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Disprassia evolutiva e criteri diagnostici

La disprassia evolutiva è uno scoordinamento dello sviluppo degli apprendimenti gestuali. I gesti, infatti, sono un insieme di movimenti acquisiti e coordinati nel corso del tempo con lo scopo di raggiungere un’azione finalizzata. La disprassia si presenta proprio quando questi movimenti non si verificano in maniera sincronica ma con modalità anomale e inefficaci.

Nel DSM-IV-TR (APA,2000) è definita come disturbo di sviluppo della coordinazione ed i criteri diagnostici sono:

  • Le prestazioni nelle attività quotidiane che richiedono coordinazione motoria sono sostanzialmente inferiori rispetto a quanto previsto in base all’età cronologica del soggetto e alla valutazione psicometrica della sua intelligenza. Questo può manifestarsi con un notevole ritardo nel raggiungimento delle tappe motorie fondamentali (per es., camminare, gattonare, star seduti), col far cadere gli oggetti, con goffaggine, con scadenti prestazioni sportive, o con calligrafia deficitaria.
  • L’anomalia descritta al punto A interferisce in modo significativo con l’apprendimento scolastico o con le attività della vita quotidiana.
  • L’anomalia non è dovuta ad una condizione medica generale (per es., paralisi cerebrale, emiplegia, o distrofia muscolare) e non soddisfa i criteri per un Disturbo Pervasivo dello Sviluppo.
  • Se è presente Ritardo Mentale, le difficoltà motorie vanno al di là di quelle di solito associate con esso.

Nella classificazione dell’ICD-10 si parla invece di disturbo evolutivo specifico della funzione motoria. In particolare:

  • difficoltà di coordinazione, presenti sin dalle prime fasi di sviluppo, e non dipendenti da deficit neurosensoriali o neuromotori;
  • entità della compromissione variabile e modificabile in funzione dell’età;
  • ritardo (non costante) di acquisizione delle tappe di sviluppo neuromotorio (livelli più complessi), a volte accompagnato da ritardo di sviluppo del linguaggio (componenti articolatorie);
  • goffaggine nei movimenti;
  • ritardo nell’organizzazione del gioco e del disegno (tipo deficit costruttivo);
  • presenza (non costante) di segni neurologici sfumati privi di sicuro significato localizzatorio;
  • presenza (non costante) di difficoltà scolastiche e di problemi socio-emotivo-comportamentali.

Le tipologie della disprassia

Abbiamo vari tipi di disprassia distinguibili in base alla causa, alla clinica e al tipo di azione che non si riesce a compiere correttamente. In base alla causa abbiamo disprassia:

  1. Primaria: non legata a problemi neurologici o ad altre patologie. Insorge per causa non ancora chiare del tutto.
  2. Secondaria: è un tipo di diprassia che insorge come conseguenza di una patologia come la sindrome di Down o il ritardo mentale.

In base al tipo di azione che il bambino non riesce a compiere abbiamo una disprassia:

  1. Verbale: ridotta capacità di elaborare frasi corrette e di ordinare le parole secondo la prassi grammaticale. Inoltre si ha difficoltà a esprimere un concetto in maniera chiara e di elaborare movimenti coinvolti nell’elaborazione dei suoni.
  2. Motoria: azioni ridotte come il camminare, scrivere, allacciarsi le scarpe o legate all’esecuzione di movimenti automatizzati.
  3. Oculare: più precisamente è chiamata oculomotoria ed è legata ad un’incapacità di controllare il movimento oculare e lo sguardo.

La suddivisione clinica entra ancora più nello specifico, distinguendo una disprassia:

  1. Melocinetica: ridotta capacità di eseguire movimenti in rapida successione e metterli poi in pratica come per esempio camminare, correre, saltare.
  2. Ideativa: ad essere lesa è la capacità di pensare un’azione e metterla poi in pratica. Il soggetto non è in grado né di pensare l’azione né di compierla.
  3. Espressiva: il soggetto è incapace di esprimere le emozioni mediante la mimica facciale. Non riesce a correlare stadi emozionali ai movimenti facciali che esprimono l’emozione.
  4. Dell’abbigliamento: il soggetto non riesce a compiere azioni correlate all’abbigliamento come vestirsi, allacciarsi le scarpe, e riportare i capi alle varie parti del corpo.

Diagnosi e riabilitazione

Ad oggi, i metodi con cui diagnosticare la disprassia sono ancora poco chiari e oggetto di dibattito poiché molto spesso tale disturbo è mascherato da altri comportamenti. La diagnosi prevede un percorso che scavi a fondo nella storia familiare del bambino, che vada dalla gravidanza al parto e ai disturbi che si sono manifestati nel corso dei 9 mesi. Successivamente si passa ad un’esecuzione di alcuni test mirati a comprendere il tipo di disprassia in questione.

Si potrebbe chiedere al bambino di:

  • Spogliarsi e vestirsi per vedere se ci sono difficoltà nella coordinazione dei capi d’abbigliamento
  • Giocare con i puzzle per comprendere se è presente l’organizzazione spaziale nel bambino
  • Camminare in modi diversi, come in punta di piedi o saltellando per vedere se si tratta di una disprassia deambulatoria
  • Eseguire rapidi movimenti come toccarsi la punta del naso.

E’ bene sapere che dalla disprassia non si guarisce del tutto e, molto spesso, disturbi presenti nell’età infantile si ripercuotono nella vita adulta portano a delle difficoltà nel compiere azioni che dovrebbero essere automatizzate.

Ovviamente, è possibile eseguire alcune terapie riabilitative che aiutano sia il bambino a ridurre le difficoltà già dall’infanzia, sia l’adulto a convivere con questo tipo di disturbo trovando strategie efficaci.

Il metodo Terzi

La riabilitazione per chi soffre di disprassia motoria viene eseguita mediante un particolare metodo definito “metodo Terzi”: sono esercizi pratici per aiutare il soggetto a coordinare i segnali provenienti dall’ambiente esterno con quelli del proprio corpo.

Il metodo prevede esercizi:

  1. Spazio-temporali: esercizi che coinvolgono la percezione e la rappresentazione spazio-temporale di se stesso e di chi lo circonda
  2. Spazio-personali: sono esercizi che aiutano il bambino a creare consapevolezza del proprio corpo attraverso esercizi di respirazione o che coinvolgano l’utilizzo di arti inferiori e superiori
  3. Spazio-extrapersonali: sviluppa nel bambino la capacità di percepire e comprendere ciò che lo circonda e la consapevolezza dei movimenti che può svolgere con le mani e con le dita.

Ovviamente, al metodo Terzi è necessario che si affianchi anche una riabilitazione motoria concreta che implichi l’utilizzo frequente delle parti de corpo e dei 5 sensi sviluppati dal bambino. L’obiettivo finale è quello di garantire e portare benessere al bambino, facendogli acquisire abilità e capacità, eliminando o riducendo al minimo i fattori sfavorevoli. L’acquisizione dell’autonomia consentirà a ciascun piccolo paziente di percorrere la sua strada evolutiva senza troppe difficoltà, con la consapevolezza che gli ostacoli non impediranno il raggiungimento dei suoi obiettivi.

 

Bibliografia

Bowlby J. (1988), Una base sicura, Milano: Raffaello Cortina.

Caselli M. C., Vicari S. (2002), I disturbi dello sviluppo. Neuropsicologia clinica e ipotesi riabilitative, il Mulino: Milano.

Rizzolatti G., Sinigaglia C., (2006), So quel che fai, il cervello che agisce e i neuroni a specchio, Milano Raffaello Cortina.

Sabbadini L. (2005), La disprassia in età evolutiva: criteri di valutazione ed intervento, Milano, Springer.