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Il lato oscuro del volersi bene

Tutti noi abbiamo un lato oscuro. Non sempre riconosciamo in noi stessi il problema. A volte incolpiamo gli altri, ci giustifichiamo in ogni modo, vediamo solo ciò che vogliamo vedere, rimanendo del tutto ignari ed inconsapevoli del fatto che alcuni nostri atteggiamenti generano sofferenza nell’altro.

La violenza arriva forte e chiara a chi ci sta accanto e ci vuole bene. Siamo spesso condizionati nell’interpretare l’azione violenta come una forma di prevaricazione unicamente fisica sul più debole ma, la violenza può essere anche una parola detta al momento sbagliato o con lo scopo di ferire o umiliare, un comportamento denigratorio, un insulto, una minaccia, una coercizione. La violenza può anche essere psicologica, verbale, finanziaria.

La gravità di tale tipologia di violenza riguarda soprattutto l’incapacità di riconoscerla. La violenza psicologica infatti non viene sempre percepita dalle vittime come tale, poiché parte integrante del mondo in cui vivono e del quotidiano a cui sono abituate.  Ci si adatta infatti ad ogni condizione, anche alle più disagiate. Se fossi un bambino o una bambina che conta sui propri genitori per sopravvivere, il legame che avrei con loro sarebbe talmente forte che oscurerebbe ogni persecuzione subita, rendendo la violenza una legittima forma di educazione.

È tutta colpa mia…. le trappole affettive

Il bambino lentamente si convince di essere responsabile delle violenze subite dai genitori. Nella sua mente echeggiano pensieri come “è colpa mia”, “avrei dovuto ascoltare la mamma” “non avrei dovuto fare di testa mia, non ne faccio una giusta”. Questi pensieri che possono sembrare innocui si trasformano in credenze, provocando una progressiva fissazione dell’adolescente sulle proprie mancanze e future caratteristiche di personalità dell’adulto.

La violenza “affettiva” può anche essere definita manipolazione buona. Infatti, nonostante la parola manipolazione abbia un’ accezione puramente negativa, i genitori spesso attuano dei comportamenti inconsapevolmente manipolatori. Ad esempio quando si dice al proprio figlio “Dopo tutto quello che ho fatto per te!” facendo notare la mancanza del ragazzo e puntando il dito generando senso di colpa. Oppure la drammatizzazione dei pericoli al fine di rendere il figlio incapace di gestire gli accadimenti quotidiani, anche i più piccoli. Entrambi gli atteggiamenti minano l’autonomia del ragazzo il quale, reputandosi incapace, eviterà di mettere in atto qualsiasi tipo di iniziativa o presa decisionale, poiché giudicata fallimentare a prescindere.

 

E se volessi chiuderti in gabbia ?

Altre forme di manipolazione possono essere anche consapevoli, ad esempio molti educatori, compresi i genitori, potrebbero spingere il ragazzo a sviluppare delle preferenze verso attività o mansioni che in realtà non gli appartengono per il proprio tornaconto personale o per realizzare un progetto familiare. Un esempio è il figlio che decide di portare avanti l’impresa di famiglia senza nutrire un vero interesse verso di essa ma per puro senso di colpa e riconoscenza verso il genitore.

A volte il genitore manipola il figlio vittimizzandosi al fine di ottenere la vicinanza di quest’ultimo. Spesso adulti che soffrono di dipendenze, ad esempio alcolismo, pur di ottenere ciò di cui necessitano potrebbero strumentalizzare i figli facendogli credere di avere un “malore” e che la cura è “una bottiglia di vino” e cosi via all’infinito.

Riconoscere la manipolazione affettiva e la violenza psicologica è già un primo passo sia per chi la subisce che per chi la mette in atto.

 

Riferimenti bibliografici

Angela Segantini, Consuela Cigalotti. (2013), Violenza domestica su donne e minori. Athena Audiovisuals.

Alicia F. Lieberman, Patricia Van Horn. (2007). Bambini e violenza in famiglia. L’intervento psicoterapeutico con minori testimoni di violenza. Il Mulino.

Valeria Saladino - Fondatore di Psicotypo

Psicologo clinico, psicoterapia ad approccio breve strategico, specializzato in scienze criminologiche, forensi e psicologia giuridica. Fondatore e Presidente di “Psicotypo Associazione per l’Informazione e l’Aggiornamento in Psicologia”. Dottore di ricerca e psicologo esperto ex articolo 80 presso la Casa Circondariale di Cassino. Studiosa della psicologia della devianza, in particolare del fenomeno dell’istituzionalizzazione e delle dinamiche psicologiche che costituiscono quest’ultimo, ha partecipato e coordinato interventi di valutazione e trattamento all’interno degli Istituti Penitenziari. Si è occupata inoltre di nuove dipendenze, gestendo il Behavioral Addictions Research Team, Centro di ricerca sulle dipendenze comportamentali. Oltre alla ricerca svolge attività di tutoring e consulenza per chi è interessato al settore della ricerca e alla costruzione di elaborati di tesi a carattere sperimentale.