Sostanze alcoliche e adolescenti
L’uso di sostanze alcoliche da parte degli adolescenti è diventato ampiamente diffuso negli ultimi anni. È iniziato da paesi come gli Stati Uniti d’America, la Gran Bretagna e l’Australia ed ha finito per interessare la maggior parte dei paesi industrializzati non esclusa l’Italia, dove l’eccessivo uso di alcolici e il cosiddetto binge drinking, cioè il bere incontrollato, costituiscono ormai un rilevante problema per la salute. L’alcool è un alimento e come tale dovrebbe essere trattato. Un suo utilizzo scorretto, indipendentemente dalle dosi assunte ha un impatto negativo sul sistema nervoso centrale. Se l’ubriachezza ha una connotazione negativa, l’ebbrezza che si raggiunge con il binge drinking, considerata dai giovani un collante sociale, uno stato ottimale per stare bene con gli altri, non può quindi non averne una altrettanto negativa e non può non destare preoccupazione. Uno studio del Dr. Wang pubblicato sulla rivista The Journal of Neuroscience, ha dimostrato come l’alcool può modificare la struttura e la funzionalità dei neuroni che regolano le nostre azioni dirette ad uno scopo, e queste alterazioni ci spingerebbero a consumare ulteriormente alcool. Siamo di fronte a una forma di plasticità sinaptica e strutturale di tipo disadattivo, in cui i neuroni che controllano l’apprendimento legato al rinforzo subiscono una modifica sia morfologica che funzionale. Secondo il Dr. Wang “L’assunzione periodica di una grande quantità di alcool abbassa la soglia di attivazione dei neuroni D1, dando vita ad un circolo vizioso. Più si assume alcool, più aumenta la voglia di bere”.
Binge drinking: dati statistici
La crescente diffusione del binge drinking, con tutte le serie conseguenze che produce, dai problemi fisici agli incidenti stradali, ai comportamenti devianti, ha generato un incremento di interesse nella comunità scientifica, e per questo negli ultimi anni sono stati fatti una serie di studi per identificare i fattori che sottendono questo comportamento. Faccio riferimento, in particolare, alla ricerca condotta dai prof. Universitari Maria D’Alessio, Roberto Baiocco, e Fiorenzo Laghi (2011) sul problema del binge drinking tra gli studenti universitari italiani e alla ricerca condotta su un campione di studenti di scuola secondaria per valutare quali sono le aspettative sull’alcool e gli stili parentali in adolescenza. Intanto è opportuno precisare che entrambe le ricerche, facendo riferimento a studi precedenti hanno classificato il campione esaminato in “non bevitori”, social drinkers che tendono a bere dalle 3-4 volte all’anno alle 3-4 volte a settimana; binge drinkers cioè i bevitori senza controllo o moderazione che consumano 5 o più bevande alcoliche di seguito per almeno una o due volte a settimana; heavy drinkers, i bevitori forti che riportano 3 o 4 episodi di binge drinking a settimana.
Per quanto attiene la prima ricerca è stata condotta su un campione di 1000 studenti in quattro differenti università italiane, due dell’Italia centrale e due dell’Italia del sud. L’età media del campione era di 22,59. Gli studenti, rispondendo al questionario, hanno fornito informazioni identitarie e informazioni relative alla quantità e alla frequenza dell’uso di alcool. Solo il 2% del campione è risultato non bevitore. La percentuale più alta di binge drinkers di 39,9% è risultata nell’Italia centrale. Nei tre gruppi sono state rilevate differenze per sesso. Solo tra i social drinkers la percentuale delle femmine è più alta. Una differenza significativa si è rilevata nel gruppo dei bevitori forti: 11.4% non vive in famiglia.
Ricerca di ”sensazioni” e aspettative sul bere
Per quanta riguarda la “ricerca di sensazioni” si sono evidenziate quattro sottoscale: Disinibizione, Esperienza, Ricerca di avventura e Suscettibilità. Riguardo le aspettative sul bere si sono evidenziate tre diverse funzioni positive: Disinibizione sessuale e comportamentale, Sollievo da dolore, ansietà e stress e Socializzazione. I binge drinkers hanno riportato livelli più bassi rispetto ai bevitori forti, ma più alti rispetto ai bevitori sociali. Anche per quanto riguarda l’età di inizio del bere i binge drinkers hanno cominciato dopo rispetto ai bevitori forti, ma prima rispetto ai bevitori sociali. La seconda ricerca indaga i binge drinking tra gli adolescenti. Essa è stata condotta in 5 scuole superiori del Lazio su 645 studenti Italiani e rientrava in un progetto sulla salute scolastica. L’adolescenza è un periodo particolare, di grandi cambiamenti fisici e psicologici, è il periodo in cui ai giovani viene chiesto di assumere nuove responsabilità, e d’altro lato essi sono molti insicuri perché la loro identità non è ancora del tutto consolidata e pertanto profondamente influenzabile dai loro pari.
E’ per questo che il binge drinking trova la percentuale più alta tra i giovani di 15 e 17 anni con un picco tra i 18 e 24 anni e tende a ridursi dopo questa età, quando i giovani hanno una maggiore consapevolezza di sé ed una più forte identità. La ricerca ha indagato in particolare le aspettative sull’alcool e l’influenza degli stili genitoriali esperiti dai giovani. Le aspettative vanno dal divertirsi alla disinibizione e quindi alla socializzazione e alla perdita di controllo cioè al raggiungimento di una coscienza ridotta dove non ci sono responsabilità ma solo piaceri, libertà e potere. Queste aspettative sono risultate essere più alte negli heavy drinkers e più bassa nei social drinkers rispetto ai binge drinkers.
Strategie educative di prevenzione
L’uso di alcool ha differenti connotazioni culturali, psicologiche e sociologiche legate alle diverse epoche. Se nell’ottocento l’alcolista era considerato un criminale, nei primi del novecento un malato mentale, oggi chi “beve” è un soggetto bisognoso di un programma di recupero. E se la spinta al bere compulsivo nell’adolescente viene determinata, come risulta dalle ricerche citate, dalla “pressione sociale”, e dalle aspettative di miglioramento del proprio stato affettivo-relazionale ne consegue che comprendere i meccanismi che portano al binge drinking è fondamentale per attuare strategie preventive mirate ed adeguate e che non sono sofficienti interventi individuali, ma si richiedono cambiamenti stabili nel tempo. L’esito della ricerca condotta dal Dr. Wang (2015) apre nuovi e promettenti scenari per il possibile sviluppo di un trattamento specifico che riduca il desiderio di alcool andando proprio ad agire sui neuroni dello striato dorso-mediale. Tuttavia sarà necessario creare programmi che non siano interventi riparativi e limitati nel tempo, ma una vera e propria strategia di prevenzione che coinvolga la popolazione giovanile e che contrasti fortemente la loro visione del consumo di alcool come di un fenomeno rientrante nella normalità e la loro cultura del rischio cioè la valorizzazione che attribuiscono a gesti pericolosi, tra i quali l’assunzione di alcool.
Per quanto riguarda gli stili genitoriali, si sono rivelati fondamentali. Prima la presenza dei genitori e quindi il monitoraggio da parte loro dei comportamenti dei figli sono validi strumenti di prevenzione. È risultato, infatti, che la maggior parte dei binge drinkers vive fuori casa. Inoltre e non di minore importanza è il tipo di educazione impartito ai bambini, formativo anche da questo punto di vista. Al di là dell’affetto e delle cure amorevoli che naturalmente i genitori devono garantire ai bambini, è necessario che essi stabiliscano delle regole e che facciano capire loro l’importanza del rispetto di queste regole, ricorrendo anche a punizioni quando è necessario. E’ovvio che questa rigidità non deve superare certi limiti perché, come rilevato anche dalla ricerca, si otterrebbero effetti contrari.
Scritto da Giovanni Schiattarella, Dr. In Scienze e Tecniche Psicologiche per l’Analisi dei Processi Psichici nello Sviluppo e nella Salute
Riferimenti bibliografici
- Baiocco R., D’Alessio M., Laghi F. (2011), I giovani e l’alcol. Il fenomeno del binge drinking, RM: Carocci
- Wang J. et al. (2015), Alcohol Elicits Functional and Structural Plasticity Selectively in Dopamine D1 Receptor-Expressing Neurons of the Dorsomedial Striatum in The Journal of Neuroscience,