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Disturbi Specifici dell’Apprendimento

Oggi, circa il 3-5% della popolazione scolastica in età evolutiva (Consensus Conference, 2010), ha un Disturbo Specifico dell’Apprendimento, dato davvero rilevante se si pensa alle conseguenze che questi disturbi possono determinare, traducendosi spesso in abbandono scolastico, livelli di autostima molto bassi, oltre che a una riduzione della realizzazione delle proprie potenzialità sociali e lavorative. Spesso questo disturbo viene scambiato per pigrizia o disattenzione; alla base invece c’è un deficit reale, a carico del Sistema Nervoso Centrale, che impedisce il normale apprendimento di lettura, scrittura e calcolo. Questi bambini impegnano, al contrario, molta energia sul compito, ma si stancano facilmente e devono triplicare gli sforzi per raggiungere minimi risultati. Si tratta di disturbi, genetici, che coinvolgono uno specifico dominio di abilità, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale. Un DSA è un bambino con un QI nella norma, se non addirittura superiore. Sulla base del deficit funzionale, i DSA, secondo il DSM IV TR, sono distinti in:

  • Dislessia, disturbo nella lettura, che risulta lenta e stentata;
  • Disortografia, cioè un disturbo nella scrittura intesa come competenza ortografica;
  • Disgrafia, intesa come difficoltà nell’organizzare lo spazio grafico;
  • Discalculia, difficoltà nel comprendere e operare con i numeri.

In tutti e quattro i disturbi sopra elencati, manca il processo di automatizzazione della procedura di decodifica istantanea; un dislessico, non migliorerà la sua abilità leggendo 10 volte un testo, ma, al contrario, si stanca; un discalculico avrà difficoltà nell’imparare a memoria le tabelline, o fare calcoli a mente, poiché il problema è nel recupero di una certa informazione. La diagnosi precoce di un DSA è fondamentale, ai fini del recupero dell’abilità e del suo percorso scolastico. Il ritardo nella comparsa del linguaggio o il ritardo motorio possono essere predittori del disturbo, anche se non hanno carattere deterministico.

La finestra evolutiva di un DSA

Il nostro cervello è continuamente soggetto a stimoli ambientali, che influiscono sul nostro modo di percepire, di pensare, di apprendere e di comportarci. Questo accade perché le connessioni del nostro sistema nervoso possono essere modificate dall’esperienza. Tale processo è noto come plasticità neuronale, ed è alla base della memoria e dell’apprendimento. È un fenomeno peculiare del sistema nervoso in sviluppo, per cui, un trattamento riabilitativo su un DSA, sarà più efficace, se svolto all’interno di una fascia di età prestabilita. Ecco perché si parla di finestra evolutiva, intesa come il periodo che va dalla prima ‏alla terza elementare circa, durante la quale gli interventi produrranno una modificazione neuronale in alcune aree del cervello, tale da ristabilire l’abilità deficitaria. È possibile, però, tentare con la terapia anche dopo la finestra evolutiva; se la situazione non migliora, è bene introdurre dei metodi dispensativi e compensativi per sopperire al deficit.

Strumenti compensativi

La recente promulgazione della legge 170 del 8 ottobre 2010 (Ministero dell’istruzione) tutela gli alunni con DSA, definisce i diritti e indica iniziative e misure necessarie per un’adeguata promozione dello sviluppo delle caratteristiche di questi pazienti, che deve essere assolutamente messa in atto in tutte le scuole. Gli strumenti compensativi, sono mezzi, digitali e non, di cui può avvalersi una persona con DSA, per sopperire alle proprie difficoltà (www.aiditalia.org). Essi possono comprendere

  • Calcolatrice e tavola pitagorica;
  • Garantire più tempo per lo svolgimento di verifiche;
  • Fissare interrogazioni;
  • Testi digitali e sintesi vocali;
  • Evitare di far copiare gli esercizi dalla lavagna.

DSA e autostima: una relazione direttamente proporzionale

Mi capita spesso, nel mio lavoro, di sentire frasi del tipo: “no, i miei compagni non copiano da me- io non faccio bene i compiti”; oppure: “io mi distraggo facilmente, ci provo ma non riesco, per questo non ho buoni voti”genitori a cui viene riferito che i propri figli non si impegnano abbastanza, che si alzano continuamente e che disturbano, o al contrario che sono così timidi da non voler leggere in classe. La scuola è un luogo fondamentale, in cui, non solo si gettano le basi per una buona preparazione, ma si instaurano le prime esperienze relazionali al di fuori del contesto familiare; è bene dunque, che il bambino viva questo percorso in termini postivi e riesca ad ambientarsi correttamente. Gli apprendimenti che gli alunni fanno, in qualsiasi disciplina, lasciano nella memoria una forte traccia emotiva. Il concetto di autostima è correlato a tutto questo; scaturisce dal confronto tra successi e insuccessi che l’individuo ottiene, da come si percepisce in base alle aspettative proprie e altrui (Battistelli, 1994). Un accumulo di esperienze negative porta ad una bassa autostima. Gli insuccessi scolastici di un bambino dislessico possono causare in loro vissuti negativi. Sentimenti di ansia e frustrazione, rischiano di strutturare una personalità fragile, con conseguenze sul futuro professionale e personale. Dunque, affermare che un bambino “si impegna poco”, senza valutare un quadro più generale, è controproducente e porta a colpevolizzazioni deleterie. I bambini con DSA, non sono per niente stupidi, anzi, a volte sviluppano capacità creative sorprendenti; sono bambini normalissimi, che al di fuori del contesto scolastico non hanno difficoltà evidenti.

Scritto dalla Dr.ssa Veronica Torneo, psicologa clinica, specializzata in riabilitazione e diagnosi dei disturbi dell’apprendimento, operatore certificato ECAAT, di training autogeno

 

Bibliografia

Consensus Conference 3, 2010. Sistema Nazionale per le linee guida.

DSM-IV TR, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Milano: Cortina Raffaello

Battistelli P. (1994), “Autostima”, in S. Bonino (a cura di), Dizionario di Psicologia dello Sviluppo, Torino: Einaudi