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Violenza e conflitto

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (2002) ha definito la violenza come “l’utilizzo intenzionale della forza fisica o del potere, contro se stessi, un’altra persona, un gruppo o una comunità, che comporti lesioni, morte o danno psicologico”. Una situazione di violenza è quindi caratterizzata da uno squilibrio di potere e dall’intenzionalità di arrecare un danno fisico o psicologico. La violenza purtroppo è una modalità di gestione del conflitto trasversale a tutta la società contemporanea ed è quindi parte integrante della vita quotidiana e della socializzazione.

Il conflitto, invece, si verifica ogni volta che il raggiungimento di uno scopo di un individuo è incompatibile con il raggiungimento dell’obiettivo di un altro (D’Amico, 2006). È una forma di relazione interpersonale tipica dell’essere umano e della società, anche se variano le modalità con cui viene gestita. Secondo Galtung (2000) alla base di ogni conflitto vi sono tre elementi fondamentali: i contrasti di interessi, gli atteggiamenti e i comportamenti. A partire da una divergenza di opinioni, gli individui coinvolti potrebbero andare incontro ad una risoluzione della controversia, e quindi avere un atteggiamento costruttivo, oppure potrebbero mettere in atto atteggiamenti oppositivi che potrebbe sfociare in un comportamento aggressivo e violento.

 

Modalità comunicative disfunzionali

Il conflitto prima, la violenza poi, sono sostenuti e perpetrati anche attraverso la comunicazione. Esistono cinque principali meccanismi di comunicazione disfunzionale:

  1. La collusione avviene quando due o più persone, inconsapevolmente, ingannano sé e gli altri interpretando dei ruoli fissi distanti dal loro reale essere, in cui però restano intrappolati. Questo stile comunicativo porta ad accettare il proprio partner solo in base a ciò che ci aspettiamo da lui;
  2. L’occultamento di alcune informazioni comporta una posizione di superiorità fisica, psicologica, o di potere da parte di un individuo, portando il partner ad essere dipendente e incapace di differenziarsi;
  3. La strategia del silenzio contempla astuzie verbali, e non, mirate a punire l’altro. Sono presenti in questo stile comunicativo isolamenti e silenzi che compromettono la comunicazione. E’ una tattica disfunzionale messa in atto maggiormente dai partner femminili all’interno di una coppia;
  4. Il negoziato della dissociazione consiste in uno “scambio di dissociazioni”: i partner, inconsapevolmente, proiettano sull’altro i propri sentimenti poiché se li riconoscessero come propri, sarebbero intollerabili;
  5. La pseudomutualità è una modalità comunicativa e relazionale in base alla quale i partner si sforzano di mantenere un’apparente coesione. Ciò comporta un annullamento delle singole individualità e un evitamento dei conflitti poiché ritenuti distruttivi. All’interno della coppia i partner assumono dei ruoli fissi, a volte alternandoli.

Le modalità comunicative sopra elencate sostengono un fenomeno molto complicato da osservare ma estremamente trasversale all’interno della società attuale: la violenza psicologica.

La violenza psicologica, economica e il gaslighting

La violenza psicologica è perpetrata attraverso intimidazioni, svalutazioni, umiliazioni sia pubbliche che private, critiche continue sul proprio modo di vestire o di agire e ricatti. È un tipo di violenza che agisce nel quotidiano e che porta la persona che la subisce a dubitare realmente delle proprie capacità e competenze. Colui che la agisce potrebbe arrivare anche a controllare le scelte e le relazioni sociali del proprio partner, sfociando nel reato dello stalking: un insieme di comportamenti di sorveglianza ripetuti ed intrusivi che mirano ad ottenere un contatto continuo con la vittima (Bernardini de Pace, 2004).

Un’altra forma di controllo delle scelte altrui riguarda la violenza economica, caratterizzata dalla sottrazione o dall’impedimento ad accedere al denaro e ad altre risorse basilari, dal sabotaggio del lavoro altrui o dal contrasto al proseguo degli studi. Tali atteggiamenti di controllo e manipolazione portano l’individuo a sentirsi non compente, a non avere i mezzi economici o le conoscenze adeguate per soddisfare i propri bisogni. Il fenomeno del gaslighting, infine, è una forma di violenza psicologica che mina ogni certezza e sicurezza di chi la subisce. Può esser considerato un vero e proprio lavaggio del cervello che porta la vittima a dubitare della propria capacità di giudizio e della propria memoria. Come le precedenti forme, anche questa è quotidiana, silenziosa, perpetrata attraverso frasi o atteggiamenti svalutanti e subdoli.

Caratteristica trasversale a tutte le forme di violenza psicologica è la sua piccola dose quotidiana, ed è quindi necessariamente agita da una persona vicina, se non addirittura il proprio partner. Qualsiasi forma di violenza psicologica inizia da una distorsione della comunicazione. Coloro che subiscono violenze psicologiche tendono a percepirsi come il carnefice li descrive, fanno proprie le continue intimidazioni, le svalutazioni, e finiscono per introiettare il giudizio dell’altro nel proprio Io. A lungo andare l’autostima personale verrà meno e l’individuo si convincerà di essere incompetente, inadeguato a qualsiasi situazione sociale: ciò rappresenterà un forte impedimento nel momento in cui l’individuo dovesse decidere di uscire da una situazione di violenza.

Scritto da Federica de Lillis, Dott.ssa in Psicologia dello sviluppo tipico e atipico presso Facoltà di Medicina e Psicologa La Sapienza

Riferimenti bibliografici:

Corradi, C. (2008).  I modelli sociali della violenza contro le donne. Rileggere la violenza nella modernità. Milano: FrancoAngeli editore.