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Come possiamo definire la selfite? 

L’Oxford Dictionary ha dato per la prima volta una definizione di selfie, definendo “una fotografia fatta a se stessi, scattata solitamente con uno smartphone o una webcam e poi condivisa sui social network come Facebook o Instagram” (OxfordDictionary.com, 2013). Non si ha una data precisa in cui nacque la moda del selfie, ma alcuni la riconducono agli inizi del ‘900. La prima persona ad aver lanciato questa moda sembra essere la granduchessa russa Anastasia Nikolaevna, che per inaugurare la sua nuova macchinetta fotografica si è scattata una foto da sola. Tuttavia questo fenomeno può trasformarsi in un problema quando scattarsi delle foto diventa una routine quotidiana e quando non si può fare a meno di farlo. Infatti anche il selfie può generare sintomi di tolleranza e astinenza. In particolare l’astinenza sembra manifestarsi quando la persona è impossibilitato per motivi lavorativi o altro a postare le sue foto sui social network.

L’associazione psichiatrica americana A.P.A. ha riconosciuto ufficialmente questa dipendenza come una vera e propria mania e disturbo mentale. Viene definita come mania e diventa cronica quando le persone ne sono ossessionate e quindi in qualsiasi luogo, a qualsiasi ora e posizione mostrano al mondo cosa stanno facendo durante la giornata. Ogni momento diventa buono per sponsorizzare la propria immagine con atteggiamenti curiosi, pose strane ed espressioni buffe sul viso al resto del mondo. Tuttavia la selfie addiction è centrata sull’immagine corporea, sul perfezionismo e sul timore di non corrispondere agli stereotipi sociali, elementi che spesso nascondono un’autostima bassa. Si corre il rischio di ricercare continuamente l’approvazione altrui. Chi condivide una sua foto, inconsapevolmente è alla ricerca di un “like”che avrà solo un effetto momentaneo sull’autostima. Quindi questo processo porta sempre di più la persona a ricercare conferme altrui, attenzioni e complimenti.

Il circuito neurobiologico della dipendenza…

Secondo alcuni studi neurobiologici, un ruolo importante nel mantenimento e nel rinforzo delle condotte compulsive è svolto dalla dopamina, un neuromediatore coinvolto negli stati di eccitazione, che porta alla soddisfazione di un bisogno all’interno del circuito mesolimbico cerebrale, definito circuito della ricompensa. La dopamina è prodotta da diverse aree del cervello come la substantia nigra, il nucleus accumbens e da alcune zone della corteccia frontale. Gli stimoli che producono motivazione e ricompensa come il cibo, il sesso, o altri stimoli gratificanti per la persona stimolano il rilascio di dopamina nel nucleus accumbens.

Questo, insieme al circuito limbico, svolge un ruolo critico nel mediare gli effetti di rinforzo positivo (soddisfazione) e di rinforzo negativo dopo l’assunzione cronica (astinenza) delle sostanze stupefacenti. Dunque in presenza di uno stimolo gratificante la dopamina viene rilasciata sotto forma di vescicole nel nucleus accumbens producendo una sensazione di piacere ed euforia che porta a ripetere un comportamento (come scattarsi una foto nella selfie addiction) o ad assumere nuovamente una sostanza.

Dopamina e motivazione

La dopamina ha una funzione importante anche per quanto riguarda l’attribuzione della salienza, ovvero del valore motivazionale a stimoli di varia natura. I comportamenti di dipendenza, così come le droghe, provocano stati soggettivi di piacere e di euforia e procurano alterazioni nello stato di coscienza ordinario che costituiscono la motivazione principale che alimenta il comportamento di dipendenza, inoltre portano a fenomeni di tolleranza e astinenza. La perdita di controllo comporta il craving ed è considerata la caratteristica essenziale della dipendenza.

Il craving dunque fa riferimento al desiderio incontrollabile e improvviso di assumere la sostanza o di mettere in atto un comportamento, nel caso della selfie addiction questo fa riferimento al desiderio incontrollabile di scattarsi una foto. Le dipendenze condividono tutte la progressiva percezione di perdita delle capacità di esercitare controllo sul proprio comportamento, la sensazione di impossibilità di resistere all’impulso e di mettere in atto il comportamento e la compromissione della vita sociale, familiare e lavorativa.

Selfie mortali

Come tutte le dipendenze, anche quella da selfie ha delle conseguenze negative, infatti nell’impossibilità di resistere all’impulso di scattare una foto alcune persone hanno perso la vita nel tentativo. A San Pietroburgo, il 23 aprile, una ragazza di origine russa di soli 17 anni è morta dopo aver tentato di farsi un selfie. La ragazza infatti si era arrampicata su un ponte ferroviario con l’idea di stupire tutti i suoi amici virtuali facendosi un autoscatto spettacolare, che poi avrebbe postato sui social network. Durante il tentativo di autoscatto, la ragazza  però è scivolata cadendo nelle acque del fiume, da oltre 30 metri di altezza.  Un’altra tragedia è accaduta in Carolina del Nord, una donna di 32 anni ha postato un selfie su Facebook mentre era alla guida della sua automobile. Ma pochi minuti dopo la sua auto ha invaso la carreggiata opposta urtando un camion cadendo in un fosso e prendendo fuoco.

Alcuni giovani sono stati travolti da un treno mentre tentavano di scattare un selfie sui binari. Nel 2016 i dati relativi agli incidenti ferroviari sono in aumento e la presenza indebita sui binari è la causa più frequente degli investimenti. Anche questo fa parte della moda dei nostri tempi, derivante da Alexander Remnev, un free climber russo, diventato famoso grazie alle foto che si è scattato in cima ai grattacieli più alti del mondo. Ed è in Russia che si registra il numero più altro di incidenti mortali, difatti il governo ha provveduto a realizzare una guida per il selfie sicuro indicando tutte le situazioni da evitare. Dunque anche questa come tutte le dipendenze comportamentali o da sostanza può avere delle conseguenze irreversibili e negative per la persona. Fondamentale è sensibilizzare soprattutto i ragazzi giovani verso questa nuova dipendenza per evitare conseguenze spiacevoli.

Scritto da Eleonora Campelli, Dr.ssa in Neuroscienze cognitive

Riferimenti bibliografici

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