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Epidemie silenziose

C’è una realtà quasi del tutto sconosciuta, relegata tra i professionisti della salute. Le statistiche effettuate negli Stati Uniti hanno fatto emergere dei dati inquietanti, così come approfondito da Pamela Wible nel suo libro Physician Suicide. Letters Answered. Chi svolge la professione di medico corre un pericolo due volte superiore, rispetto ad altre categorie lavorative, di togliersi la vita. Se i medici sono donne, il rischio aumenta fino a quadruplicare. In America, ogni anno, circa quattrocento medici si suicidano. Un numero impressionante, reso ancora più inquietante dal fatto che, a togliersi la vita, maggiormente sono i giovani medici. Un’epidemia silenziosa e quanto pare non attira l’interesse pubblico, e le motivazioni sono legate alla visione stereotipata che si tende ad avere sulla professione del medico. Chi non appartiene a quel mondo, crede che i dottori siano una casta di privilegiati. Soprattutto in questa epoca di crisi economica, d’insicurezza, di lavoro precario, essere giovani e medici può apparire come uno stato esistenziale favoloso.

Una società dove la disoccupazione giovanile porta a fare di tutto per riuscire ad avere un lavoro stabile, ed essere così riconosciuti socialmente e, oltretutto, chi studia per diventare medico lo fa spinto da una passione, quindi una volta entrato nel circuito lavorativo di pertinenza ha ottenuto il massimo. Praticare la professione da sempre sognata, sembra che possa ripagare di tutto. Ma la realtà è ben diversa. Soprattutto nei primi anni, lo stipendio è molto più basso rispetto ad altri mestieri, il tempo libero diventa quasi una chimera, le responsabilità sono altissime. A questo si aggiunga anche il confronto, contornato da minacce fisiche e giuridiche, con i “medici di una volta”, quella sì benvoluta, ritenuta perfetta, sempre operativa e incontestabile. Uno stato di grazia che oscura i lati meno nobili del vecchio ordine, come l’interesse personale e un’eccessiva spocchia, la quale porta a ritenere il resto degli esseri umani come dei sottoposti.

La professione medica è cambiata

Oggi il lavoro del medico è mutato profondamente. Cambiamenti non correttamente metabolizzati dal resto della popolazione. L’attività medica, negli ultimi decenni, ha subito trasformazioni epocali, incanalata in un meccanismo più tecnologico, tecnico e burocratico. In nome dell’efficienza è protocollare, impersonale, fredda. Una realtà falsata da ciò che viene mostrato nelle serie televisive. La gente ha convinzioni inattaccabili sulla professione del medico, riconosce che è un lavoro arduo, molto duro, con grandi responsabilità, ma che, tutto questo, sia ricambiato con un proficuo ritorno economico e in termini di rispetto E allora di cosa lamentarsi? Evidenziare certe discrepanze, può essere controproducente, perché, dopotutto, si ha la fortuna di avere un lavoro. Allora meglio restare in silenzio, non tentare nemmeno di spiegare cosa non va, subendo con amarezza tutti gli aspetti negativi e inattesi, che rischiano di trasformare la professione tanto sognata in un incubo. E, forse, questo può contribuire a far prendere l’estrema decisione di togliersi la vita.

Gli aspetti negativi sono molteplici e innescano stili di vita completamente diversi da quelli immaginati. Turni massacranti, aspettative tradite, uno stipendio appena dignitoso, completamente inadeguato ai sacrifici richiesti e fatti. Se si calcola la retribuzione netta per ora, salgono i brividi su per la schiena. Una competitività meschina, alimentata dal culto del successo personale, va a minare un ambiente dove il gioco di squadra è fondamentale per poter ottenere il miglior risultato possibile nella cura di una persona. Una fastidiosa sensazione, che accompagna ogni gesto e decisione, di essere costantemente in balia di “poteri più forti”. A tutto questo si aggiunga la diffidenza dei pazienti, che assumono atteggiamenti ostili e avanzano pretese per avere il maggior numero di rassicurazioni. Un giovane medico può subire il proprio lavoro, arrivando a disprezzarlo. L’amore per la professione che si trasforma in odio.

L’identificazione con il proprio lavoro

Una vera e propria zona di guerra, come in molti posti di lavoro. Nel migliore dei casi si tiene duro e si va avanti, sperando in un futuro diverso. Nel caso del medico, a peggiorare le cose contribuisce un processo d’identificazione con il proprio lavoro. Un medico è tale ventiquattro ore su ventiquattro, pressioni e meta-messaggi che spingono a ragionare in questo modo. Il grande investimento fatto in termini di tempo per lo studio e di soldi, non di rado anche sotto la spinta di professori e colleghi. Tutti fattori che portano a sentirsi patologicamente dei medici, e basta. Non ci sono aspetti della vita come altre passioni, sogni, relazioni interpersonali e sociali, che possano contribuire in un medico ad identificarsi come uomo slegato dalla propria professione. Il fallimento delle aspettative sul lavoro assume proporzioni devastanti, perché diventa l’insuccesso di una vita intera, poiché oltre alla professione non ha coltivato altro. Sognare per anni di intraprendere la professione e poi svolgerla in una routine, come sopra descritta, può avere un impatto devastante.

Togliersi la vita è un gesto estremo, legato a motivazioni personali che superano la sfera professionale. Ma la maggiore incidenza di suicidi tra i medici, evidenziata dalla ricerca statunitense, rispetto ad altre professioni induce a pensare che qualcosa non va nei sistemi sanitari di nuova concezione. Manca un’adeguata rete sociale, e il problema vive in un isolamento amplificato dalla poca attenzione rivolta dalla popolazione e dalla scarsa importanza data dalla categoria stessa dei medici. Sentirsi traditi dalla propria professione può essere fonte di stress psicofisico che va ad alimentare malesseri interiori. Un lavoro in cui ci si prende cura del prossimo, raccomandando regolarità e attenzione per mantenere equilibrato lo stato di salute, e poi non riuscire imporlo a se stessi, può essere destabilizzante. Tra burnout dei professionisti che lavorano in ambito sanitario e l’elevata incidenza di suicidi tra i medici americani, c’è di che riflettere, e molto, se si vanno ad aggiungere anche i medici veterinari, dove risulta esserci anche qui un certo numero di suicidi.