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Il mondo dei tatuaggi (e non solo) raccontato da Yuri

Yuri ha ventitré anni, coltiva una grande passione per il disegno, la pittura e le arti figurative in generale. Un amore sbocciato nell’infanzia che ben presto si tramuta nella sua principale forma di espressione poiché dislessico. Un interesse tanto forte da fargli conoscere il mondo dei tatuaggi e trasformarlo nel proprio lavoro. L’amore per ciò che si fa, rimane uno dei parametri migliori nella scelta della propria professione. Un ambito fondamentale per condurre una vita che non sia costellata da frustrazioni e rimpianti. In quest’intervista conoscerete Yuri, un giovane artista del tatuaggio che ci racconta la sua storia e il suo punto di vista sul mondo.

Yuri, come sei arrivato a incontrare il mondo dei tatuaggi?

Sin da piccolo amavo disegnare. Avvicinandomi a questo mondo, ho scoperto che grandi artisti del calibro di Picasso soffrivano di dislessia, come me. Disegnare, da piccolo, è stata la principale forma di comunicazione. Mia madre poi si è sposata con un tatuatore, da lì il passo è stato breve per innamorarmi di questa forma d’arte. Avevo sedici anni, disegnavo per una media di cinque ore al giorno, da autodidatta… avevo sempre un pezzo di carta e una matita a portata di mano. Quando ho cominciato a interessarmi al tatuaggio, nessuno credeva in quello che stavo facendo. Fino al giorno in cui ho portato a casa dei risultati.

La dislessia è stata una sorta di stimolo?

Sì ha fornito una spinta decisiva. Leggere era una fonte d’imbarazzo e frustrazione, scambiavo in continuazione le lettere delle parole, complicando non poco l’apprendimento della lettura. Nell’arte del disegno, invece, era tutta un’altra storia e non ero a disagio. Bastava osservare e applicarsi con molta pratica. Ho dato sempre il massimo, motivando tutto con la passione. Per quanto riguarda i tatuaggi, molti hanno provato a dissuadermi affermando che è una cosa che devi avere dentro di te… E gli adulti di riferimento che instillano dei dubbi nella tua mente di adolescente possono bloccarti! E portarti a delle scelte diametralmente opposte. Ma ho ribaltato il risultato, superando in bravura il compagno di mia madre. Non lo dico per vantarmi, ma solo per dare il senso del valore delle decisioni che ho preso in un’età molto particolare, com’è quella dell’adolescenza. Con questo, non voglio affermare che non si debbano ascoltare i consigli degli adulti, ma non dobbiamo neanche ignorare quello che sentiamo dentro di noi.

È un lavoro particolare il tuo, si crea un’intimità molto forte con il cliente, mettendo le mani sul suo corpo per disegnare qualcosa d’indelebile.

Sì, è vero. Mi sono avvicinato al mondo dei tatuaggi perché diventi una sorta di messaggero di un’arte. Il dipinto su tela, su un muro, su un foglio si ferma a quello che un artista vuole rappresentare… il tatuaggio, al contrario, deve tradursi in quello che il cliente vuole, dipingere sul corpo la sua arte. L’obiettivo che mi pongo sempre è quello di capire il significato che si vuole dare al tatuaggio commissionato. Costruire insieme al cliente il suo tatuaggio è, per me, la cosa più bella e stimolante.

Tramuti in immagine dei messaggi, delle emozioni, a conferma del fascino e della potenza di quest’arte. Possiamo affermare che le persone che vanno da un tatuatore mettono a nudo la loro anima?

Assolutamente sì. Quando sono in seduta ti raccontano di tutto sulla loro vita.

In un mondo dove la comunicazione è fredda, sterile, superficiale, le persone tornano nella “bottega” dell’artista. Costruiscono un rapporto che va oltre il semplice scambio commerciale della domanda e dell’offerta. Rapporti che arricchiscono anche te…

Indubbiamente, anche se poi ti restano impressi gli avvenimenti più drammatici. Ricordo un mio coetaneo, era venuto per tatuarsi tutto un braccio. Un bravo ragazzo con cui sono entrato subito in sintonia: voleva costruirsi una famiglia, fidanzato da quando era adolescente e con il desiderio di una vita serena. Decidemmo insieme il modo in cui rappresentare la sua idea. Gli ho tatuato il braccio in varie sedute, dove abbiamo parlato molto. Poi, per un anno e mezzo non ho più avuto sue notizie, e nel nostro lavoro è la normalità. Dopo quel periodo di tempo, si è presentato allo studio suo padre e mi ha comunicato che il figlio era deceduto in un incidente stradale.

Come mai il padre ha sentito il bisogno di dirti quello che era accaduto?

Era un uomo comprensibilmente sconvolto. Aveva intenzione di tatuarsi sia lo stesso disegno che il figlio aveva sul braccio sia il suo ritratto. Inizialmente, sconsiglio di fare l’immagine di una persona cara appena scomparsa. È meglio aspettare, fino a che il dolore non diventa più accettabile, altrimenti ogni volta che si vede il suo volto, si rischia di stare peggio. Per quello che riguardava lo stesso disegno sul braccio, gli indicai delle modifiche, per dare il giusto significato alle motivazioni che lo avevano spinto a quella decisione. Ha compreso i miei consigli, non si è subito fatto il ritratto e insieme abbiamo deciso le variazioni da apportare al tatuaggio del figlio. Oggi porta sulla pelle un ricordo che lo fa stare bene, con il significato che lui gli ha voluto dare, non solo mosso dal dolore in una fase acuta.

Fare un gesto d’impulso, in un momento di dolore potrebbe essere controproducente. Sei anche un po’ psicologo in questi casi…

Diciamo che sviluppi un ottimo livello di empatia, e con essa trasmetti l’importanza che assume la riflessione nel decidere di fare un tatuaggio per determinati motivi, che non siano legati ad una semplice moda.

Negli ultimi trent’anni il tatuaggio è stato sdoganato. Non se lo fanno solo i detenuti e i marinai, come si diceva un tempo. Farlo per moda può svilire il lato artistico?

I tatuaggi subiscono le tendenze. Ricordo da piccolo, i primi anni del 2000, c’è stato il boom dei tatuaggi tribali. Tutto è iniziato per moda, e da una parte è stato un bene per il mio mondo. Ha tolto quella visione negativa su chi decide di farsi un tatuaggio. Sicuramente ne risente l’originalità, è diventata un’industria, dove si massificano i simboli, molti clienti arrivano con idee stereotipate, e non con l’intenzione di lanciare un proprio messaggio. Cerco sempre di farlo intendere questo passaggio. Spesso si presentano allo studio con un tatuaggio preso sui social, e lo vogliono identico, e per un tatuatore è un offesa mortale. Accettare l’esempio va bene, ma copiare un altro artista proprio no!

Come se qualcuno chiedesse a Picasso di copiare Van Gogh?

Esattamente, e questo un tatuatore professionale non lo accetta. Si può decidere insieme di fare un disegno simile, ma se vuole una copia non la faccio. La moda ha portato con sé questo effetto collaterale: se lo fanno tutti, come in una catena di montaggio… e le idee sono sempre meno originali. La bellezza del tatuaggio sta nella sua unicità. In giro ci sono molti artisti con il proprio stile, che non può essere svilito dalle “richieste del mercato”.

Quali sono i tatuaggi più richiesti? Quando parliamo di mode ci sono le tendenze…

Certo, abbiamo passato un periodo delle stelline, come avrai notato anche tu. Ma sono anche i personaggi famosi a fare tendenza: Beckham, per esempio, ha portato molti a farsi tatuare le nuvole. Il gladiatore di Totti l’ha voluto mezza Roma, e non solo… Recentemente è andata molto di moda la formula di Dirac, un’equazione presa in prestito dalla fisica per interpretare la nascita di un rapporto: quando due sistemi interagiscono tra di loro per un periodo, e poi si separano, non potranno più essere descritti come sistemi distinti, ma in un certo modo sono diventati un unico sistema. E ciò che accade ad uno continuerà ad influenzare l’altro. Solitamente, è un disegno che si fa chi vuole rappresentare un fidanzamento. E poi va molto il simbolo dell’infinito, anche questo solitamente vuole rappresentare un amore. I fisici spiegano che è un’interpretazione molto forzata di quell’equazione, ma ormai nell’immaginario collettivo ha preso piede.

Domani la seconda parte dell’intervista