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Età evolutiva

Il bambino deprivato: dall’abbandono all’adozione | Parte I

Il bambino abbandonato e le tipologie di abbandono

Quando un bambino è abbandonato a se stesso, egli è costretto a vivere un drammatico trauma, o relazioni traumatiche, in quanto scompare dal suo orizzonte la figura di accudimento fondamentale (Artoni, 2006). In tal modo, si pregiudica non solo la sua sicurezza ma anche la necessaria protezione di cui ha bisogno.

L’abbandono si può esplicare in due forme specifiche. Quando il bambino viene abbandonato sin dalla nascita, senza avere la possibilità di sperimentare la fondamentale relazione di attaccamento con il caregiver; quando il bambino viene abbandonato in un secondo momento, dopo aver vissuto per un certo periodo con la propria madre.

In entrambe le due forme di abbandono vi saranno in futuro conseguenze significative, e particolarmente negative dal punto di vista eminentemente dello sviluppo evolutivo. Vi sono madri che non sono in grado di dare vita ad una relazione con il proprio bambino, e questa incapacità può dar luogo ad una separazione/abbandono del medesimo rapporto (D’Arrigo e Testa, 1992).

Di fronte a questa possibile e concreta realtà il bambino abbandonato, cosiddetto bambino deprivato, ovviamente non è in grado di interpretare ciò che gli sta accadendo. In questo bambino è profondo ed ampio il dolore, caratterizzato da angosce di annientamento e disorientamento, nel quale si ritrova a dibattersi, e non è in grado di comprenderne razionalmente il senso, i motivi estrinseci ed intrinseci dell’essere stato abbandonato. Per questo motivo egli potrebbe elicitare modalità comportamentali del tutto asimmetriche: rabbia e depressione. Tuttavia, tali dimensioni sono opportune per esempio per la sua sopravvivenza psicofisica.

Egli potrebbe non possedere ancora il linguaggio e le cognizioni di base utili e necessarie per poter comunicare adeguatamente ciò che effettivamente sta provando. Su un altro livello di consapevolezza e paradossalmente si potrebbe ritenere lui stesso responsabile unico di questo agito abbandonico, semplicemente perché è giunto al punto di considerarsi un bambino cattivo. Questo bambino non avrebbe alcun merito di avere dei genitori, così come li hanno normalmente gli altri bambini, e soprattutto dei genitori che possano dimostrare di volergli davvero bene.

 

L’elaborazione dei genitori adottivi

I genitori adottivi per proprio conto devono aver già elaborato appieno e positivamente il fatto di non poter concepire naturalmente propria prole. Invece, se tale ferita non si è ancora rimarginata potrebbe scatenare in loro invidia e rabbia rivolta nei confronti per esempio dei genitori del bambino adottato, e l’insorgere prepotente del voler essere risarciti. Da ciò ne conseguirebbe una genitorialità distorta, con agiti espulsivi nei confronti del bambino deprivato, e con il fallimento tout court dell’adozione.

Quindi, è imperativo per questi genitori saper accogliere e proteggere il bambino abbandonato, nel considerare innanzitutto che cosa egli possa aver vissuto, e dando una spiegazione il più possibile contenitiva a quegli eventi ed episodi avversi che ne hanno caratterizzato quello status (Di Sauro e Marchegiani, 2008).

Il bisogno primario e ineludibile di questo bambino è innanzitutto accoglierlo “a prescindere” in seno alla sua nuova famiglia. In secondo luogo, potergli offrire la possibilità di comprendere razionalmente quello che gli è capitato, dovendolo subire senza alcuna mediazione altra, e tale da poterlo in qualche modo salvaguardare dallo spettro di un dolore indicibile. A maggior ragione, ciò vale se il bambino oggetto dell’abbandono nel frattempo è stato istituzionalizzato (per es. in una comunità o in una casa-famiglia). In tal modo, egli è stato costretto a vivere una dimensione esistenziale che ha dovuto sperimentare prematuramente, connettendola ad altre vicissitudini particolarmente negative: laddove potrebbe vigere spesso un’interazione con l’Altro basata essenzialmente sul “chi è più forte”. Il più “debole” potrebbe soccombere e smarrirsi se non sostenuto adeguatamente. Insomma, il bambino si è dovuto difendere in questo contesto con strumenti e/o strategie a volte non del tutto consone.

Come si evince da questi succinti accenni, si tratta fondamentalmente di un bambino che può aver subito dai genitori biologici, per esempio tossicodipendenti, alcolisti o affetti da una qualche patologia psichiatrica, maltrattamenti, violenze fisiche e psichiche, abusi (spesso anche di origine sessuale), e grave trascuratezza (Zetzel e Meissner, 1973). Di fronte a questa situazione il bambino che verrà adottato ha dovuto sic et simpliciter badare a sé stesso autonomamente. In qualche modo ha cercato di colmare le carenze dovute all’assenza di un caregiver che ne ha eluso il mandato implicito ed universale di accudimento amorevole.

L’eventuale maltrattamento o abuso subito dal bambino deprivato, ormai senza alcuna incertezza, si può configurare poi nel tempo alla stregua di un vero e proprio trauma (Ferenczi, 1931).

Scritto da Roberto Martino, dottore in Psicologia applicata, clinica e della salute

 

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Bibliografia

Artoini Schlesinger, C. (2006), Adozione e oltre. Immagini parole e pensieri dell’altro mondo. Borla, Roma.

Brodzinsky, D.M., Schechter, M.D. (1990), The Psychology of Adoption. Oxford University Press, Oxford.

Carrà, E., Marta, E. (1995), Relazioni familiari e adolescenza. Franco Angeli, Milano.

D’Arrigo, M., Testa, D. (1992), Armonie e disarmonie nella relazione madre-bambino come modalità di strutturazione precoce della personalità, Rivista di Psicologia Analitica, 45, pp. 75-83.

Di Sauro, R., Marchegiani, F. (2008), L’adozione, le radici dell’appartenenza. Aracne Editore, Roma.

Ferenczi, S. (1931), Analisi infantili con gli adulti, in S. Ferenczi, Opere, vol. IV, Raffaello Cortina, Milano 2002.

Kaës, R., Faimberg, H., Enriquez, M., Baranes, J-J. (1995), Trasmissione della vita psichica tra generazioni. Borla, Roma.

Malacrea, M. (2004), La terapia nell’abuso all’infanzia: le ragioni teoriche dell’evidenza clinica. Connessioni, anno VIII, n.14.

Scabini, E., Cigoli, V. (2000), Il famigliare. Legami simboli e transizioni. Raffaello Cortina, Milano.

Zetzel, E.R., Meissner, W.W. (1973), Psichiatria psicoanalitica. Boringhieri, Torino 1976.