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L’automedicazione: la quantità che fa la differenza

Le persone bevono in modo smodato o usano le sostanze alcoliche per diversi motivi e spesso hanno una doppia diagnosi, cioè una comorbilità con altri disturbi. Da questo nasce l’ipotesi dell’uso di alcol come forma di automedicazione, cioè per far fronte a un disagio e lenire il malessere personale. Questa non è l’unica ipotesi, l’assunzione di sostanze potrebbe anche slatentizzare i sintomi psichiatrici o esserci un’associazione causale tra le due diagnosi. In ogni caso, in presenza di un uso smodato, la sostanza diventa l’unica via d’uscita, si percepisce di non avere scelta e il suo uso compensa le carenze o gli eccessi dei neurotrasmettitori. Infatti, le sostanze agiscono sul sistema nervoso centrale in modo diverso: possono fungere da stimolanti o da sedativi. Tale meccanismo porta i dipendenti, a seconda delle loro esigenze, ad assumere o meno una determinata sostanza in base all’effetto di cui necessitano.

L’alcol è una sostanza che agisce in duplice modo, la quantità fa la differenza; se assunto in dosi moderate funge da inibitore dell’ansia e da antidepressivo. A seguito di assunzioni alcoliche le persone possono percepirsi più solidali e socevoli, meno ansiose e con un tono dell’umore meno depresso. Se invece assunto in dosi massicce, l’alcool può produrre l’effetto opposto diventando un potente sedativo o “deprimente” il sistema nervoso. Coloro i quali lo usano in misura smodata spesso vogliono “stordirsi” per non sentire le proprie emozioni o per evitare pensieri scomodi (Khantzian, 2003). L’abuso alcolico è infatti spesso correlato con varie patologie tra cui l’ansia, la schizofrenia, il disturbo post-traumatico da stress e il disturbo bipolare.

 

Le ricadute: cosa potrebbe fare la differenza?

La dipendenza da alcol è ritenuta una malattia cronica e soggetta a ricadute. L’incidenza del disturbo è alta, ad esempio in America colpisce quasi un terzo della popolazione (Flook et al., 2020). Negli Stati Uniti è più diffuso tra i maschi adulti (12,4%) rispetto alle femmine adulte (4,9%) (A.P.A., 2014). In Inghilterra circa 1,6 milioni di persone dipendono dall’alcol e molte ancora si ritiene possano trarre beneficio dal trattamento. A livello globale la situazione è preoccupante, un adulto su cinque riferisce almeno un episodio di abbuffata alcolica. I risultati circa l’efficacia della disintossicazione sono spesso scarsi e non si basano sempre sulla relapse prevention (Kouimtsidis et al., 2019). In passato non si riteneva possibile il concetto di ricaduta, la visione era dicotomica tra la completa astinenza a seguito dell’intervento di disintossicazione oppure il fallimento dello stesso. I dipendenti erano spesso costretti a mentire e a nascondere le ricadute per paura di essere esclusi dal programma di riabilitazione. La visione oggi è cambiata, si riconosce la difficoltà delle persone di uscire dalla dipendenza e si ritiene necessario un intervento multifattoriale che tenga conto anche di fattori biologici.

L’approccio cognitivo-comportamentale riconosce la ricaduta come un processo possibile e da affrontare (Stein et al., 2002). Bere una volta dopo un periodo di astinenza è considerata una lapse, ossia una scivolata. Questa scivolata può essere gestita e non è detto che si abbia una ricaduta completa o relapse. A fare la differenza è come la persona decide di gestire la scivolata. La reazione alla scivolata può infatti condurre alla cronicizzazione dello sbaglio oppure a vivere il medesimo come un errore commesso e al quale si può rimediare. I pensieri e i sentimenti spesso negativi che la persona vive, se non gestiti, posso condurre alla totale ricaduta, relapse. Partendo da tale presupposto il trattamento dovrebbe comprendere l’incremento delle abilità di coping della persona, la quale aumenterà così anche le sue capacità di gestire proficuamente la scivolata, intesa come un momento di difficoltà e non come un fallimento personale (Rangé et al., 2008).

 

Qualche considerazione

Le persone che bevono non è detto siano dipendenti. Allora, quali sono i motivi per cui alcune persone sviluppano una dipendenza e altre no? Sicuramente la genetica e di conseguenza il temperamento gioca un ruolo importante nello sviluppo della dipendenza. I tratti disinibiti di personalità hanno un’alta correlazione con l’uso di sostanze. L’impulsività e la ricerca d’eccitazione predicono una vulnerabilità per l’uso smodato di alcol. Un altro fattore temperamentale è l’evitamento del danno che impedisce di inibire il comportamento e di considerare le conseguenze per quanto spiacevoli. Ed infine i tratti antisociali sono spesso associati a una scarsa sensibilità verso le potenziali conseguenze prodotte dal bere (Finn et al, 2017).

La dipendenza da alcol è un fenomeno sempre più diffuso. Non si intende demonizzare l’alcol ma rendere le persone più responsabili circa il suo utilizzo. La dipendenza va considerata secondo il modello bio-psico-sociale, ossia da un punto di vista biologico, psicologico e anche sociale. L’alcol può essere assunto per “anestetizzare” le emozioni negative che non si vogliono provare e funge da rinforzo negativo. La persona lo userà, quando si troverà in condizioni simili e così il comportamento disfunzionale verrà appreso e ripetuto, producendo il circolo della dipendenza. Spesso gli alcolisti sono incapaci di gestire i conflitti sociali e vivono condizioni di stress, elemento da considerare per il trattamento della dipendenza. I conflitti potrebbero scatenare la scivolata e quindi, è utile agire per modificare in parte il contesto dell’individuo. Dall’altro lato è bene insegnare le modalità adeguate di comunicazione che congiuntamente all’integrazione di una cura farmacologica e di strategie comportamentali possono dare grandi benefici (Invernizzi et al., 2012).

 

Riferimenti bibliografici

A.P.A. (2014). DSM-5, manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Milano: Cortina Raffaello.

Finn, P.R., Fisher, L., Mayer, H., Ingram, P., Howe, L. & Atkinson, E. (2019). Disinhibited personality, incentives, disincentives, and drinking-related decisions. Alcohol.. DOI:10.1016/j.alcohol.2019.08.004.

Finn, P.R., Gerst, K., Lake, A. & Bogg, T. (2017). Decisions to attend and drink at party events: the effects of incentives and disincentives and lifetime alcohol and antisocial problems. Alcohol club ex res, 41 (9). DOI:10.1111/acer.13443.

Invernizzi, G. & Bressi, G. (2012). Psichiatria e psicologia clinica, 4e. Milano: McGraw-Hill.

Khantzian, J. (2003). The self-medication hypothesis revised: the dually diagnosed patients. Primary psychiatry.

Rangé, B.P. & Marlatt, G.A. (2008). Cognitive-behavioral therapy for alcohol and drug use disorders. Braz J Psychiatry.

 Stein, L.A. & Lebeau-Craven, R. (2002). Motivational interviewing and relapse prevention for DWI: A pilot study. J Drug Issues.