Skip to main content

Inserimento Eterofamiliare Supportato di Adulti

Il servizio IESA, offerto a persone con problemi di salute mentale, prende spunto da una pratica adottata in Belgio da almeno sette secoli. Nasce, quindi, molto tempo prima che sorgessero le discipline mediche della psichiatria e della psicologia. Oggi, ovviamente, si propone finalità terapeutiche e riabilitative. Famiglie più o meno tradizionali prendono in carico dei pazienti psichiatrici, curandone l’aspetto pratico della vita quotidiana, offrendo anche riferimenti affettivi e possibilità di un reintegro accettabile nella società. L’opportunità, insomma, di ricostruirsi un ruolo all’interno di un contesto comunque monitorato da esperti, ma che esclude il pesante fardello del clima ospedalizzato. Il paziente psichiatrico può riaprirsi al mondo, senza sentirsi legato ad un ambiente clinico, dove il tempo è scandito da regole ben precise e limitato esclusivamente entro i confini di una struttura sanitaria. Le famiglie ospitanti ricevono un contributo economico per sopperire alle normali esigenze del nuovo arrivato all’interno del nucleo.

In Italia il servizio IESA esiste da oltre vent’anni ed è praticato da circa il 25% delle Asl presenti sul territorio nazionale. Pioniere italiano di questa pratica è il dottor Gianfranco Aluffi, che ha creato il servizio IESA nell’ASL del territorio di Collegno (Torino) a partire dal 1997. Visto il successo di questo progetto, recentemente riconosciuto come eccellenza europea dall’importante istituto IFREP di Parigi, è stato esteso in altre città italiane. Per conoscere meglio i particolari di questa realtà abbiamo intervistato il dottor Aluffi.

IESA

Dr. Gianfranco Aluffi, referente del Servizio IESA ASL TO3 e direttore scientifico di “Dymphna’s Family

Dottor Aluffi, cosa può iniziare a dirci per chiarire meglio la realtà del servizio IESA?

Potremmo iniziare sgombrando il campo da un errore molto frequente che si fa parlando dello IESA, ovvero che molto spesso è confuso con il termine affido. L’affido riguarda i minori ed eventualmente i soggetti interdetti, coloro che sono amministrati da un tutore. Quello che noi facciamo è tutt’altro, è inserimento e integrazione e, soprattutto, c’è il supporto di personale appositamente preparato, cosa che nell’affido è solitamente assente. Il meccanismo è molto simile, non lo nego, però ci sono delle differenze basilari, anche perché un minore viene spesso affidato ad una famiglia senza particolari criteri di abilitazione che vadano oltre la disponibilità ad accogliere, mentre per lo IESA esistono articolati percorsi di selezione, di formazione e di abbinamento ospite/ospitante. Nel Servizio IESA si realizza un reale progetto di reintegrazione ed inclusione sociale del paziente psichiatrico. Non si tratta quindi di un semplice affidamento a volontari disponibili, dove dopo un certo tempo un operatore dei servizi interviene improvvisamente ed irrevocabilmente a sancirne il termine. Un altro errore che spesso si fa è quello di ignorare che nel progetto IESA è l’ospite a erogare il rimborso spese mensile ai volontari ospitanti. Molti pensano che questo sia effettuato dalle istituzioni in gioco (ASL e/o eventuali servizi sociali), come avviene nell’affido di minori o di anziani. Nel nostro servizio il paziente è responsabilizzato anche sotto questo profilo, ed è una cosa fondamentale nel suo percorso di riabilitazione e di reinserimento sociale.

Una giusta definizione aiuta a capire quali sono gli obiettivi di questo servizio…

Infatti, quando si parla di un progetto bisogna prima di tutto renderlo riconoscibile, ricondurlo a precise basi teoriche con la giusta terminologia. Costruirne una ben delineata identità. Ed è quindi molto importante far comprendere che non è l’Asl di appartenenza a rimborsare mensilmente la famiglia ospitante, ma proprio il paziente preso in carico. Una prima azione di riconoscimento verso il soggetto, non più istituzionalizzato all’interno di una struttura sanitaria, il quale viene reso nuovamente responsabile delle sue azioni. Qualsiasi percorso terapeutico, che tale vuole essere, deve partire dal riconoscimento della persona in temporaneo disagio. Questo accade anche attraverso il riconoscimento di un potere contrattuale che passa dal poter disporre consapevolmente del denaro necessario per le proprie cure.

Un ritorno alla normalità attraverso azioni concrete…

Certo! Il paziente sa di essere all’interno di un programma riabilitativo, con la possibilità di mettersi nuovamente in gioco, potendo contare sull’accoglienza degli ospitanti e sul supporto fornito dagli operatori del Servizio IESA. Entra in un contesto familiare dove potrà ricostruirsi degli affetti, ricevere attenzioni, recuperare una socialità libera dai pesanti legacci costituiti dall’ospedalizzazione. Tutto questo non ha prezzo naturalmente, si costruisce gradualmente grazie agli attori in gioco, ma tutto quello che riguarda gli aspetti pratici come il cibo, il vestiario, le utenze, gli spostamenti in auto ed altre spese vive, fisse o variabili che siano, viene appunto rimborsato mensilmente ai volontari ospitanti.

Il personale del Servizio IESA si occupa di mettere in contatto le due parti, ospite ed ospitante, oltre a definire le regole necessarie per far nascere e crescere virtuosamente questa collaborazione. Quando il paziente non è in grado di fare fronte economicamente all’esborso mensile interviene l’ASL o il servizio sociale, riconoscendo a questi un assegno terapeutico con la funzione di favorirne la deospedalizzazione. Tale forma di erogazione era prevista da un’antica legge italiana di inizio ‘900 e oggi è diffusa secondo varie modalità sul territorio nazionale. Presso la nostra esperienza la si definisce con il termine “assegno terapeutico”.

Non essendo un affido come lo possiamo denominare?

La risposta la troviamo proprio nell’acronimo IESA, Inserimento Eterofamiliare Supportato di Adulti. Un progetto di inserimento nella società, con un processo di individualizzazione del paziente che diviene attore principale del proprio reinserimento e non un soggetto passivo sotto la guida dell’istituzione. Inserimento con la valenza di inclusione e integrazione sociale, con un tempo di realizzazione che può variare, influenzato da aspetti specifici del soggetto e contestuali.

A quanto ammonta la cifra del rimborso spese?

Presi in esame i costi vivi all’interno di un’abitazione, per ospitare un soggetto tramite il nostro servizio, qui in Piemonte, il rimborso spese mensile si aggira intorno ad un massimo di 1030 euro mensili. Un servizio che deve rimanere nell’ambito del volontariato con rimborso spese, accuratamente regolamentato da apposito contratto sottoscritto dalle parti in gioco: l’ospite, l’ospitante, l’ASL. Del resto esistono già da tempo altre attività di volontariato che vengono facilitate attraverso l’erogazione di un rimborso spese mensile, pensiamo ad alcune missioni umanitarie, al servizio civile ecc.

È vero che questo progetto prende spunto da una pratica di oltre settecento anni fa in Belgio?

La realtà a cui fate riferimento si colloca precisamente nella città di Geel nelle Fiandre ed è nata da una leggenda ambientata nel VII secolo d.C.: la leggenda di Santa Dymphna. A Geel, oggi, i pazienti curati dalla clinica sono presi in carico da famiglie che vengono assunte come dipendenti dell’istituzione ospedaliera. In termini amministrativi e parallelamente simbolici, il posto letto all’interno della famiglia di Geel è equivalente ad un posto letto in ospedale. Basaglia parlerebbe di transistituizionalizzazione. La storia dello IESA presenta in alcuni casi espressioni distorsive rispetto alla sua accezione più pura ed efficace. Ci sono storie di inserimento eterofamiliare caratterizzate dalla separazione degli spazi di vita all’interno dell’abitazione, posate e vestiti dell’ospite lavati separatamente, tempistiche di frequentazione tra ospite ed ospitanti ridotte al lumicino e limitate a funzioni cadenzate e anaffettive quali ad ad esempio le somministrazioni dei farmaci. Occorre quindi prestare sempre molta attenzione agli aspetti processuali della relazione tra ospiti ed ospitanti al fine di evitare che prendano derive tali da avvicinarli a quelli espressi dalla realtà manicomiale.

Quali sono le regioni dove è presente lo IESA?

Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Puglia, Sardegna, Campania… spero di non averne dimenticata nessuna. Sono inoltre aperti contatti con ASL del Lazio, Marche, Umbria, Liguria, Friuli Venezia Giulia, Sicilia le quali hanno manifestato interesse ad applicare il modello IESA sui rispettivi territori. Colgo l’occasione per informare eventuali lettori interessati che è partita a dicembre 2018 da Collegno una mostra itinerante di fotografia partecipativa sullo IESA. Chi volesse organizzarne una tappa presso il proprio territorio, al fine di sensibilizzare la popolazione al tema dell’accoglienza, può contattare il numero 011/4017463 oppure inviare email al seguente indirizzo: servizio.iesa.collegno@gmail.com.

Sono state fatte delle ricerche per valutare i miglioramenti dei pazienti?

ALcune delle ricerche realizzate sulla valutazione dell’efficacia dello IESA sono citate all’interno del libro ”Famiglie che accolgono. Oltre la psichiatria” uscito per le Edizioni Gruppo Abele. Recentemente abbiamo inoltre avviato la stampa della versione italiana della rivista scientifica europea sullo IESA “Dymphna’s Family” la quale è consultabile gratuitamente sul portale issuu. com. I libri e la rivista contengono riferimenti e articoli riferiti alla qualità di vita percepita dagli ospiti, agli effetti di riduzione dei ricoveri e di assunzioni di farmaci legati all’inserimento eterofamiliare supportato, alle ricadute terapeutiche e riabilitative del metodo IESA ed alla sua spendibilità per altre categorie di soggetti quali anziani non autosufficienti, pazienti neurologici, disabili, tossicomani, pazienti oncologici soli nel decorso post operatorio, nuclei genitore-bambino ecc. I risultati sono molto incoraggianti: buona qualità di vita percepita, ottime performance riabilitative, terapeutiche ed assistenziali a fronte di costi di gestione contenuti, che permettono di ampliare il fronte delle opportunità di cure residenziali, abbattendo anche le lunghe liste di attesa che spesso schiudono le porte a lunghi ricoveri in strutture solitamente orientate alla conservazione e alla cronicizzazione.

A livello normativo in Italia come siamo messi?

Non benissimo. A differenza del Regno Unito, Francia, Germania e altri paesi ove esistono precise normative sullo IESA che devono essere rispettate su tutto il territorio, in Italia non è ancora stato legiferato nulla in questa direzione. Nella precedente legislatura, l’allora onorevole Umberto D’Ottavio presentò una proposta di legge nazionale sullo IESA alla quale lavorammo intensamente. Tutt’oggi tale proposta giace negli archivi della Camera dei Deputati in attesa di qualche politico illuminato che voglia prendere davvero a cuore le sorti della sanità italiana e quindi, come in altri paesi è già stato fatto, provvedere a portare avanti la causa dello IESA.

In questi 21 anni in Italia, e presso le varie esperienze europee, è emerso quanto lo IESA possa essere utilizzato come strumento di razionalizzazione dell’assistenza sanitaria residenziale, ancora fortemente legata a strutture di ricovero grandi, molto costose, spesso poco efficaci e altrettanto poco gradite da coloro che ne fruiscono i servizi. Nel Regno Unito si parla di oltre 14000 famiglie che accolgono pazienti in difficoltà. In Germania sono oltre 3000 le persone con problemi psichiatrici accolte in famiglia mentre in Francia, comprendendo anche persone con problemi di dipendenze o disabilità, si arriva a quota 18000. L’Italia al momento è ferma al di sotto dei 200 progetti, di cui 50 attivi presso il Servizio IESA ASL TO3. Per quel che riguarda la regione Piemonte, lo IESA è stato inserito all’interno di una recente DGR con l’indicazione di diffondere il modello sviluppato presso l’ASL TO3 a tutte le altre ASL, individuando il Servizio IESA ASLTO3 come centro esperto regionale.

In Italia non si dà credito al percorso riabilitativo in ambito psichiatrico?

Credo che sia un limite culturale, e la politica agisce di conseguenza. Si preferisce ancora confinare i pazienti psichiatrici in strutture apposite. Nonostante la legge Basaglia abbia abolito il manicomio, oggi abbiamo riempito il territorio di “minicomi”. Non si conferisce alcuna importanza al potere terapeutico dell’ambiente di cura, nonostante una realtà come lo IESA stia qui a dimostrarlo. C’è una iper-considerazione del correlato biologico del sintomo di cui la chimica pare essere considerata come unica soluzione terapeutica. La chimica non può essere definita come terapia, può sicuramente essere di supporto in certe fasi del trattamento, un temporaneo rimedio verso alcuni sintomi. Il trattamento terapeutico, riabilitativo o assistenziale non può fare a meno di un ambiente di cura accogliente e gradevole oltre ad un supporto fornito sulla base degli effettivi bisogni del paziente.

Una politica dell’immediatezza, ottenere subito dei risultati.

È evidente che applicare una politica del genere in ambito psichiatrico crei molta frustrazione tra gli operatori e cronicizzazione del disagio nei pazienti. La salute mentale necessita di speranza, di ascolto, di dolcezza, di tempo e spazio adeguati e di possibili approdi di sollievo. Per arrivare a stare così male la persona ha percorso vie impervie e logoranti per diverso tempo, può avere subìto dei traumi profondi ed improvvisi, può avere avuto delle esperienze dissociative ansiogene molto forti, a volte indotte anche da abuso di sostanze psicotrope. Queste ed altre possibili determinanti eziopatogenetiche, per poter essere inquadrate e metabolizzate dal soggetto al fine di permettere la cura dei sintomi ad esse correlati, richiedono tempi che non possono essere soddisfatti nell’immediato. La durata media dei progetti IESA ad oggi gestiti che hanno portato alla realizzazione piena di percorsi terapeutici e riabilitativi si assesta intorno ai 5-6 anni. Molto di più di quanto una aspettativa esageratamente ambiziosa potrebbe proporsi, molto di meno di quanto poi in realtà accade attraverso la cronicizzazione in alcune strutture.

Quali sono i criteri di inclusione per entrare nel servizio IESA?

Preferirei parlare di criteri di esclusione, i quali fanno fondamentalmente i conti con aspetti comportamentali critici riferiti alla storia recente del paziente. Non vengono ammessi ai programmi IESA quei soggetti che sono soliti risolvere le questioni conflittuali con aggressività fisica e verbale, che presentano atteggiamenti tali da creare dei problemi di difficile gestione oppure che commettono atti illegali come il furto, il possesso di sostanze stupefacenti che potrebbero mettere in difficoltà la famiglia. Dal punto di vista diagnostico non ci sono preclusioni di alcun tipo. Il candidato ospite deve affrontare un accurato percorso di colloqui durante il quale emergono aspetti soggettivi determinanti ai fini di creare successivamente gli abbinamenti più azzeccati con le famiglie disposte ad accogliere.

Le famiglie e gli ospiti non vengono lasciati soli. Hanno a loro disposizione gli operatori con una reperibilità telefonica di 24 ore su 24 tutti i giorni dell’anno, professionisti specifici: psicologi, psichiatri, tecnici della riabilitazione psichiatrica, educatori ed infermieri che hanno comunque fatto un percorso formativo per lo IESA, professionalità aggiunta alla loro formazione di provenienza. Qui mi preme sottolineare l’importanza dell’utilizzo del colloquio clinico, strumento che nel servizio IESA è fondamentale. Durante la convivenza gli operatori incontrano ospiti ed ospitanti mediamente 2 volte al mese.

E i criteri per scegliere le famiglie ospitanti?

L’importante è la disponibilità ad accogliere, non ci sono preclusioni, anche un single può candidarsi al ruolo di ospitante IESA. Da un punto di vista strutturale, bisogna avere a disposizione una stanza ad uso esclusivo dell’ospite per quel che riguarda i progetti IESA a tempo pieno. Per i progetti part-time è sufficiente avere del tempo libero a disposizione e attitudine all’ascolto e all’aiuto. I candidati al ruolo di volontario IESA dovranno superare un articolato percorso di selezione composto da diversi colloqui e visite domiciliari, verifiche sulla motivazione e sulla posizione giudiziale. È inoltre previsto un accurato percorso formativo dal taglio soprattutto esperienziale.

Esiste quindi anche una modalità part-time per il servizio IESA…

Nel part-time mettiamo in campo una grande flessibilità di tempo e spazio. Questa declinazione del servizio ha due possibili valenze, una di graduale avvicinamento al tempo pieno, l’altra di sostegno a persone che vivono nella propria abitazione e non in una struttura sanitaria. Senza questo tipo di sostegno non riuscirebbero a vivere autonomamente e dovrebbero andare incontro ad un ricovero in comunità o istituti. Il part-time lo suggeriamo a pazienti con un buon grado di autonomia. Lo IESA agisce anche sulla percezione del sé. Il soggetto non si vede più come paziente psichiatrico ma come una persona “normale”, aiutandosi così a rientrare in un registro di piena cittadinanza, dove possibilmente può essere anche contemplato un inserimento nel mondo del lavoro. I soggetti giovani, attraverso l’accoglienza familiare, talvolta riprendono il percorso di studi interrotto arrivando al completamento.

C’è un tempo massimo per il soggetto ospitato?

No, esiste solo quello dettato dal buon senso. Sul piano teorico sono previsti progetti a breve, medio e lungo termine. Questi ultimi riguardano soprattutto persone anziane. Abbiamo diverse convivenze in corso tra ex degenti degli ospedali psichiatrici e famiglie che oramai si può dire li abbiano adottati. Una di queste è la storia di una signora che vive da vent’anni con la stessa persona, due donne della stessa età che hanno costituito una famiglia con tanto di nipotini, mettendo in atto un vero rapporto basato sulla reciprocità.

In conclusione, può darci dei dati?

Più di 250 Persone con alle spalle percorsi di ospedalizzazione, marginalizzazione, esclusione hanno potuto ricostruirsi una vita in questi 21 anni di attività del Servizio IESA ASL TO3. Nel Regno Unito a seguito di un’indagine in merito alla qualità di vita, è risultato che più del 90% dei pazienti dello IESA ha instaurato nuovi rapporti interpersonali al di fuori dei circuiti classici della psichiatria, il 50% ha fatto per la prima volta in vita sua una vacanza, il 35% ha imparato per la prima volta nella propria vita a svolgere le faccende domestiche, e, permettetemi di dire, tutto questo non conta poco! Non c’è la cronicizzazione del malessere, nemmeno la separazione dal mondo dei “sani”, c’è il rispetto e l’accoglienza per chi sta temporaneamente peggio e attraverso lo IESA può uscirne fuori… nella vita…nel mondo.