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Il mio mondo chiuso a chiave in una stanza

Viviamo in una società che da sempre promuove l’idea che per essere socialmente accettati e adeguati bisogna essere perfetti e rispecchiare i canoni estetici e di successo che sono proposti. Le pressioni di realizzazione sociale, che provengono dai mass-media o dall’ambiente in cui si vive, trovano nell’adolescenza e nei primi anni di vita adulta, un terreno fertile a causa anche delle numerose aspettative che sono proiettate su di loro dai genitori, dai coetanei e dalla società stessa. Non tutti però hanno la forza di sostenere tali pressioni. Alcuni, infatti, non riuscendo a tenere il passo, sperimentano sentimenti di fallimento, di vergogna e di rifiuto, vedendo nell’isolamento la sola via di fuga esistente. Tutto ciò fa da sfondo ad un nuovo fenomeno sociale, nato in Giappone, che prende il nome di “Hikikomori”. In Giappone ci sono più di 500.000 casi accertati di Hikikomori ma attualmente si sta rivelando un fenomeno esteso a tutti i paesi sviluppati, Italia inclusa, in cui si stimano circa 100 mila casi.

 

Le caratteristiche dell’Hikikomori

Il termine “Hikikomori” deriva dalle parole giapponesi hiku (tirare indietro) e komoru (ritirarsi) e significa letteralmente “stare in disparte, isolarsi”. Fu lo psichiatra giapponese Saitō Tamaki che nel 1998 coniò il termine Hikikomori riferendosi a tutti coloro che rifiutavano spontaneamente relazioni sociali con il mondo esterno. Chi sono quindi gli Hikikomori? Sono adolescenti e giovani adulti che decidono volontariamente di isolarsi nella loro stanza interrompendo la loro vita sociale e qualsiasi forma di contatto con l’esterno per mesi o addirittura anni. Racchiudono il loro mondo in quattro mura in cui vivono una realtà parallela fatta di videogames, lettura, disegno e internet che gli consente di sperimentare quel senso di accettazione che non riescono ad avere nella vita quotidiana.

Marco Crepaldi, fondatore di Hikikomori Italia (la prima associazione nazionale d’informazione e supporto sul tema), fornisce una sua definizione del fenomeno, frutto dei suoi studi sul fenomeno: “È una pulsione all’isolamento sociale che si innesca come reazione alle eccessive pressioni di realizzazione sociale, tipiche delle società capitalistiche economicamente più sviluppate”. La stanza incarna, quindi, per l’Hikikomori un rifugio in cui rinchiudersi quando le pressioni sul prendere ottimi voti a scuola, sul trovare un buon lavoro e sull’essere all’altezza dei coetanei per bellezza e successo divengono insostenibili e fonte di disagio. Quando la propria vita si distanzia nettamente da queste aspettative, l’unica arma di difesa che mette in atto l’Hikikomori è l’isolamento, in cui si sente al sicuro da tutte quelle emozioni negative che sperimenta ogni qualvolta che si sente in mezzo agli altri o quando non rispecchia ciò che desiderano gli altri.

 

I fattori di rischio

Un primo importante fattore di rischio per lo sviluppo dell’Hikikomori è il sesso maschile su cui le aspettative di realizzazione sociale sono molto più alte rispetto al sesso femminile. È importante sottolineare, però, che il numero delle donne è sottostimato poiché una ragazza che si rinchiude in camera sua volontariamente è ritenuto, anche dagli stessi genitori, molto più accettabile socialmente rispetto ad un ragazzo. Un secondo fattore di rischio è l’essere figlio unico poiché, in questo caso, i genitori investono maggiore pressione di realizzazione sociale idealizzando e riversando sul figlio tutte le loro aspettative. Un altro fattore di rischio è caratterizzato da dinamiche familiari disfunzionali in cui vi è la mancanza della figura paterna, che conduce una vita totalmente incentrata sul lavoro, e di una madre iperprotettiva verso il proprio figlio con il quale crea un rapporto di fusione totale ostacolando lo sviluppo della sua autonomia.

Un altro ruolo importante è giocato dall’adolescenza e dai primi anni dell’età adulta. Infatti, in Italia è maggiormente frequente in ragazzi dai 14 ai 25 anni con un picco intorno ai 16 e i 17 anni mentre in Giappone ci sono moltissimi casi anche sopra i 40 anni che spesso vengono ignorati. Un fattore determinante, inoltre, è una forte sfiducia e negatività verso la società, verso tutte le relazioni sociali e verso tutte le fonti che creano disagio (scuola, famiglia, amici). L’Hikikomori ha una forte avversione e sfiducia verso il sistema scolastico, soprattutto durante le scuole medie e superiori, in cui fa fatica ad integrarsi e a relazionarsi con i coetanei, i quali sono soliti prenderlo di mira perché molto timido. Spesso questi ragazzi hanno una storia di bullismo alle spalle; ritenuto, anche questo, un fortissimo fattore di rischio che può portare il ragazzo ad intraprendere la via dell’isolamento. Infine, un ultimo fattore di rischio è relativo alle caratteristiche di personalità tipiche del ragazzo Hikikomori, ovvero un carattere sensibile e introverso; si tratta di ragazzi con molte potenzialità che non hanno difficoltà scolastiche ma una demotivazione a proseguire gli studi. Sono così fragili da non riuscire ad affrontare le situazioni che la vita gli pone davanti e l’isolamento è l’unica via di fuga da tutto questo.

 

I tre stadi dell’Hikikomori

L’Hikikomori è un fenomeno in continuo mutamento che va dalla comparsa dei primi segnali d’allarme fino all’isolamento completo. A tal proposito Marco Crepaldi, individua tre stadi dell’hikikomori:

  • Primo stadio: il ragazzo inizia a sentire il bisogno di isolarsi quando è insieme ad altri ma cerca comunque di mantenere le relazioni sociali nonostante si senta a suo agio solo in quelle virtuali. Il primo campanello d’allarme da non sottovalutare è il rifiuto di andare a scuola in cui inizia ad accumulare una serie di assenze; successivamente tende ad eliminare tutte le attività che creano contatto sociale (sport, uscire con gli amici) a favore di quelle solitarie (videogames) e a poco a poco avviene l’inversione del ritmo sonno – veglia (dormono di giorno e vivono di notte).
  • Secondo stadio: il ragazzo abbandona del tutto la scuola, il ritmo sonno-veglia è invertito totalmente e rifiuta qualsiasi situazione di contatto sociale passando la maggior parte del tempo solo nella sua stanza in compagnia della rete virtuale; nonostante questo mantiene il rapporto con i genitori. La realtà virtuale gioca un ruolo fondamentale poiché è l’unica fonte di comunicazione con il mondo esterno che permette al ragazzo di non allontanarsi completamente dalla socialità.
  • Terzo stadio: avviene l’isolamento completo anche dai genitori e dalla rete virtuale che è vissuta come le relazioni sociali esterne. L’Hikikomori non condivide neanche semplici momenti familiari: in questa fase, sono soliti mangiare nella propria stanza chiedendo ad un genitore di lasciare il cibo fuori dalla porta, escono dal proprio “rifugio” solo nelle ore notturne in cui è sicuro di non incontrare i membri della propria famiglia. In quest’ultimo stadio è più difficile far uscire il ragazzo dalla propria stanza poiché l’isolamento è divenuto parte integrante di lui.

Il passaggio da uno stadio all’altro, però, non segue sempre un ordine stabilito: alcuni si fermano alla prima fase, altri sperimentano fasi intermedie o altri ancora non raggiungono mai l’isolamento completo. È importantissimo quindi intervenire fin dai primi segnali d’allarme poichè qualsiasi tipo d’intervento sarà ancora più complicato se si giunge all’isolamento totale.

 

Il ruolo della famiglia

A molti ragazzi chiusi nella loro stanza e isolati dal resto del mondo corrispondono molti genitori che cadono nello sconforto, che si sentono più soli degli stessi Hikikomori perché non sanno come aiutare il proprio figlio, il quale non collabora poiché ritiene di non aver bisogno d’aiuto. Vedere il proprio figlio stare male e non poter fare nulla per alleviare tale dolore li fa sentire da un lato impotenti e terribilmente soli mentre dall’altro hanno l’impazienza di doverlo aiutare a tutti i costi. Questa loro pressione, però, sarà vissuta come l’ennesima che riceve e lo porterà a non voler uscire dalla propria stanza e ad interrompere la comunicazione anche con loro.

È importante, quindi, riconoscere la profonda sofferenza che si cela dietro la loro scelta, aiutarlo a capire la motivazione che lo ha condotto all’isolamento, evitare di farlo uscire forzatamente con gli amici o farlo tornare a scuola nonostante provi enorme disagio; dovrà essere lui a decidere quando riaprirsi al mondo. Se ciò non avviene, il ragazzo non farà altro che costruirsi, giorno dopo giorno, un guscio sempre più silenzioso che lo renderà invisibile per il mondo esterno così com’è invisibile ancora oggi il fenomeno dell’Hikikomori. Per questa ragione, è essenziale focalizzarsi non solo sul ragazzo che ne soffre o sul sistema scolastico e sociale in cui è inserito ma anche su tutta la famiglia che è dentro un vortice della sofferenza. In conclusione, è importante riconoscere l’Hikikomori come un disagio di origine sociale e non come una patologia, anche se è fondamentale sottolineare che l’isolamento prolungato può portare all’insorgenza di psicopatologie gravi come depressione, disturbi d’ansia e disturbi di tipo paranoide.

 

Scritto da Jessica Spinsanti – Dr.ssa in Psicologia Clinica

 

Riferimenti bibliografici

Ricci, C. (2008). Hikikomori: Adolescenti in volontaria reclusione. MI: Franco Angeli.

Ricci, C. (2009). Hikikomori – Narrazioni da una porta chiusa. RM: Aracne.

Ricci, C. (2011). Hikikomori e adolescenza: Fenomenologia dell’autoreclusione. MI: Mimesis Edizioni.

Saitō, T. (1998). Hikikomori: Adolescence without end. Tokyo: PHP Kenkyuujo