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Gli effetti devastanti di una fine

Lo conferma una ricerca effettuata negli Stati Uniti, come si legge in un articolo dell’Huffington Post. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista specializzata “Psychoneuroendocrinology” e ha dichiarato che la scomparsa di una persona amata può portare a condizioni critiche lo stato psicofisico del partner in vita e, anche se apparentemente sano, può morire in modo prematuro. Nei tre mesi successivi al decesso del compagno (o della compagna), le possibilità, di chi sta vivendo il devastante lutto, di essere più esposti a fattori di rischio per la salute, come le malattie cardiovascolari, ad esempio, aumentano esponenzialmente. Nei primi sei mesi, inoltre, i vedovi e le vedove incorrono in un rischio di mortalità aumentato del 41%, rispetto ad una condizione di normalità, ovvero senza aver subito la grave perdita. Questi dati li ha confermati l’autore dello studio, Il Dottor Chris Fagundes.

Fagundes insegna Psicologia alla School of Social Sciences della Rice University, e ha spiegato che Il 53%, dell’aumento delle possibilità di un prematuro decesso, è strettamente legato alle malattie cardiovascolari. L’esperimento è stato effettuato su trentadue partecipanti, nei quali è stato rilevato, nei tre mesi seguenti al decesso del proprio caro, un considerevole aumento delle citochine. Queste ultime sono delle molecole proteiche regolatorie, le quali vengono prodotte da vari tipi di cellule. Solitamente sono secrete in risposta a uno stimolo capace di modificare il comportamento di altre cellule, causando nuove attività come la crescita, la differenziazione o, per l’appunto, la morte. La manifestazione delle citochine normalmente è locale, ma può interessare tutto il corpo. Sono indice di uno stato infiammatorio in corso nell’organismo, il cui innesco è riconducibile al dolore provato per la morte del partner.

 

Un cuore infranto dalla perdita è un cuore debole

Un cuore sofferente per un lutto è scientificamente più debole. La ricerca ha confermato che c’è un nesso e quindi si spera di poter avviare ulteriori studi per chiarire al meglio le dinamiche e trovare così adeguate contromisure. Il mal d’amore esiste ed è pericoloso, la priorità è prevenirne o ridurne gli effetti. In un approfondimento della Dottoressa Giulia Causa, si comprende come l’affrontare un lutto è molto più che complicato. Freud definiva il lutto come un evento scatenante reazioni affettive ed emotive legate alla perdita. Uno stravolgimento della personale visione della vita che obbliga a rivedere la concezione di se stessi e del modo di affrontare il mondo. Si sperimenta l’assenza permanente dell’amato, con il quale si condivideva il senso che era dato al mondo. Quindi, la morte, ha causato anche la perdita di senso del mondo.

Sigmund Freud ha formulato tre possibili risposte soggettive, da parte di coloro che si trovano ad affrontare la grave perdita

  • La prima è definita reazione maniacale
  • La seconda è chiamata melanconica, cioè depressiva
  • La terza è denominata lavoro del lutto, paragonabile ad un esito positivo della depressione.

Tre meccanismi di difesa con diversi gradi di efficienza per quanto riguarda la sopportazione e l’elaborazione del lutto. Un evento di portata enorme, che può essere gestito, da chi lo vive, in modo sbagliato, facendo credere agli altri che vada tutto bene o esasperando il dolore ritenendolo incurabile. Atteggiamenti che sono anche figli di un grado di impreparazione molto alto. La società che non educa adeguatamente alla ineluttabilità della morte, fa parte della vita e come tale va affrontata, senza cullarsi nell’illusione dell’eterna giovinezza. Questo non vuol dire che non si debba soffrire, ma di certo verrebbe affrontato il tema adeguatamente.

 

Reazione Maniacale, Melanconia e Lavoro del Lutto

Nella reazione maniacale, chi subisce l’evento luttuoso tende a negare con sistematicità che tutto ciò sia accaduto; un caparbio rifiuto di affrontare l’esperienza della perdita. Vivendo in una moderna società maniacale, dove non c’è mai tempo a disposizione e sempre oberati di impegni, rimane piuttosto semplice fronteggiare le proprie emozioni superficialmente. Si tende a sostituire rapidamente l’oggetto perduto con un altro, esorcizzando così l’insostituibilità dell’amato. Tale processo è innescato per evitare il dolore psichico causato dal vuoto e dall’assenza. Una sorta di anestetico della coscienza, sperando di ricucire lo strappo causato dalla perdita senza soffrire. Nella reazione melanconica abbiamo un atteggiamento opposto alla reazione maniacale. L’oggetto perduto è insostituibile e pertanto impossibile da dimenticare. Freud lo spiegava come se l’ombra dell’oggetto, l’ombra del morto, cadesse sull’io del soggetto che ha perso l’amato. Rimanendo incatenato al defunto grazie a questo processo, che permette di far rimanere sempre presente l’oggetto, il soggetto stesso si sente perduto. La vita, di chi sperimenta questa reazione, diventa sempre più ritirata in se stessa e il lutto si trasforma in una condizione permanente dell’esistenza.

Uno dei segnali che si manifestano, per poter parlare di reazione melanconica, è l’eccessiva idealizzazione dell’oggetto scomparso; la persona è ricordata come priva di difetti. Così facendo può innescarsi un’azione di auto-rimprovero, con la formazione si forti sensi di colpa da parte del vedovo o la vedova. Non di rado l’auto-rimprovero cela, alla base, un’aggressività inconscia verso il defunto. L’oggetto perduto dava senso alla propria esistenza e, scomparendo, è come se avesse assassinato il compagno rimasto a piangerlo. Infine c’è la terza reazione, il lavoro del lutto. Perché questo avvenga c’è bisogno di quattro elementi:

  • C’è bisogno di tempo. Il lutto non permette processi sostitutivi. Il problema risiede nella mancanza di tempo a disposizione, la società moderna non tollera i “tempi morti”.
  • Il dolore psichico, non esiste il lavoro del lutto senza possedere un’esperienza effettiva del dolore. Solo comprendendo l’irreversibilità della perdita dell’oggetto, si può procedere oltre nella vita.
  • La memoria, è un compito molto arduo, straziante, faticoso. Sollecitare l’oggetto perduto con i ricordi del vissuto insieme a lui. Tenerlo a mente, così da testimoniare che la sua attuale assenza è stata una presenza fondamentale.
  • L’oblio, dopo il processo del ricordo bisogna raggiungere la stazione della dimenticanza. Un’elaborazione sull’insostituibilità dell’oggetto perduto per quello che ha dato e condiviso, ma occorre anche dimenticare. Quello che è ha dato è stato incorporato dentro se stessi, e quello è il miglior modo di tenerlo sempre al proprio fianco senza soffrire in eterno.

 

Riferimenti bibliografici

Freud S. (2013), L’elaborazione del lutto, RM: Rizzoli.