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Raggi di sole dopo il buio del disturbo alimentare

Sunshine, nome di pura fantasia, è una ragazza di 26 anni che da circa otto anni combatte contro i disturbi alimentari: la bulimia. Ad oggi, dopo un ricovero e lunghi periodi di psicoterapia, finalmente riesce a vedersi con occhi “nuovi”. Ha deciso di raccontarsi in un’intervista per dare a tutti, soprattutto a tutte quelle persone che in segreto o alla luce del sole stanno lottando contro questo disturbo, una testimonianza: la bulimia, pur essendo difficile da combattere, si può sconfiggere, da essa si può uscire e si può rinascere. Non a caso ha scelto di volersi far chiamare Sunshine, termine inglese che vuol dire “raggio di sole”, per sottolineare come nonostante le difficoltà si può sempre tornare a splendere.

Ecco l’intervista completa.

 

Sunshine, raccontaci un po’ di te…

Sono una ragazza di ventisei anni e sin da quando ero una bambina tutti mi hanno sempre considerato solare, socievole e altruista. Ero molto gioiosa tanto è vero che il soprannome con cui mi chiamavano gli amici era appunto “Sunshine”, che vuol dire “raggio di sole”. Sono sempre stata una ragazza piena di interessi: la danza, gli amici, i ragazzi e lo studio. Sono sempre stata anche molto ambiziosa, mi è sempre piaciuto progettare il mio futuro e desideravo tanto diventare un’insegnante. Una volta finito il liceo, infatti, mi iscrissi alla facoltà di Scienze dell’Educazione e della Formazione, che lasciai pochi mesi dopo proprio a causa del mio disturbo alimentare. Si era rotto qualcosa dentro di me.

Ti ricordi la tua prima abbuffata?

Ricordo bene la mia prima abbuffata. Era un sabato sera, all’epoca stavo seguendo una dieta “fai da te” e proprio quella sera avevo in programma il “pasto libero”, ossia una pizza. Ricordo che ero euforica, non vedevo l’ora di mangiare quella pizza. Una volta mangiata, però, mi assalì un grande senso di vuoto, desideravo colmare quel vuoto ingerendo altro cibo. Non so bene perché successe ma dopo la pizza iniziai a mangiare di tutto e di più, merendine, cioccolato e caramelle. Una volta finito, mi sentii terribilmente in colpa. Non riuscivo a capire come mai avessi perso il controllo. Andai in bagno e vomitai tutto.

Da qui si sono susseguiti altri episodi?

Si, assolutamente. Quello fu il primo episodio di una lunga serie. Ricordo che gli episodi si susseguirono per circa due mesi. Si ripetevano tre/quattro giorni a settimana, anche più volte al giorno. Si ripetevano ogni volta che ne avessi la possibilità, prevalentemente quando ero sola a casa.

Quanti anni avevi?

Il mio primo episodio accadde quando avevo solo 18 anni, ero una ragazzina. Avevo appena terminato il liceo, e stavo per iniziare l’Università. Non nego che fu un periodo stressante per me quello. Era una fase di “slancio” per me, dovevo prendere delle scelte importanti. Desideravo tanto seguire delle mie amiche in un’altra città per studiare ma mio padre aveva da poco perso il lavoro. Per me fu una delusione, anche se la colpa non era di nessuno.

Cosa si prova durante e subito dopo un’abbuffata?

Durante un’abbuffata si prova una sensazione di euforia, di benessere paradossalmente. In quel momento stai colmando un vuoto che senti dentro, continui a mangiare poiché la sensazione che avverti è quella di non essere ancora sazio e di non averne ancora abbastanza. Subito dopo però si viene colti da irrequietezza e un grande senso di colpa. Il senso di colpa deriva dal fatto di aver perso il controllo e tende a scomparire solo attraverso dei di “metodi di compensazione”.

Tu quali metodi di compensazione eri solita utilizzare?

Subito dopo l’abbuffata mi recavo in bagno e vomitato tutto. Poi per poter mangiare durante il giorno usavo l’iperattività, camminavo tantissimo, anche tre o quattro ore al giorno.

Quando hai realizzato di avere un problema?

All’inizio non si pensa mai di aver un “problema”, di essere malati. Nel mio caso, vedendo che le abbuffate si ripetevano varie volte a settimana, più volte al giorno, ho deciso di confidarlo ad una mia insegnante del Liceo che frequentavo all’epoca. Ricordo ancora la scena: prima della lezione, approfittando di un momento in cui eravamo solo noi due le confidai piangendo che mangiavo e vomitavo. Questa insegnante allora mi disse che soffrivo di un disturbo alimentare, ossia la bulimia.

Cosa ti ha spinto a chiedere aiuto?

Quando ho realizzato di soffrire di un disturbo alimentare ho cercato su internet di cosa si trattasse. Quando ho letto le varie conseguenze che questo disturbo poteva provocare al mio organismo, tra cui la morte, mi sono spaventata molto e allora ho deciso di chiedere aiuto.

I tuoi genitori come hanno vissuto il tuo disturbo?

I miei genitori non hanno vissuto molto bene la mia malattia. All’inizio non comprendevano, non realizzavano che avessi un vero e proprio problema. Credevano fosse solo una fase transitoria. Vedendo che la situazione non cambiava, compresero che avevo un disturbo alimentare. Sin da subito mi hanno mostrato vicinanza e si sono prodigati per cercare aiuto. Sono state le uniche persone che mi hanno sostenuta fino al mio ricovero e anche dopo. Non hanno mai smesso di lottare con me e per me. Sono i miei genitori e farebbero di tutto per vedermi felice.

Sei stata anche ricoverata, come hai vissuto questa fase?

Si, sono stata ricoverata in una clinica per due mesi. Ad essere onesta, non ho vissuto molto bene il mio ricovero, almeno all’inizio. Avevo solo vent’anni, non è stato facile stare lontano da casa, dai miei genitori, i miei affetti più intimi. Inoltre, ero convinta che fosse tutto inutile, che ne sarei uscita sconfitta. Solo con il passare del tempo, mediante un sostegno psicologico, farmacologico e nutrizionale ho iniziato a riacquistare la fiducia negli altri e soprattutto in me stessa. Così ho ricominciato a nutrirmi correttamente, seguendo un’alimentazione stilata su di me.

Esiste un aiuto quindi? Se ne può uscire da questo tipo di disturbo?

L’aiuto esiste ed io ne sono la prova! Attraverso un percorso di psicoterapia e un grande lavoro su se stessi, sulle proprie emozioni e sul proprio atteggiamento. Si, si può guarire.

Esistono secondo te dei pregiudizi riguardo questo disturbo?

Credo ce ne siano moltissimi, anzi troppi. Molto spesso i disturbi alimentari vengono sottovalutati e banalizzati. Vengono visti come capricci, sfizi inutili e ricerca d’attenzione. Ad esempio, nel mio caso specifico, ricordo che molte persone vicine mi accusavano di essere un’egoista, di voler catturare l’attenzione dei miei genitori. È terribile pensare che al giorno d’oggi esistano questi tipi di pregiudizi e che si prenda sotto gamba una malattia a tutti gli effetti.

La bulimia ha cambiato la tua vita?

Con l’arrivo della bulimia la mia vita cambiò radicalmente. Lasciai l’università, mi distaccai molto dalle mie amiche e decisi di interrompere la mia relazione con il mio fidanzato dell’epoca. Evitavo ogni tipo di contatto sociale. Non aveva più importanza per me, tutto ruotava intorno al cibo, alle calorie e a come smaltirle.

Come è la tua vita oggi?

Oggi la mia vita è completamente diversa. Ho di nuovo una vita sociale, ho delle nuove amiche, un fidanzato e ho ripreso a praticare sport in modo sano. Mi pongo dei piccoli obiettivi giorno per giorno, per mantenermi motivata. Ora, le mie giornate non ruotano più solo intorno al cibo. Ora ho deciso di prendermi cura di me stessa, per rendermi una persona migliore.

Cosa suggeriresti a chi soffre del tuo stesso disturbo?

Il mio sbaglio è stato proprio quello di chiudermi in me stessa per anni, negando ogni tipo di aiuto, convinta che niente e nessuno potesse aiutarmi. Mi vergognavo del giudizio degli altri, per cui il consiglio che vorrei dare non è tanto un consiglio quanto una raccomandazione: non sentitevi soli, non autocommiseratevi ma armatevi di coraggio e chiedete aiuto, senza vergogna.