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Il significato dell’essere autentici

Annamaria Testa, esperta di comunicazione, scrive sull’ Internazionale un articolo dove pone una domanda di quelle che rischiano di far naufragare in un oceano di congetture: “Cosa significa essere autentici?” Uno di quegli interrogativi che rischiano di scadere risposte che tutti conoscono e ne sottovalutano l’importanza. Testa, quindi, inizia descrivendo sinteticamente la nostra realtà quotidiana, per sommi capi, che ci vede calati in ambienti artificiali per la maggior parte della giornata. La frequentazione dei mondi virtuali è divenuta la normalità e ha stravolto completamente i concetti di socialità ritenuti ottimali fino alla fine del secolo scorso. Il processo di accettazione da parte dei nostri contemporanei, come è noto, si innesca adeguandosi ai parametri di una perfetta forma fisica, il successo in ambito professionale, dimostrare di avere le carte in regola per un gradimento sociale molto ampio, naturalmente riscontrabile sui profili social sempre aggiornati e traboccanti positività, vitalità, obiettivi e successi raggiunti (il che significa anche lo spiattellamento di foto e video di un paradisiaco viaggio in Polinesia).

Schiavi del dimostrare meno anni di quelli che i documenti d’identità attestino, per non sentirsi tagliati fuori dal dogma dell’eterna giovinezza, ci si sottopone al fuoco incessante delle notizie, vere e false, rendendone difficoltosa la distinzione. Ogni tanto, però, accade la magia del domandarsi se tutto questo circo chieda l’eterno esilio dal proprio essere. Una domanda fatta soprattutto in questi tempi pandemici, dove le abitudini consolidate hanno subito stravolgimenti a lungo termine. Ordini gerarchici e priorità, fino a un anno fa (parlando delle conseguenze del Covid 19) dati per scontati e imprescindibili, ora non sembrano più così indiscutibili, essenziali, insostituibili. Per gli psicologi, e diversi filosofi del novecento, sembra che l’essere autentici sia strettamente legato al mantenere una relazione con i propri valori, i desideri, il proprio vissuto. Insomma non conformarsi nonostante le pressioni sociali. E quindi, secondo Testa, vi intercorre un discrimine come, ad esempio, tra superficiale e profondo o artefatto e stereotipato.

 

Tempi di introspezione

Una discriminante che, spesso, induce a rinunciare nel proposito di riconquistare sé stessi. Testa, inoltre, cita una serie di ricerche in merito, dove si parla di consapevolezza di sé, elaborazione obiettiva, comportamento, orientamento relazionale (da uno studio dei ricercatori M. Kernis e B. Goldman per l’università della Georgia). Saper ragionare su sé stessi obiettivamente, senza illusioni e senza attivare meccanismi di autodifesa. Andando in rete e leggendo qualcosa in merito, su GuidaPsicologi.it troviamo un articolo introduttivo sull’importanza di riappropriarsi del proprio essere. I passaggi che aiutano in questo viaggio, che è una sorta di ritorno a casa, prevedono il concedersi del tempo per sé stessi, dare priorità alle necessità personali, il prendersi cura del proprio corpo, non farsi mancare esercizi di respirazione o meditazione, per lenire ansie e angosce. Bisogna fermarsi e sapersi ascoltare seriamente, per individuare i veri desideri che nutrono il nostro essere e gli forniscono il senso più profondo alla vita.

Coltivare relazioni con le persone più vicine alla propria personalità ed eliminare le famose relazioni tossiche, di cui si fa un gran parlare. E poi sapersi godere il momento, apprezzare i piccoli gesti, le piccole gioie quotidiane, organizzare in modo adeguato gli spazi dove si vive. Un bel lavoro per ritrovarsi, non c’è che dire. Tornando all’articolo dell’Internazionale, tramite la citazione di un altro studio, che elenca dieci abitudini della persona autentica, si evidenzia come la ricerca dell’autenticità passi anche per due tipi di motivazione: esterna, o estrinseca, che si attiva con il bisogno di ottenere dei riconoscimenti o eludere delle punizioni; interna, o intrinseca, che si attiva quando si percepisce che ciò che si sta facendo vada bene, ha senso per sé stessi. Quest’ultima sembra che sia peculiare negli individui più autentici, è più forte rispetto alla estrinseca. Ma in altri studi, si legge verso la fine dell’articolo, ci si chiede se si risulta più veri nel seguire le proprie emozioni o quando ci si accorda con i propri valori. Tante sfaccettature compongono la personalità di un essere umano, non di rado conflittuali tra esse, per individuare l’autenticità del “vero sé”. In merito a ciò, per chi volesse capire rapidamente ogni dubbio Psychology Today ha proposto un esercizio molto concreto: “Scrivi il tuo necrologio. Che cosa ci metti dentro?”.

 

Immunità di gregge

Nella lettura di tali articoli non ci si imbatte in nulla di nuovo e non si scopre qualcosa che i più già sanno, semplicemente avendo uno straccio di esperienza nella vita. Però, pone un quesito che troppo spesso si liquida come un astrattismo che non produce nulla di immediatamente sfruttabile e relega, chi lo pone, nel girone dei qualunquisti, dei perdigiorno, dei sognatori. Si rischia di essere tacciati di incapacità nel sostenere la realtà, di non possedere capacità di resilienza di fronte alle difficoltà. Ci è voluta una pandemia per far rallentare le persone e provare a conoscere l’illustre sconosciuto che abita nel nostro essere. Una condizione che è durata lo spazio di un lockdown totale, poi tutti, o quasi, hanno sentito il bisogno di ritornare alla vita di prima, per quanto insoddisfacente poteva risultare. In questo villaggio globale sembra che l’immunità di gregge si voglia raggiungere non solo dal Covid 19, ma anche dall’essere se stessi.

In fondo, viviamo in una società sempre più connessa e il concetto di privacy risulta ridicolo. Sfera pubblica e sfera privata non sembrano avere una linea di confine ben definita. La gente ha sempre meno pudore nel mostrarsi in ogni singolo minuto della sua giornata. Basta farsi un giro su uno dei social più utilizzati e vedere cosa pubblica l’utente medio: la sua manicure, il suo aperitivo, le sue opere culinarie, il momento relax in bagno, il momento del coricarsi a letto, la sfilata con il nuovo capo acquistato, la prova costume prima di andare al mare. Nella società postmoderna bisogna mostrare un’immagine di sé h24 e quindi anche nei momenti privati ci si industria a costruire una maschera che riceva il maggior numero di consensi. Sempre presi ad essere qualcuno, si smette di percepire il richiamo del nostro essere interiore. Lo nascondiamo talmente bene che pensiamo di averlo domato, estinto, addirittura lo possiamo dimenticare per anni.

Ma quel malessere che coglie all’improvviso, quel senso di vuoto che si tenta di scacciare con ansiolitici, antidepressivi o magari con qualche goccio in più o altro ancora, non è altro il vero sé che reclama i suoi diritti. Il vero sé reclama anche un giusto ciclo di sonno, e invece si è accettato il fatto di dormire meno in nome dell’efficienza richiesta dai ritmi postmoderni, anche per i più piccoli; oggi i moderni caroselli se li vedono, tramite cellulare o computer, in camera da letto anche dopo la mezzanotte. Riceviamo un’ondata di notizie, informazioni, novità, e ci sentiamo costantemente inadeguati, colpevolizziamo il nostro essere interiore. In fondo anche questo ordine economico che governa il mondo è come una religione che ti instilla sensi di colpa per poi procedere a un’espiazione che può durare una vita intera.