, mi piacevano le lingue… ma quando cercavo di condividere le mie meraviglie, gli altri mi prendevano in giro perché dicevano: “ma come non ti piace il calcio?! Sei una femminuccia, sei stupido!”. Quindi ho iniziato ad avere paura, a perdere anche la mia gioia di vivere… che è una cosa molto triste, considerando che anche i miei stessi genitori ci hanno messo davvero molto tempo per capire che, insomma, io non sono quello che credevano…

Cosa si aspettavano che fossi?

Pensavano che fossi uno stereotipo vivente… semplicemente questo, non concepivano che non amassi il calcio, che amassi di più cantare o scrivere o ballare. Queste problematiche ci sono state anche quando ho scelto di andare al liceo, quando hanno pubblicato la mia prima poesia, quando ho deciso di studiare psicologia.. perché loro hanno delle idee preconfezionate in mente: “questo è giusto e questo è sbagliato”. Da qui ha avuto inizio la mia prima vera e propria lotta con il bullismo, è che sono capitato in classe con dei ragazzi che mi conoscevano ancor prima di conoscermi… avevano già iniziato a “prendermi per il culo”, senza neanche sapere chi io fossi… Io cercavo di non dar fastidio a nessuno, ero timido, rimanevo chiuso nella mia bolla e cercavo di non farmi troppo male… magari mi beccavano a scrivere una canzone sul banco e mi dicevano: “Ah ah, lo scrittore! Sei uno stupido!”. Per loro era una cosa inusuale, totalmente aliena e soprattutto non era una cosa abbastanza maschile, quindi naturalmente il primo appellativo che potevano appiopparmi era “gay”. All’inizio erano solo due persone che se la prendevano con me, cioè un ragazzo e una ragazza… poi mi sono ritrovato solo contro altre diciassette persone. Questa cosa è stata terribile perché era una cosa martellante tutti i giorni, quasi sette giorni su sette per cinque ore al giorno, quindi l’autostima è proprio crollata ed io ero insicuro su ogni aspetto. Tutte le cose che mi rendevano vivo erano nascoste, avevo proprio difficoltà, temevo il giudizio degli altri… ho iniziato a temere anche per la mia incolumità.

Che tipo di vessazioni ricevevi da queste persone?

Il termine gay era la forma più inoffensiva, perché poi si utilizzavano dei termini che erano molto più crudi. I professori dell’epoca credo che avessero una sorta di odio velato nei miei confronti perché notavo che adottavano due pesi e due misure, ma in modo spudorato! Quando tornavo a casa mi odiavo con tutto me stesso, perché poi era diventato un film dell’orrore… a parte il senso di solitudine che poi si è trasformato in vuoto, perché non avevo più amici. Si erano tutti allontanati perché “ero instabile mentalmente”, perché ero “quello strano”… che poi l’etichetta di “quello strano” la ho ancora adesso, ma è diventata un punto di forza perché è meglio essere strani che comuni.

Certo… piano piano è diventato un punto di forza. È così che ha avuto inizio?

Si, è durato per tutte le superiori. Ero il ragazzino “tonto”, “che stava all’angolo” che “non si spostava se il mondo crollava”…Con i miei genitori non ne parlavo perché loro invece di avvicinarmi mi hanno allontanato, mi controllavano in maniera pressante senza lasciarmi respirare. Cioè, io a sedici anni non ero nemmeno padrone di chiudere la porta della mia stanza. Ad un certo punto ho fatto crack. Ricordo che ho pianto, che avevo veramente paura, che non dormivo la notte, perché in mente mi tornavano quelle canzonature. Mi sentivo una nullità. Decisi di cambiare classe.

Cosa è successo in questa nuova classe?

Ho avuto proprio un momento down perché mi dicevo: “Tutti sono fidanzati, tutti hanno gli amici, hanno i gruppi. Loro possono scegliere, ma io no! Io non ho avuto questa possibilità, io non so chi sono! Non è giusto!”. Mi sentivo vuoto. Il senso di vuoto credo si sia sviluppato dal fatto che dicevo a me stesso che avevo solo ricordi falsi, che non avevo niente di vero tra le mani… penso di aver sfiorato la depressione più volte. Comunque, le cose lentamente migliorarono, c’era questo ragazzo che mi chiamava “fratello”, non avevo mai avuto dei fratelli, questa è una cosa che penso mi abbia trasferito mia madre… perché loro volevano altri figli che poi non sono venuti. Quindi mi sono estremamente legato a questo ragazzo. Il problema è che io non sapevo che era essenzialmente uno squallido. Tutto andò a rotoli, nel momento in cui confidai a questo amico di una ragazza che mi piaceva. C’erano questi grandi messaggi d’amore fra noi… quando poi un pomeriggio tornato a casa, su facebook trovai una foto di loro due insieme. Quando gli parlai di tutta questa storia lui ebbe una reazione spropositata e iniziò a minacciarmi: “Ti picchio! Ti picchio! Ti ammazzo! Ti uccido!”, gridando come un pazzo. Io ho reagito male.. e questo è stato brutto, però al liceo mi hanno portato al limite del limite.

Fin dove hai spinto questo limite?

Beh, il senso di vuoto mi ha portato a nascondermi nel cibo. Prima mi abbuffavo e ho iniziato a mettere su peso e, mi vergognavo ancora di più. Ho iniziato prima per gioco… immaginavo di non mangiare o di vomitare tutto. Immaginando questa cosa ho iniziato a mangiare sempre meno, a fare più attività fisica. Immaginavo le cose per metterle in atto, quindi non c’è stato un vero e proprio gesto quotidiano. Ammetto che certe volte sia andato ad abbuffarmi e che mi sia messo due dita in gola e abbia buttato tutto via…

E a volte lo immaginavi… quindi non sempre accadeva realmente, a volte immaginavi tutto?

Sì… non sempre accadeva realmente, però magari, nel momento in cui io lo immaginavo, io mangiavo poco o non mangiavo per niente, o mentivo dicendo di aver mangiato, oppure non mangiavo a pranzo, andavo a comprare delle pizzette, mangiavo solo quelle e poi nascondevo tutto.. infatti più di una volta mia madre trovò nei cassetti tutte le cartacce delle schifezze. Però lei non si spiegava come io potessi perdere peso mangiando certe cose. Quindi, andando avanti, ci fu un momento in cui appena mangiavo mi sentivo in colpa. Sapevo che non dovevo essere grasso, sapevo che non andava bene per questa società. Io credo che abbia a che fare da una parte con le parole, perché forse volevo vomitarle, non lo so.. dall’altra dovevo riempire questo vuoto. Mia madre usava frasi abbastanza forti, diceva: “Porco! Tu morirai grasso!”.

Ti diceva queste cose?

Sì sì… mia madre non si spiega perché avevamo questo rapporto conflittuale, lei non voleva vedere. Io sono passato dal “bravo bambino” a quello che rispondeva male, che si ribellava.. non ce la facevo più di essere grande senza avere la mia privacy, a non poter chiudere la porta del bagno, a non poter nascondere qualcosa nei cassetti. Era pesante! Iniziai poi a sperimentare gli effetti del non mangiare. Da ragazzino avevo questi capelli  nerissimi e foltissimi e a me piacevano molto.. non ricevendo più il nutrimento necessario, questi capelli si erano spenti, erano diventati crespi, si spezzavano come paglia. Ricordo che una volta, giocando con le mie cugine ho avuto un mancamento, perché naturalmente non mangiando o facendo finta di mangiare si arriva al punto in cui succede. Mia madre (che parla anche per mio padre, ha sempre parlato per tutti e due) iniziò ad essere intrusiva. Ero arrivato al punto che mi sentivo così in colpa mentre mangiavo che poi mi veniva da vomitare. Ricordo che una volta pensavo e ripensavo che mi sentivo in colpa e ho vomitato praticamente i succhi gastrici.. cioè il cibo che era diventato acqua. Cosa molto triste…

Come se l’unico modo per parlare fosse buttare fuori questi succhi gastrici, in qualche modo?

Sì, anche perché poi vedevo che la mia famiglia, quando perdevo peso e magari mi davo da fare, mi diceva: “Ah! Stai dimagrendo! Bravo!”. Perché loro, purtroppo, difficilmente mi lodavano… ed è una cosa terribile. Quando pensavo di aver toccato il fondo, ho reagito. Ho lasciato completamente da parte i miei compagni di classe…e il destino ha voluto che incontrassi un ragazzo molto simpatico sull’autobus. Diventammo molto amici, mi portò dal suo gruppo di amici… e lì ho conosciuto la mia prima ragazza importante. Ricordo di essermi proprio innamorato pazzamente, follemente. Però le cose non sono durate molto…

Non perdere la seconda parte dell’intervista

Valeria Saladino - Fondatore di Psicotypo

Psicologo clinico, psicoterapia ad approccio breve strategico, specializzato in scienze criminologiche, forensi e psicologia giuridica. Fondatore e Presidente di “Psicotypo Associazione per l’Informazione e l’Aggiornamento in Psicologia”. Dottore di ricerca e psicologo esperto ex articolo 80 presso la Casa Circondariale di Cassino. Studiosa della psicologia della devianza, in particolare del fenomeno dell’istituzionalizzazione e delle dinamiche psicologiche che costituiscono quest’ultimo, ha partecipato e coordinato interventi di valutazione e trattamento all’interno degli Istituti Penitenziari. Si è occupata inoltre di nuove dipendenze, gestendo il Behavioral Addictions Research Team, Centro di ricerca sulle dipendenze comportamentali. Oltre alla ricerca svolge attività di tutoring e consulenza per chi è interessato al settore della ricerca e alla costruzione di elaborati di tesi a carattere sperimentale.