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Attualità

Se per una madre sopportare l’esistenza è insostenibile…

17 Novembre 2018No Comments

Una tragedia familiare sommersa

L’ennesima tragedia familiare riempie la cronaca di questi giorni. Sul Fatto Quotidiano si apprende la tragica notizia riguardante un’infermiera di Aosta. Marisa, 48 anni, ha deciso di porre fine alla sua vita e a quella dei suoi figli: Vivien, 9 anni, e Nissen, 7 anni. La donna si è procurata i farmaci, per compiere il suo proposito, nell’ospedale dove prestava servizio. Ha sedato i figli e poi gli ha iniettato del potassio, lo stesso usato per le esecuzioni negli Stati Uniti. Con le stesse modalità si è poi tolta la vita. Intorno alla mezzanotte del 15 novembre ad Aymavilles, località a pochi chilometri da Aosta, la donna ha portato a termine ciò che aveva premeditato. Il padre è arrivato troppo tardi, quando è rincasato erano già tutti privi di vita. Ha avuto la forza di chiamare le forze dell’ordine prima di crollare, ora è ricoverato in psichiatria.

I colleghi della donna hanno dichiarato di essere rimasti sorpresi e sconvolti e, soprattutto, di non aver mai colto la grandissima sofferenza che accompagnava l’esistenza do Marisa. Una piccola comunità quella di Aymavilles che si è tutta stretta attorno al dramma che li ha colpiti. La sindaca Loredana Petey ha detto: “Rimane molto difficile accettare ed elaborare quanto è accaduto”. Anche nella scuola frequentata dai due bambini lo sgomento e il dolore sono palpabili, i bambini una volta finite le lezioni sono usciti in lacrime e corsi dai loro genitori. Erano molto conosciute in paese, iscritte anche allo sci club, nati e cresciuti in quei luoghi. L’istituto scolastico che Nisse e Vivien frequentavano, inoltre, è situato a poche centinaia di metri dalla loro abitazione, particolare che rende tutto ancora più drammatico.

 

Non sopportare il peso dell’esistenza

La donna ha lasciato due lettere d’addio dove spiega i motivi della fatale decisione. Da quello che è trapelato si apprende che non ce la faceva più a sopportare il peso della vita, le sue incombenze e le tragedie che hanno segnato la sua esistenza, più di quello che lasciava trasparire. A vent’anni aveva perso il padre in un incidente stradale. Stessa sorte è toccata al fratello nel 2000, deceduto mentre stava sgomberando la strada regionale di Cogne. I colleghi della donna descrivono una mamma che adorava le proprie figlie, attenta, premurosa, che non perdeva occasione di stare con loro, anche nelle ore di pausa dal turno di lavoro. Ma, nonostante l’apparente normalità, qualcosa non andava nella vita di Marisa, una visione dell’esistenza cupa, accentuata molto probabilmente da drammi familiari mai completamente elaborati. Una sofferenza che si è amplificata nell’animo giorno dopo giorno.

Spesso, dopo un suicidio, chi conosceva la vittima si dichiara sorpreso dal gesto. Segnali evidenti sulla possibilità che una persona arrivi a commettere il gesto estremo non appaiono mai, o non si riesce a dare il giusto significato. Segnali che solo un esperto della mente umana potrebbe dichiararli come campanello d’allarme. Ennesimo caso di come una sofferenza interiore, così grande, sia difficile da far comprendere a chi si ha accanto. Una donna arriva a sentirsi disperatamente sola; nonostante una famiglia, un lavoro, una rete sociale soddisfacente. Già, perché a sentire le testimonianze di chi conosceva Marisa, si giunge a farsi l’idea di una persona attiva e presente su quel territorio. Una donna che con il suo lavoro prestava un aiuto concreto al prossimo, si dedicava con amore ai figli, ai quali non faceva mancare nulla. I colleghi dicono di averla apprezzata sempre, che è rimasta professionale e impeccabile fino al suo ultimo turno di lavoro, nel reparto di cardiologia di Aosta.

 

Tanti piccoli conflitti quotidiani

I fatti appresi dai giornali possono dare un’idea dei motivi, sicuramente si è a conoscenza di una piccolissima parte della storia di Marisa, che ha deciso di portare via nel suo ultimo terribile viaggio anche i figli. Una profonda depressione, forse altri eventi di cui non si sa ancora nulla hanno turbato Marisa. Nelle sue lettere afferma di non farcela più, del peso della vita. Forse sono le tante responsabilità, il poco tempo a disposizione che la vita moderna offre per se stessi, lo stress accumulato lavorando nel reparto di cardiologia. Tanti piccoli conflitti quotidiani, piccoli scontri, ansie, incomprensioni. Basta provare a immaginarli tutti questi fattori di stress nella vita di un’infermiera di Aosta, tutti plausibili. Forse ci si può aggiungere una crisi con il marito, siamo sempre nel campo delle ipotesi, ed ecco uscire un quadro dove la serenità non alberga più nella vita di una persona.

Qualcuno dice che il suicidio è anche una forma estrema di egoismo. Il suicidio denota, escluso chi lo fa per irreversibili problemi di salute, un male di vivere insostenibile. E in questi casi non parliamo di crisi esistenziali, ma di stili di vita che entrano in un circolo vizioso dove la persona non riesce più a vedere un futuro diverso da un eterno presente fatto di tanta insoddisfazione, speranze disattese, perdite premature. Una miscela che può condurre a ritenere il mondo un posto sbagliato e farla finita, tanto da togliere la vita anche ai propri figli. Con queste riflessioni non intendo assolutamente giustificare le azioni di chi arriva a suicidarsi e, soprattutto, decidere della vita degli altri; fossero anche i figli, che molti genitori vivono come una proprietà. Cerco solo di analizzare con gli strumenti a disposizione i suicidi dettati dalla disperazione di vivere in un mondo che molti dicono sia essere il migliore possibile…