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Soggetti insidiosi per l’arte

Il rapporto della società con l’arte è spesso mosso da faccende alquanto insidiose. Nel 2017 ad esempio è stata lanciata una petizione contro Thérèse Dreaming – dipinto da Balthus nel 1938 e conservato al Metropolitan Museum of Art di New York – accusato di promuovere la pedofilia. Problematiche simili sono dovute al fatto che si dimentica il compito dell’istituzione museale, ovvero raccogliere, studiare, preservare e presentare al pubblico la storia dell’arte in tutte le sue espressioni, le quali possono, anzi, devono essere usate come spunti di riflessione e discussione su come si sia evoluta la cultura nel tempo. Nel 2018 l’azienda dei trasporti di Londra si è rifiutata di appendere i cartelloni pubblicitari della mostra celebrativa del centenario della morte di Egon Schiele allestita a Vienna. Il problema era costituito dai due grandi nudi giudicati troppo osceni per le mura della metropolitana londinese.

I disegni erotici di Schiele avevano creato all’artista non pochi problemi già durante la sua breve vita. Nato nel 1890 a Tulln, nella Bassa Austria, Egon Schiele è considerato il precursore dell’Espressionismo. La morte del padre, quando aveva soli 15 anni, costituisce la prima ferita nel suo animo sensibile e tormentato che si riverserà nella sua arte. Egon si iscrive all’Accademia di Vienna dove entra in contatto con l’ambiente artistico e culturale di spicco – determinante sarà l’incontro con Gustav Klimt. La prima musa dell’artista, ritratta molto spesso nuda, è la sua giovane sorella Gerti minore di quattro anni, con cui ha un legame morboso e piuttosto ambiguo. Schiele morirà nel 1918 a causa della pandemia di febbre spagnola, a soli sei mesi dalla sua affermazione alla mostra della Secessione viennese. La sua breve vita è piuttosto travagliata e un evento in particolare segna la sua esistenza: nel 1912 viene arrestato con l’accusa di corruzione di minorenne e diffusione di disegni osceni.

L’accusa di pedofilia

Schiele viene trattenuto nel carcere di Neulengbach per 24 giorni, durante i quali scrive appunti, lettere e annotazioni nelle quali cerca di riflette su se stesso e sui motivi della prigionia. Tutto questo materiale è stato pubblicato quattro anni dopo la sua morte dall’amico Arthur Roessler sotto forma di diario narrato in prima persona con il titolo “Egon Schiele in prigione”. Il giovane si dichiara innocente e denuncia insistentemente quanto sia ingiusta la carcerazione preventiva che lo costringe a vivere in condizioni igieniche pessime. Le accuse che vengono mosse a Egon sono particolarmente gravi: il pittore avrebbe infatti sedotto e violentato la quattordicenne Tatiana von Mossig, figlia di un ufficiale del Ministero della Marina in pensione, e avrebbe inoltre esposto disegni pornografici alla vista di minori. La denuncia arriva proprio dal padre della minorenne sulla base dei racconti della figlia. Due agenti si recano nella casa/atelier di Schiele e durante la perquisizione gli confiscano 125 disegni erotici: è questo il materiale pornografico che Tatiana aveva visto insieme agli altri ragazzini.

Ma l’imputazione più grave di quella di aver prodotto e diffuso arte pornografica è senza dubbio quella della pedofilia. Egon è accusato da von Mossig di aver violentato sua figlia, ma l’accertamento medico richiesto in seguito alla denuncia smentisce l’accusa e assolve il giovane: nessuna violenza era stata fatta sull’adolescente. Ciò che faceva e fa mettere in discussione la personalità dell’artista sono alcuni soggetti delle sue opere e il modo in cui vengono rappresentati. Le figure femminili disegnate dal pittore ventunenne con sguardi languidi e terrificanti allo stesso tempo sono spesso delle donne giovanissime, al limite con l’infanzia, ritratte in pose provocanti o completamente nude. La critica e gli storici si sono a lungo interrogati sulla natura di questi disegni erotici e più in generale sull’origine introspettiva della produzione figurativa di Egon Schiele.

La psichiatria come fonte

Tendenzialmente gli studi sull’artista austriaco insistono sul fatto che egli fosse concentrato sull’interiorità alla quale cercava di dare forma facendo emergere i tratti dell’animo spesso travagliato dell’uomo soprattutto nei ritratti e nei suoi autoritratti. Le figure di Schiele sono delineate su sfondi neutri, spogli, apparendo così estraniati da una qualsiasi realtà. Dal 1910 i soggetti subiscono le prime deformazioni, rese con linee tese, spezzate e spigolose. Schiele cerca di evidenziare gli stati psichici per mezzo delle espressioni corporee in pose sconnesse e innaturali. Gli affanni interiori sono infatti illustrati tramite corpi magri che si torcono in virtuose contorsioni, con un’enfasi su occhi e mani che trasmettono un forte senso di ansia. Raramente le figure sono rilassate, la maggior parte delle volte i corpi sono contratti come in preda a una crisi isterica.

Nel 2000 lo storico dell’arte Klaus Albrecht Schröder (1955- ) è il primo a ipotizzare come fonti visive dell’artista le fotografie dei disturbi nervosi riprodotte nelle pubblicazioni del neurologo Jean-Martin Charcot (1825-1893), direttore della Salpêtrière di Parigi. Charcot riteneva che qualsiasi fattore delle malattie mentali si palesasse all’esterno, per tanto considerava la fotografia un utile strumento diagnostico. Le immagini vennero utilizzate per catalogare le fasi patologiche all’interno dell’atlante  “Iconographie de la Salpêtrière” e della rivista “Nouvelle Iconographie de la Salpêtrière. Clinique des Maladies du Systeme Nerveux” che trovarono ampia diffusione. Schröder rintraccia tra le foto scattate ai pazienti affetti da malattie psichiche all’interno dell’ospedale una serie di elementi da paragonare con le opere di Egon. Lo studioso individua gli scatti come la fonte che ha fornito all’artista un nuovo vocabolario rappresentativo, fatto di gestualità e mimiche facciali fortemente caratterizzate. Schiele non solo si è servito dell’iconografia patologica, ma ha tratto ispirazione anche dall’impostazione delle foto, il cui sfondo è una semplice parete neutra di una stanza dell’ospedale.

Ragazza con calze

 

Egon-Schiele

 

Autoritratto 1910

Riferimenti bibliografici

A. Schröder (2000). Egon Schiele e la “finis Austriae”. Milano: Skira.

Roessler (2010). Diario dal carcere. Milano: Skira.

Usai (2016). Egon Schiele e la rappresentazione della patologia. “Medea”, II, 1.

Immagini

Foto

Ragazza con calze grigie

Autoritratto, 1910