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Angela Infante, Andrea Mauri e Filippo Maria Nimbi ci parlano di Chemsex

Il chemsex è arrivato in Italia. I ragazzi chimici si fanno di ecstasy, cocaina, ketamina, crystal, viagra… così i pusher si sono organizzati con droghe che spingono i giovani ad andare avanti anche per una notte intera, tra sballo e sesso. Il libro “Ragazzi chimici” (Edizione Ensemble, 2020) ci parla di questo fenomeno e racconta le confessioni di dieci ragazzi chimici italiani. Psicotypo ha avuto il piacere di intervistare gli autori di questo testo, che hanno approfondito il chemsex. Senza filtri e pregiudizi, ne hanno evidenziato, in modo magistrale, le dinamiche psicologiche di base e i pericoli per la salute. Perchè del chemsex se ne deve parlare.

 

Cosa vi ha spinto a scrivere un libro sul chemsex?

Angela Infante

Angela Infante

Angela Infante: Sono counselor e educatrice presso la UOC di Malattie Infettive del Policlinico Tor Vergata di Roma, lavoro con e per le persone sieropositive. Durante i miei incontri, sempre più spesso e sul finire della conversazione, i ragazzi che incontravo mi raccontavano della loro frequentazione di chill. Ascolto storie, racconto storie, a volte le scrivo e, allora, mi sono lasciata trasportare dal fiume di parole che mi donavano. Essere un’attivista mi consente di entrare, sempre in punta di piedi, nelle vite altrui con genuino interesse, lasciando andare inutili giudizi e pregiudizi.

Andrea Mauri: Sono stato catapultato da Angela in questa avventura. Avevo sentito parlare di chemsex. Avevo letto articoli e visto servizi in TV sull’argomento, soprattutto quelli realizzati dalla stampa britannica, prima che il chemsex sbarcasse in Italia. Quando Angela mi ha proposto di partecipare al progetto, ho accettato subito. Per me è stata l’occasione di osservare dall’interno un fenomeno che mi interessava molto. Il materiale su cui ho lavorato sono state le videointerviste dei ragazzi chimici. Ne ho sbobinato il contenuto, appuntandone gli elementi chiave dal punto di vista narrativo e osservando il video per capire un po’ di più di questi ragazzi. Le videointerviste sono state l’unico mezzo con il quale sono entrato in contatto con i protagonisti dei racconti, non essendoci mai incontrati personalmente. Per me è stata una sfida approcciarmi a una scrittura di non fiction, un nuovo stimolo letterario.

 

Andrea Mauri

Andrea Mauri

Quanto è diffuso il fenomeno? E cosa si potrebbe fare per aumentarne la conoscenza?

Angela Infante: Sulla diffusione ci sono pochi dati perché non se ne parla, quindi è difficile fare una stima, ma noi italiani amiamo quella che io definisco “la politica dello struzzo”. Testa sotto la sabbia e non mi faccia terminare, sono pur sempre una signora… Quando faccio formazione, uso spesso questa formula: “conoscete le 4 C?” La Conoscenza ci permette di leggere un fenomeno, di indagarlo; la Consapevolezza ci consente di interiorizzare quello che abbiamo appreso; poi c’è il Cambiamento, che è la sapiente miscela di ciò che abbiamo studiato e di quello che abbiamo esperito, ma per proporre un cambiamento concreto ci vuole il Coraggio. In questo momento ne siamo sprovvisti, ma questo è solo il mio personale pensiero.

Andrea Mauri: Rispondo alla seconda parte della domanda (lascio agli esperti confrontarsi sulla diffusione del fenomeno). È fondamentale lavorare sulla riduzione del danno e far emergere il fenomeno. Finora il chemsex è stato trattato in modo piuttosto “esotico”, come qualcosa che arriva dall’estero e che riguarda solo in minima parte l’Italia. Dobbiamo prendere coscienza del fatto che la situazione è ben diversa. Credo che in futuro arriveranno nuovi studi scientifici sul fenomeno, che si cercherà di misurarne la portata e che, come succede già in altri paesi, si appronteranno dei servizi adeguati alla prevenzione e alla riduzione del danno. Nel frattempo, però, è bene parlarne in ogni luogo.

Filippo Maria Nimbi

Filippo Maria Nimbi

Filippo Maria Nimbi: Non sappiamo bene quanto sia diffuso, si tratta di un fenomeno sommerso ma di cui ci arrivano notizie su diversi fronti. Quello che sappiamo è che il chemsex è presente anche in Italia, diffuso maggiormente nelle città più grandi come Milano, Roma e Bologna. Dal nostro punto di vista è importante parlarne e fare una buona informazione, unendo ai discorsi sulla prevenzione quelli legati alla riduzione del danno. Questo permette non solo di riconoscere la libertà di scelta delle persone che praticano chemsex, ma anche di agire per migliorare la salute.

 

Il chemsex è praticato dagli omosessuali. Per quali motivi secondo voi?

Angela Infante: Ci sono motivazioni differenti che Filippo Nimbi può spiegare meglio di quanto possa fare io. Una cosa, però, vorrei sottolineare, di come la comunità LGBTIAQ+, a cui appartengo, ami parlare di sé stessa con ironia e intelligenza, senza lasciare nulla al caso. Ma non credo sia una riposta alla domanda.

Filippo Maria Nimbi: Ci sono molti studiosi che hanno cercato di rispondere a questa domanda, ma ci troviamo di fronte ad un fenomeno complesso. Alcune motivazioni alla base fanno riferimento alla libertà sessuale, al minority stress (lo stress dovuto all’appartenenza ad una minoranza), allo stigma dell’HIV e alle nuove tecnologie come le applicazioni geolocalizzate per incontri. Ma questi fattori, da soli non sono abbastanza per descrivere un fenomeno di questa portata.

 

Nel vostro libro, tra le tante esperienze riportate, viene citato “durante gli incontri di chemsex, si pensa molto al presente, non ci si preoccupa del dopo”. Quali sono, dunque, le conseguenze ed i rischi?

Angela Infante: In un momento storico come questo, in cui è difficilissimo ipotizzare solo l’idea di “un futuro”, credo che pensare al presente sia una scelta quasi obbligata; si vive il “qui e ora, in tutte le sue molteplici sfaccettature. E questo vale per molte delle scelte che noi facciamo, non trova?

Andrea Mauri: Posso rispondere a questa domanda riportando quello che ci hanno raccontato i “ragazzi chimici”. I protagonisti di questo libro raccontano in che modo hanno affrontato il cosiddetto down da assunzione di droghe, cioè il momento in cui le sostanze cessano il loro effetto e li sprofondano in una grande incertezza. Sono consapevoli del rischio di isolarsi per giorni interi, di vivere in una dimensione parallela, di rinunciare alle relazioni interpersonali, di sviluppare problemi di concentrazione sul lavoro e nel peggiore dei casi di arrivare persino a perderlo. E affrontano tale consapevolezza in modo differente. Per esempio, alcuni sviluppano una mania di tenere tutto sotto controllo per scandire con regolarità la partecipazione ai chill; altri faticano a imporsi il controllo sul desiderio e la necessità di un consumo maggiore di sostanze e di sesso; altri ancora si preoccupano meno del futuro. Comunque sia, come dicevo prima, per me è fondamentale che si lavori sulla riduzione del danno per avere le risposte giuste a chi chiede aiuto.

Filippo Maria Nimbi: Ci possono essere diverse conseguenze e rischi legati alla pratica del chemsex. Questi vanno dalla possibilità di contrarre infezioni sessualmente trasmissibili, incorrere in violenze e abusi e danni relativi al consumo di sostanze stupefacenti. Anche in questo caso non si può generalizzare. Il rischio è insito nella pratica, ma non tutti i partecipanti al chemsex rischiano allo stesso modo e incorrono in conseguenze significative.

 

In Italia, sono pochissimi i servizi specifici dedicati a persone che fanno chemsex. Che cosa vi sentireste di suggerire a coloro che ne restano coinvolti?

Angela Infante: Cito sempre l’Associazione ASA di Milano, come pioniera, e il suo prezioso lavoro, ma non le nego che mi sembra troppo poco! Raccontare e raccontarsi è la prima forma di amore verso sé stessi, condividere un fenomeno significa attribuirgli un “significato concreto”, non sottovalutarlo, non sopravvalutarlo.

Andrea Mauri: Sui suggerimenti da offrire lascio la parola agli esperti: il loro lavoro è prezioso. Colgo invece l’occasione per lanciare un appello ai lettori. Mi piacerebbe che il lettore venisse toccato da queste storie fino a sentirle proprie, magari arrivando persino a immedesimarvisi. Secondo me, tutte le esperienze, anche le più estreme, raccontano qualcosa di noi. Inconsapevolmente fanno emergere i nostri lati oscuri, quelli che preferiamo non vedere. Ebbene, se questo libro ci autorizzasse a scavare nel nostro IO più buio fino a destabilizzarci, allora sarebbe un ottimo risultato. Del chemsex se ne deve parlare.

Nel ringraziare gli autori per aver approfondito questo tema, vi consigliamo la lettura del loro libro.
Per saperne di più, clicca qui!

 

Intervista a cura della Dott.ssa Alessia Di Lellis