Skip to main content

I fattori protettivi e di rischio

Baby gang, cyberbullismo e varie forme di violenza tra minori descrivono solo la punta di un iceberg di un fenomeno, ben più profondo, che attanaglia gli adolescenti e parte dal disagio. Appare sempre più chiaro che non è solo lo svantaggio socio-economico a creare le condizioni per lo sviluppo della devianza giovanile. Il clima familiare, la mancanza di coesione e di una chiara differenziazione dei ruoli, oltre all’ assenza del passaggio del patrimonio di valori trasmessi dai genitori ai figli possono determinare un disorientamento generale. Tra i fenomeni di devianza in crescita vediamo il bullismo.  Si parte dalle aggressioni fisiche e col crescere dell’età si arriva alla violenza psicologica. Sono diversi i fattori e le dimensioni relazionali chiamate in causa. La condizione giovanile di oggi non è il “buco nero” della società, ma una finestra spalancata sulla realtà sociale nel suo complesso.

Il disagio adolescenziale resta una condizione imprescindibile nello sviluppo del futuro adulto, è frutto del processo di cambiamento che avviene nel giovane, sia a livello fisico che della personalità. Questo mutamento provoca confusione nell’adolescente, che accende una spia rossa verso l’esterno chiedendo delle risposte e spesso assumendo comportamenti devianti. Gli atteggiamenti devianti dell’adolescente diventano l’SOS che va colto dagli adulti, chiamati ad educare. Compito dell’educatore diventa quello di incanalare il ragazzo verso atteggiamenti socialmente accettati prima del loro cronicizzarsi. È importante capire e analizzare tutti quegli elementi che, in questa delicata fase, fungono da fattori di protezione e di rischio. Occorre un’analisi che non abbia come fine la giustificazione degli atti devianti ma solo una presa di coscienza da parte degli educatori sulle azioni da intraprendere. Un’analisi non limitata al singolo individuo o alla sua famiglia ma che abbracci l’intero contesto socio-economico.

Dal passato ad oggi la devianza è oggetto di studio

Un punto di ripartenza sugli studi relativi al fenomeno della devianza è certamente quello degli anni ’70 che vide in prima linea il sociologo Howard Becker con la teoria dell’etichettamento. Una serie di riflessioni da parte del sociologo statunitense ribaltarono gli studi sulla devianza, in precedenza più concentrati sulla responsabilità del deviante e sulle cause ad esso direttamente collegate. Il focus degli studi iniziò ad essere incentrato sulle responsabilità dell’intera collettività, chiamando in causa la reazione delle persone e delle istituzioni. I meccanismi oggetto di studio diventavano tutti quei processi che portavano gli adolescenti ad adattarsi alle normative fino alla fase della maturità e della piena consapevolezza. La domanda che ci si poneva era dunque perché alcuni giovani scegliessero di comportarsi secondo regole socialmente accettate mentre altre no. Grande enfasi venne data all’influenzamento delle persone che pre-confenzionavano gli atteggiamenti contribuendo ad etichettare e quindi ad enfatizzare certi comportamenti.

 

Disagio e devianza giovanile: una lunga strada da intraprendere insieme

I modelli culturali dominanti sono occasione di imitazione e di apprendimento da parte dei giovani soprattutto per i comportamenti aggressivi e trasgressivi. L’educazione alle regole non passa solo attraverso gli insegnamenti, ma anche attraverso l’identificazione con le figure parentali. Il contesto della relazione extrafamiliare ma soprattutto l’appartenenza ad un gruppo può costituire un importante fattore precipitante. Una progettazione sociale dovrebbe avere in cima ai propri obiettivi questa consapevolezza e lavorare insieme a genitori, insegnanti ed operatori psicosociali. È importante rispondere in maniera adeguata alle diverse sfaccettature della trasgressività e del disagio adolescenziale, rielaborare il disagio ed evitare che si cronicizzi e sfoci in una carriera deviante.

Il disagio adolescenziale è un fattore comune a tutte le epoche storiche, ma è anche quell’ elemento a partire dal quale si è sempre innescato il meccanismo che porta alla violenza. Un salto nel passato e appare chiaro che gli episodi di violenza hanno sempre fatto parte del vivere quotidiano degli esseri umani, nelle sue varie forme. Resta stimolante ma anche utile capire come e con quali strumenti è stata affrontata, gestita e incanalata la violenza. La religione greca offre uno spunto interessante attraverso la costruzione dei “mito” e del “rito”. Essa esaltava, attuava e simulava la violenza contribuendo a palesare un meccanismo insito nella natura umana e nel costruire un patto tra divinità e umanità ne attenuava le forme. La funzione narrativa può ricoprire ancora un ruolo fondamentale nell’educare al disagio e agli atti devianti prevenendo una subcultura della devianza con il suo corredo di violenza.

 

Scritto dalla Dott.ssa Tania Tamburro, Scienze Pedagogiche, Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale

 

Riferimenti bibliografici

Becker, Howard. S. (2017) Studi di sociologia della devianza. Milano: Meltemi

Ruo, Maria Giovanna, Toro, M. Beatrice.(Eds) (2011) Adolescenza e adultescenza. Roma: CISU