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Le nuove dipendenze: vecchi meccanismi e nuovi oggetti

L’organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) descrive il concetto di dipendenza patologica come quella condizione psichica, e talvolta anche fisica, derivante dall’interazione tra un organismo vivente e una sostanza tossica, e caratterizzata da risposte comportamentali e da altre reazioni, che comprendono sempre un bisogno compulsivo di assumere la sostanza in modo continuativo o periodico, allo scopo di provare i suoi effetti psichici e talvolta di evitare il malessere della sua privazione. Nel trattare le dipendenze, specie negli ultimi anni, si fa sempre più strada, accanto alle dipendenze da sostanze, il campo delle cosiddette “dipendenze comportamentali”, dove non vi è l’assunzione di alcune sostanza, ma la dipendenza è data da un comportamento. Queste ultime vengono definite con il termine “nuove dipendenze” o “dipendenze senza sostanze”, e rientrano in questa categoria tutti quei comportamenti, socialmente accettabili, che vengono portati all’estremo e messi in atto in maniera compulsiva, tanto da compromettere il funzionamento personale, sociale e lavorativo della persona. Fra queste annoveriamo: il gioco d’azzardo patologico, lo shopping compulsivo, la “technologies addiction” (dipendenza da TV, internet, social network, videogiochi), la dipendenza da lavoro (workaholism), la dipendenza da sesso (sex-addiction) e dalle relazioni affettive (dipendenza affettiva), e alcune devianze del comportamento alimentare come l’ortoressia o dell’allenamento sportivo come la sindrome da overtraining (Cardoso, 2014).

Nonostante si tratti di dipendenze comportamentali, esse riescono comunque a riprodurre gli stessi effetti e sintomi di quelle da sostanza. Infatti, sono presenti sintomi di astinenza (disagio fisico e mentale quando si interrompe il comportamento o l’assunzione), craving (il desiderio incontrollabile di mettere in atto il comportamento o di assumere la sostanza), tolleranza (la necessità di aumentare il tempo dedicato al comportamento o le quantità della sostanza per esperire un effetto “piacevole”), alterazioni dell’umore, mancanza di controllo (incapacità di controllare molteplici aspetti della vita), ricadute (la tendenza a riavvicinarsi al comportamento o alla sostanza, nonostante un periodo di astensione) (Caretti, La Barbera, 2012). Attualmente, sebbene vi siano studi e molti casi clinici al riguardo, le nuove dipendenze non sono classificabili ufficialmente, ad eccezione del gioco d’azzardo patologico, che è compreso nel capitolo relativo alle Dipendenze nel DSM-5. Malgrado ciò, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nelle ultime settimane, ha riconosciuto la Dipendenza da videogame come una malattia mentale, inserendola nell’undicesima edizione della classificazione internazionale delle malattie (ICD-11).

 

Videogame: fra perdita di controllo e alienazione

La dipendenza da gioco digitale, sostiene l’OMS, consiste in “un modello di comportamento di gioco persistente o ricorrente (gioco digitale o videogame), che può essere online su Internet o offline e che prende il sopravvento sugli altri interessi della vita”. Secondo la ricerca Espad 2018, nella fascia 15-19 anni il 35% degli studenti italiani si collega a internet almeno una volta al giorno per fare giochi di ruolo o di avventura, e il 15% per giochi di abilità. Il 13% ritiene di passare troppo tempo a giocare e più dell’8% dichiara di diventare di cattivo umore quando non può farlo. Affinché si possa parlare di questo comportamento come di una malattia mentale, è necessario prendere in considerazione alcuni elementi peculiari: il gioco deve portare ad una perdita di controllo, poiché prende il sopravvento sulla propria vita, non riuscendo a gestire né la frequenza, né la durata del gioco; il gioco viene rivestito di un’attenzione tale per cui diventa una priorità rispetto alle altre attività quotidiane; la persona, nonostante le evidenti conseguenze negative, non riesce a smettere di giocare o di pensare al gioco.

Se presente, il “gaming disorder” crea una compromissione notevole o grave nelle aree di funzionamento della persona, danneggiando il funzionamento lavorativo, la vita sociale, familiare e personale. L’inserimento del disturbo all’interno della classificazione dei disturbi mentali rappresenta un passo fondamentale, perché si tratta di un punto di riferimento globale nella sanità e fornisce un linguaggio comune che consente agli operatori sanitari, di qualunque specializzazione, di condividere informazioni mediche. I medici di tutto il mondo, quindi, potranno iniziare a diagnosticare la dipendenza da videogame. Anche in Italia, dove secondo la ricerca Espad 2017-2018 sono 270mila i ragazzi che nei confronti di internet hanno un comportamento “a rischio dipendenza” (Cerrai, Resce, Molinaro, 2017). Fra le molteplici variabili, è possibile individuare 3 principali motivi che spingono gli individui al gioco compulsivo: l’interazione sociale, il risultato ottenuto e l’immedesimazione. Queste variabili sono state fortemente riscontrare nella maggioranza dei giocatori dipendenti. Nello specifico, l’immedesimazione, quindi la sensazione di essere parte integrante del gioco o assumere le veci di un personaggio del gioco, è un aspetto che, insieme alle ore complessive passate a giocare, ha avuto una correlazione maggiore rispetto allo sviluppo della dipendenza, ponendosi come un conclamato fattore di rischio.

 

Rischi e Prevenzione per bambini ed adolescenti

Secondo alcuni psicologi, il rischio che i videogiochi comportano per i bambini e gli adolescenti, non sarebbe tanto quello di far diventare violenti i giocatori, quanto quello di far loro assorbire la filosofia di vita del videogioco, o di assorbire una visione del mondo simile a quella da esso presentata. Si potrebbe finire pertanto con il vedere il mondo come un posto dove si combatte da soli contro tutti, dove l’importante è sparare e vincere. Una ricerca americana è giunta alla conclusione che i videogiochi violenti, forse non inducono i giocatori a mettere in atto condotte violente, ma certamente rendono ai loro occhi meno rilevanti scene di violenza, perché più abituati a vederla e quindi a normalizzarla.

Diversi studiosi hanno preso in esame, inoltre, le conseguenze dei videogiochi sugli aspetti neuropsicologici: attenzione, concentrazione, memoria. Molti concordano sul fatto che i ragazzi videogiocatori accaniti dimostrino poi deficit o problemi neuropsicologici, in particolare nelle aree della memoria, dell’attenzione, e della concentrazione (Bartolomeo, Caravita, 2005). Non esistono studi che abbiano dimostrato con certezza che bambini o adolescenti con determinate caratteristiche siano più soggetti di altri a diventare dipendenti da videogiochi. Alcuni ritengono che possano essere più a rischio minori con problemi di socializzazione, o bambini con aspetti tendenti all’iperattività o all’agitazione, o quelli che presentano disturbi d’ansia o stati depressivi. Empiricamente si può dire che sono soggetti a diventare dipendenti tutti i minori, bambini e adolescenti, a cui piace molto giocare, e che si trovano nelle condizioni di poterlo fare, ai quali cioè i genitori non danno dei limiti.

Per cercare di controllare i rischi connessi con l’uso di videogame, è consigliabile fare fede ad alcune regole, che possono essere utili nel contesto familiare. Innanzitutto, occorre stabilire un tempo limitato in cui il bambino o l’adolescente può avere accesso al videogioco. Queste regole e abitudini devono essere in primo luogo condivise e rispettate dagli adulti. È utile anche fornire al bambino o all’adolescente delle attività alternative all’uso dei videogiochi, come momenti di condivisione familiare, attività sportive o attività con gli amici. È bene che venga dato un ordine rispetto alle attività più importanti nell’arco della giornata, senza mai trascurare forme di interazione e condivisione estranee ai dispositivi elettronici. Infine, si consiglia di non mettere consolle o computer direttamente nella camera del bambino o dell’adolescente, perché questo potrebbe ostacolare il controllo reale sull’utilizzo dei videogame.

Conclusione

I videogiochi sono un fenomeno relativamente recente. Appare evidente come, allo stesso modo di altri comportamenti, le dinamiche di dipendenza da videogame si possono sviluppare e radicare tanto da presentare fenomeni analoghi alle dipendenze da sostanze, con comparsa di craving, tolleranza e assuefazione. Gli studi sulle conseguenze dell’esposizione a videogiochi, però, sono ancora pochi e soprattutto non sono ancora noti gli effetti a lungo termine sui bambini. Anche qualora fosse effettivamente riscontrata una correlazione statistica tra esposizione massiccia al videogioco e comportamenti problematici nei bambini, resterebbe da individuare il rapporto tra causa ed effetto. Sono i videogiochi che creano bambini problematici, o sono i bambini con delle difficoltà di crescita che sono più soggetti a lasciarsi attrarre dai videogiochi? O entrambe le caratteristiche sono determinate da qualche altra variabile a monte?

 

Riferimenti bibliografici

Bartolomeo A., Caravita S., (2005). Il bambino e i videogiochi. Implicazioni psicologiche ed educative, Edizioni Carlo Amore.

Cantelmi T., Lambiase E., Sessa A. (2004). Le dipendenze comportamentali, Milano: FrancoAngeli.

Cardoso P. (2014). Le nuove dipendenze. Gioco, cibo, internet, sesso, shopping, Francavilla a Mare: Edizioni Psiconline.

Caretti V., La Barbera D. (2012). Le nuove dipendenze: diagnosi e clinica, Roma: Carocci Editore.

Cerrai S., Resce G., Molinaro S. (a cura di) (2017), Consumi d’azzardo 2017. Rapporto di Ricerca sulla diffusione del gioco d’azzardo fra gli italiani attraverso gli studi IPSAD® ed ESPAD®Italia, Consiglio Nazionale Delle Ricerche IFC – Istituto di Fisiologica clinica.