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Il Burnout o sindrome dell’operatore bruciato

Già da molti anni gli psicologi del lavoro hanno evidenziato come nell’uomo il contesto sociale e lavorativo, soprattutto nelle società occidentali, può attivare risposte di stress, sia dal punto di vista comportamentale sia da quello fisiopatologico. Gli studi che si sono occupati in particolare delle professioni sanitarie, parlano di un fenomeno di disaffezione al proprio lavoro, chiamato sindrome dell’operatore “bruciato” o burnout. Come sottolineano i risultati di alcune osservazioni sull’incidenza del fenomeno su mestieri differenti, il burnout colpisce in misura prevalente coloro che svolgono le cosiddette professioni d’aiuto o “helping professions” ma anche coloro che, pur avendo obiettivi lavorativi diversi dall’assistenza, entrano continuamente in contatto con persone che vivono stati di disagio o sofferenza.

 

Burnout: definirlo per conoscerlo

Il termine inglese “burnout” può essere tradotto letteralmente in “bruciato”, “fuso” e indica una condizione di esaurimento emotivo derivante dallo stress dovuto alle condizioni di lavoro e ai fattori della sfera personale e ambientale. Secondo un approccio specificatamente psicologico il burnout è definito come un processo nel quale lo stress si trasforma in un meccanismo di difesa e una strategia di risposta alla tensione, con conseguenti comportamenti di distacco emozionale ed evitamento.

Il fenomeno fu studiato per la prima volta da H. Freudenberger che nel 1974 pubblica il primo articolo sull’argomento in cui denomina il burnout come un quadro sintomatologico individuato in operatori di servizi particolarmente esposti agli stress conseguenti al rapporto diretto e continuativo con un’utenza disagiata. Successivamente C. Maslach descrive il burnout come una malattia professionale specifica degli operatori dell’aiuto, che colpisce soprattutto quelli più motivati e con aspettative maggiori riguardo al lavoro.

La sindrome si caratterizza per una condizione di nervosismo, irrequietezza, apatia, indifferenza, cinismo, ostilità degli operatori sociosanitari, sia fra loro sia verso terzi, che però si distingue dallo stress, eventuale concausa del burnout così come si distingue dalle varie forme di nevrosi, in quanto non è un disturbo della personalità, ma del ruolo lavorativo.

 

In che modo si manifesta?

Le manifestazioni psicologiche e comportamentali possono essere raggruppate, come dalla precedente definizione della Maslach, in tre categorie di disturbi: l’esaurimento emotivo, la depersonalizzazione e la ridotta realizzazione personale. L’esaurimento emotivo consiste nel sentimento di essere emotivamente svuotato e annullato dal proprio lavoro, per effetto di un inaridimento emotivo nel rapporto con gli altri.

La depersonalizzazione si manifesta come un atteggiamento di allontanamento e di rifiuto (risposte comportamentali negative e sgarbate) nei confronti di coloro che richiedono o ricevono la prestazione professionale, il servizio o la cura. La ridotta realizzazione personale riguarda la percezione della propria inadeguatezza al lavoro, la caduta dell’autostima e la sensazione di insuccesso nel proprio lavoro.

 

Fattori predisponenti

I numerosi studi compiuti sulle persone che hanno raggiunto stati di burnout grave hanno reso possibile l’analisi dei cosiddetti “fattori di rischio” che favoriscono l’insorgenza del problema.

Essi sono in parte legati a caratteristiche individuali e in parte connessi a fattori ambientali.

Dal punto di vista individuale il burnout tende a svilupparsi prevalentemente in:

  • fasce demografiche con età compresa tra 30 e 40 anni e non coniugate o non impegnate stabilmente in una relazione affettiva, che tendono a investire quasi interamente le loro risorse sul lavoro;
  • persone carenti di assertività e che tendono quindi ad essere passive o aggressive di fronte alle difficoltà, nonché quelle restie ai cambiamenti, che li vivono in come incontrollabili;
  • persone che “investono” sul lavoro eccessivamente (anche quelle con dipendenza dal lavoro) che lavorano intensamente o che passano ogni momento della propria settimana a lavorare o a pensare al lavoro e che hanno grandi aspettative di successo sia rispetto ai risultati legati al cambiamento degli utenti che rispetto a eventuali crescite professionali.

Dal punto di vista ambientale esistono dei fattori che predispongono maggiormente al problema, tra i quali rientrano:

  • il settore lavorativo di appartenenza che comprende i mestieri che sono indicati come “a rischio”;
  • alcune caratteristiche del lavoro svolto (il carico eccessivo di lavoro con le persone, la presenza di scadenze pressanti, le ambiguità di ruolo);
  • le caratteristiche dell’organizzazione aziendale in cui si opera poiché si osserva che questo problema è più frequente e più intenso in quelle organizzazioni in cui si lavora con incertezza economiche, con contratti instabili e in cui sono poco valorizzate le proprie capacità e si lascia poco spazio all’autonomia nella gestione delle attività quotidiane. In tal senso si tratta di luoghi di lavoro in cui esiste anche un alto rischio di mobbing e di stress lavorativo più in generale.

Conseguenze

Per quanto riguarda le conseguenze del burnout, esse possono essere ricondotte a problematiche fisiche, come difficoltà nel sonno, cefalea, sensazione di essere sempre affaticati e disturbi gastro-intestinali.  Possono provocare danni di natura sociale, come un inaridimento delle relazioni sociali con il coniuge, con i figli e con gli amici, a causa di un continuo investimento emotivo e congnitivo sul proprio lavoro, anche una volta tornati a casa, oltre che un atteggiamento di distacco, intolleranza e irritabilità sul posto di lavoro.

Altre conseguenze del burnout riguardano l’insoddisfazione, minor coinvolgimento e attaccamento all’azienda, intenzioni di Turnover e Turnover effettivo, assenteismo, performance qualitativamente e quantitativamente peggiori, oltre ad un forte consumo di sigarette, alcol e droghe.

 

Consigli da adottare

L’operatore dovrebbe interrogarsi sul proprio atteggiamento verso la vita e il lavoro ed ipotizzare la possibilità di un cambiamento nelle proprie strategie di fronteggiamento delle situazioni.

Quando ricorrono le circostanze, è ipotizzabile il ricorso ad un supporto psicologico: pervenire da soli al cambiamento di sé, necessario per uscire da una situazione di forte stress e soprattutto di burnout non è semplice.

Infine, quando ciò è possibile, è bene realizzare dei cambiamenti concreti sul lavoro, ad esempio frequentando corsi di formazione che aiutino a sviluppare al meglio le proprie abilità professionali, o cambiando tipo di utenza e ancora, dedicandosi ad attività complementari come l’impegno in campo sociale. Occorre tener presente che quasi tutte le situazioni lavorative lasciano spazi, sia pur limitati, per la negoziazione.

 

BIBLIOGRAFIA

DEITINGER P., NARDELLA C., BENTIVENGA R., GHELLI M., PERSECHINO B., IAVICOLI S.(2009), D. Lgs. 81/2008: conferme e novità in tema di stress correlato al lavoro, G Ital Med Lav Erg, 31: 2, 154 – 162.

FREUDENBERGER H.J. (1974), Staff burnout, in «Journal of Social Issues», 30,159-165.

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MASLACH C. (1976), Burned-out, in «Human Behaviour» 9, 16-22.

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Scritto da Valeria Campinoti, Dott.ssa in Psicologia Clinica e di Comunità, Università Pontificia Salesiana, Facoltà di Scienze dell’Educazione.

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