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Co-sleeping: di cosa si tratta?

Letteralmente, co-sleeping è una parola composta da sleep (dormire) e co (insieme). Co-sleeping significa, quindi, far dormire i neonati nella stessa camera da letto dei genitori, o addirittura nel letto matrimoniale.
Prima di analizzare questo fenomeno sempre più diffuso oggi, bisogna fare un passo indietro e analizzare come, ai giorni nostri, venga messa in atto la cura dei propri bambini. Importante è saper distinguere tra educazione e “mode educative”: ciò che andava di moda ieri, oggi non è considerato opportuno. Un esempio può essere la concezione dell’allattamento: negli anni Sessanta era incentivato l’allattamento artificiale, oggi si predilige il latte materno, poiché sembra portare numerosi vantaggi dal punto di vista salutare e psicologico.
E’ proprio per questo motivo che il fenomeno del co-sleeping è altamente discusso oggi, poiché si hanno idee ambivalenti: da una parte abbiamo i bisogni primari del neonato che, a pochi giorni di vita, ha bisogno di sentire il contatto ed il calore materno, fonte di base sicura. Dall’altra, dormire insieme limiterebbe la crescita e la futura autonomia del bambino.

Oggi si parla di co-sleeping mal visto nei Paesi economicamente più sviluppati, a partire dagli Stati Uniti.
Basti pensare che in passato era considerata normale amministrazione dormire insieme, nello stesso letto. I problemi dell’epoca passata non permettevano a tutti di avere un letto, di conseguenza ci si doveva arrangiare come si poteva. Si dormiva insieme. Semplicemente perché ciò non causa disagi familiari o relazionali. Il neonato, specialmente nei primi giorni dopo il parto, necessita di esigenze fisiche ed emotive: ha bisogno di essere rassicurato, di sentirsi protetto, di vivere quella simbiosi con la madre che permetterà lui di sperimentare con tranquillità l’ambiente esterno.
Essere lasciato solo forzatamente, sin da piccolo, può far vivere esperienze negative come l’abbandono e insonnia futura.
In una società come quella di oggi che promuove l’individualismo e la singolarità, ci si dimentica che per diventare autonomi bisogni passare da un’infanzia rassicurante, caratterizzata da condivisione e accudimento. Più si ha modo di sperimentare sensazioni simili, maggiori saranno le possibilità di diventare un adulto sicuro di sé e soprattutto autonomo, svincolato da ciò che era prima l’attaccamento materno.

I cuccioli non dormono da soli

Si intitola così il titolo del libro della psicologa perinatale Alessandra Bortolotti, il quale affronta proprio la questione del sonno condiviso. La dottoressa non vuole dare delle regole precise da seguire in merito al co-sleeping, semplicemente accompagna i genitori verso la scelta di decisioni consapevoli.
Il punto di partenza del libro è l’affermare l’esistenza di una cultura basata sul distacco precoce dei bambini. Oggi, la concezione dominante è che il bambino debba imparare fin da subito ad essere autonomo, a dormire da solo e a gestire da solo la propria emotività.
Questo tipo di atteggiamento rischia di dar vita ad un rapporto distorto con il proprio bambino poiché i genitori non riusciranno mai a mettersi in una posizione di ascolto con il proprio figlio e soprattutto non daranno mai vita all’istinto materno e paterno che prende vita dopo la nascita del bambino.
L’idea di fondo è dimostrare che attorno alla concezione del co-sleeping ruotano molti falsi-miti che necessitano di essere “sfatati”, al fine di informare correttamente su quali sono i veri bisogni del neonato.

I principali falsi miti del libro sono:
• Se il bambino dorme nel letto con i genitori, egli non sarà mai indipendente: ciò è assolutamente falso e privo di ogni base scientifica. Il bambino necessita – soprattutto nei giorni dopo la nascita – di sentire il calore della mamma, soprattutto durante la notte, sperimentata come buia e silenziosa. E’, forse, l’unico momento della giornata in cui il bambino ha bisogno di sentire conforto.
• Condividere il letto è una scelta pericolosa: quando si parla di co-sleeping, molto spesso viene preso in considerazione anche la morte in culla, la SIDS. Ovviamente, un fenomeno del genere è rischioso sia se il bambino dorme da solo, sia se dorme nello stesso letto con i genitori. Il piccolo dovrebbe essere messo sempre a pancia in giù al fine di garantire un sonno tranquillo.
• Tutti i bambini sono in grado di dormire da soli tutta la notte dopo il sesto mese di vita: assolutamente no. I risvegli dei bambini sono normali e fisiologici fino ad almeno 7 mesi di vita. I bambini, in particolare i neonati, hanno un sonno molto diverso da quello degli adulti; passano più tempo nella fase REM, di conseguenza è più facile che si risveglino. Proprio per questo hanno particolare bisogno di sentirsi rassicurati. Hanno bisogno del calore materno per riuscire a proseguire ad avere un sonno tranquillo.

E se il co-sleeping diventasse una dipendenza?

Nonostante sia fondamentale che il bambino dorma con i propri genitori nei primi mesi di vita, il rischio è che, col tempo, il letto dei genitori può dare una forma di dipendenza.
Molti bambini infatti, nonostante siano cresciuti ed abbiano una loro camera, si svegliano durante la notte perché vogliono tornare a dormire nel letto con la mamma ed il papà.
L’allontanamento del bambino dai genitori deve essere graduale: fino ai 3 anni è normale che il bambino possa avere la necessità di sentire il contatto dei propri genitori. Dai 3 ai 5 anni, invece, diventa più autonomo e inizia ad esplorare l’ambiente esterno in maniera autonoma, mantenendo comunque un legame rassicurante con la mamma. Il bambino può sperimentare episodi sporadici notturni nel lettone con la mamma ed il papà, solo in casi in cui sente davvero il bisogno per cause particolari.
Dai 5 anni in poi, inizia ad essere pienamente autonomo e stimolato dalla consapevolezza di avere un’intera camera per lui, in cui è libero di fare ciò che vuole. La vicinanza dei genitori non è più necessaria poiché sarà in grado di sostituirli con peluche da abbracciare durante la notte.

Normalmente queste tappe risultano essere automatiche nonostante non ci sia un momento giusto per abbandonare il sonno condiviso. Ci sarà semplicemente un momento in cui il bambino deciderà di uscire dal letto dei genitori e iniziare a dormire da solo nella sua cameretta. Se ciò non accadesse, molto probabilmente il bambino continuerà a dormire nel letto dei propri genitori addirittura fino ai 13 anni di età. Ciò può portare a vivere una situazione di particolare disagio per entrambi poiché:
• Dormire insieme stressa i genitori, che non dormono tranquilli per paura di far male al bambino
• Stressa il bambino stesso, il quale può vivere il distacco notturno dai genitori come un abbandono perché non più voluto
• Danneggia il rapporto di coppia poiché i genitori non vivono più momenti di intimità
Abituare il bambino a dormire da solo, quindi, lo aiuta a separarsi gradualmente dai genitori ed acquisire il proprio posto all’interno della famiglia.

Nei primi periodi i genitori possono aiutare il bambino verso l’indipendenza notturna attraverso piccole strategie, ma molto efficaci: leggere una favola tutti insieme nel letto del bambino aiuta il piccolo ad addormentarsi facilmente contornato comunque dal calore dei propri genitori nonostante si trovi nel proprio letto. Una volta addormentato, i genitori potranno tornare nella propria camera e lasciare il bambino nella sua. Si tratta di un compromesso: i genitori aiutano il figlio ad essere autonomo, senza dimenticarsi della rassicurazione che necessitano fino a diventare completamente indipendenti.

Riferimenti bibliografici
Bartolotti, A. (2016). I cuccioli non dormono da soli. Il sonno dei bambini oltre i metodi e pregiudizi. Milano: Mondadori