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Età evolutiva

Il bambino deprivato: dall’abbandono all’adozione | Parte II

Leggi la prima parte dell’articolo

DPTS e il disturbo dell’apprendimento nel bambino abbandonato

I traumi subiti dal bambino abbandonato possono manifestare tutta la loro virulenza nel DPTS; un Disturbo Post-Traumatico da Stress, per esempio nelle sue classiche forme caratterizzate dall’angoscia, dall’introversione e da possibili incubi notturni. Il bambino abbandonato può anche elicitare problemi nell’area scolastica e specificatamente in quella dell’apprendimento (Brodzinsky e Schechter, 1990), perché egli si potrebbe mostrare impermeabile a qualsivoglia stimolo. Inoltre, vi possono essere problemi per quanto riguarda la memoria, dovuti ad eventuali e/o probabili traumatizzazioni vissute in epoche precedenti a quella della formazione scolastica.

Infatti, con recenti tecniche di rilevazione diagnostica si è potuto constatare che i traumi determinano la morte di milioni di neuroni, e proprio in quelle aree cerebrali, come l’ippocampo, che sovraintendono all’integrazione della memoria. Inoltre, tali traumi cagionano significative inibizioni, impedendo oltremodo la possibilità di regolare con una azione unificatrice le diverse e tumultuose emozioni (secrezione di serotonina) relative ai vissuti esperienziali non educativi (Malacrea, 2004).

Altre forme disfunzionali, oltre al DPTS e alle problematiche relative all’apprendimento, possono cagionare nel bambino abbandonato: a) paura costante della perdita nelle varie forme che si possono esplicitare; b) sfiducia verso gli altri e il mondo nella sua complessa e variegata espressione; c) l’instaurarsi e il consolidarsi di una certa quota di ambivalenza.

 

Le disfunzioni: perdita, sfiducia e ambivalenza

Questo bambino si caratterizza come un bambino che teme costantemente di vivere o rivivere un’esperienza di perdita e, nel senso specifico, la perdita della propria madre. Tale dimensione dovrà essere sottoposta a rielaborazione attraverso il supporto della sua eventuale nuova famiglia, e/o prima ancora dagli operatori delle istituzioni nelle quali il bambino si troverà ad attraversare.

Ci troviamo di fronte ad una situazione fortemente traumatica, per cui si elicitano per esempio ansie e timori eccessivi, fino a giungere a non esprimere più in alcun modo le proprie emozioni, e a non riuscire a mantenere nel tempo legami significativi.

Inoltre, il bambino abbandonato può rifiutare l’affetto dei genitori adottivi, soprattutto quel bambino che ha subito violenza o financo abusi, come si accennava più sopra. Questi genitori devono saper ascoltare le emozioni e i desideri del bambino adottato, mostrando nei suoi confronti disponibilità e rispetto.

La sfiducia che il bambino adottato nutre e/o riversa nei confronti degli altri, ma anche verso sé stesso, può esplicitarsi anche a distanza di tempo e possono riguardare tra gli altri anche i genitori adottivi. In questo processo il bambino reitera dentro di sé un eco del suo passato disfunzionale, caratterizzato appunto dalla perdita della madre che rappresenta tutto per lui. Le sue stesse emozioni e la cognizione che ha della realtà in divenire possono rimanere gravemente inficiate.

Poi c’è l’ambivalenza, che non possiamo non prenderla in considerazione quando essa si presentifica nelle relazioni insite nei vari contesti di vita. Per esempio, il bambino che ha subito l’abbandono ab origine ama, e continua ad amare nonostante tutto, e seppur con grandi e a volte gravi difficoltà, la persona significativa che invece di sè ha mostrato i lati meno virtuosi della sua identità. Egli deve necessariamente giungere ad una deidealizzazione dei suoi genitori biologici, chiarificandogli quegli episodi negativi che ha dovuto subire e al fine di condividere insieme ai nuovi genitori tale fondamentale spostamento psichico. Se così non fosse, in lui potrebbe insorgere una conflittualità allorquando diventerà pienamente consapevole di tale ambivalenza.

I “sentimenti di colpa, di inadeguatezza personale e di rancore per quel che è accaduto” (Scabini e Cigoli, 2000, p. 240) possono essere connotati da compiacenza, ma anche da aggressività, oppositività e provocazione se non violenza. Tali modalità lo domineranno a lungo, e lo faranno sentire un bambino cattivo, soprattutto se aggressivo e oppositivo, che non merita amore e i cui bisogni possono essere di tipo sadico o di crudeltà gratuita. In questa situazione egli vuole esprimere tutta la sua precarietà e tutto il suo bisogno di essere accettato per ciò che è.

Il bambino deprivato e compiacente potrebbe aderire pedissequamente a quel grande bisogno dei genitori adottivi di formare, attraverso l’adozione, la tanto agognata famiglia perfetta. Invece, il bambino che si oppone e aggredisce si presenta come un bambino non del tutto accettabile, perché posizionato su una linea che separa la sua accettazione dall’abbandono vissuto precedentemente.

Quando verranno esternati atti violenti è come se il bambino deprivato volesse annullare quei suoi sentimenti abbandonici colmi di angoscia. E proprio tali agiti sarebbero i diretti responsabili, secondo lui, dell’essere stato abbandonato. Di fronte a sé ci potranno essere figure che lo avverseranno, e che lui non sarà in grado di affrontare perché ancora non ha le competenze necessarie per affrontarle. In alternativa a tale situazione si potrà osservare una forte conflittualità, che potrebbe diventare permanente e sconvolgere ulteriormente il proseguimento del suo sviluppo. La disintegrazione del confine tra ciò che è bene e ciò che è male si potrebbe inverare anche nella parte più intima di questo bambino. Egli si potrebbe sentire inadeguato, un sentimento che avrebbe determinato poi, secondo lui, l’abbandono da parte dei genitori biologici.

 

Accogliere, ascoltare e sostenere

I genitori adottivi, e in particolare la madre come principale punto di riferimento dell’adottato nel chiedere aiuto e consiglii (v. Carrà e Marta, 1995), devono essere consapevoli dell’insieme di tali situazioni psicologiche dell’adottato. Per questo motivo essi devono essere bravi ad accoglierlo per dargli in prospettiva un’evoluzione funzionale in grado di accompagnarlo adeguatamente lungo l’arco della sua vita. L’adozione non deve rivelarsi a sua volta una modalità ulteriore volta nel peggiore dei casi a disgregare l’identità dell’adottato. Egli viene introdotto in una nuova realtà, che potrebbe diventare decisiva e non divisiva, in una nuova famiglia e con nuovi genitori. Qui, il suo passato viene obliato per far posto ad una lettura diversa della vita, che da quel momento in poi assume anch’essa nuovi punti di riferimento, e dando corpo in tal modo ad una nuova “decodificazione” della realtà.

Il dolore del bambino può essere superato se i genitori adottivi sapranno ascoltarlo, senza infingimenti, e accoglierne i vissuti dolorosi attraverso l’utilizzazione di strumenti che gli permettano di superare quel vuoto psichico che lo sovrasta e che potrebbe annientarlo. Tali genitori dovranno aiutare e sostenere questo bambino ad elaborare fino in fondo l’esperienza deleteria e gravemente traumatizzante dell’abbandono. Ciò è possibile elaborandone il lutto, e tenendo conto anche del ciclo di vita nel quale egli sta transitando.

I genitori adottivi devono essere in grado di porre in atto concretamente la loro capacità di sostenere non solo il bambino, ma anche loro stessi, dal dolore e dalla sofferenza dei loro vissuti. É altrettanto fondamentale anche la capacità di dare sicurezza al bambino adottato, per esempio rinforzandolo nelle sue competenze fino a quel momento acquisite.

 

Il mandato

Quindi, il “mandato” dei genitori adottiv è quello di creare un ambiente relazionale rassicurante, per far sì che il bambino si possa esprimere e ridefinire nei suoi diversi e variegati aspetti. Questo processo assume il significato di contenere pienamente questo bambino nelle sue espressioni più autentiche, che caratterizzano da quel momento in poi la sua personalità. Lo sforzo dei genitori adottivi comprende anche la capacità di sostituire il bambino che per tanto tempo ha immaginato, con il bambino, quello sì reale, che ha di fronte a sé (v. per es. Kaës et al., 1995).

In tal modo, si viene a rinsaldare opportunamente un legame affettivo non eludibile, che permette di far elaborare quel mondo a lui sconosciuto ma dal quale ha avuto origine. Sarà possibile per quel bambino sentirsi davvero considerato nella sua specificità, dandogli o restituendogli così la possibilità di raggiungere una certa stabilità emotiva, proprio con la metabolizzazione del trauma. Tutto ciò contribuirà significativamente a proseguire sulla via della crescita con modalità il più confortevoli possibili.

Scritto da Roberto Martino, dottore in Psicologia applicata, clinica e della salute

 

Riferimenti bibliografici

Artoini Schlesinger, C. (2006), Adozione e oltre. Immagini parole e pensieri dell’altro mondo. Borla, Roma.

Brodzinsky, D.M., Schechter, M.D. (1990), The Psychology of Adoption. Oxford University Press, Oxford.

Carrà, E., Marta, E. (1995), Relazioni familiari e adolescenza. Franco Angeli, Milano.

D’Arrigo, M., Testa, D. (1992), Armonie e disarmonie nella relazione madre-bambino come modalità di strutturazione precoce della personalità, Rivista di Psicologia Analitica, 45, pp. 75-83.

Di Sauro, R., Marchegiani, F. (2008), L’adozione, le radici dell’appartenenza. Aracne Editore, Roma.

Ferenczi, S. (1931), Analisi infantili con gli adulti, in S. Ferenczi, Opere, vol. IV, Raffaello Cortina, Milano 2002.

Kaës, R., Faimberg, H., Enriquez, M., Baranes, J-J. (1995), Trasmissione della vita psichica tra generazioni. Borla, Roma.

Malacrea, M. (2004), La terapia nell’abuso all’infanzia: le ragioni teoriche dell’evidenza clinica. Connessioni, anno VIII, n.14.

Scabini, E., Cigoli, V. (2000), Il famigliare. Legami simboli e transizioni. Raffaello Cortina, Milano.

Zetzel, E.R., Meissner, W.W. (1973), Psichiatria psicoanalitica. Boringhieri, Torino 1976.