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Che cos’è l’autolesionismo?

Le condotte autolesive sono gesti rivolti contro se stessi finalizzati a provocare dolore. Tra questi rientrano il provocare lacerazioni sulla pelle utilizzando lamette, coltelli o qualsiasi oggetto affilato (chiodi, forbici, pezzi di vetro), così come il bruciarsi, o marchiarsi con oggetti roventi. Nel DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, quinta edizione) viene menzionata l’autolesività non suicidaria, cioè non quella intenzionalmente realizzata per suicidarsi, come categoria diagnostica a sé stante. I criteri per la diagnosi di autolesionismo, cioè le variabili pratiche che devono essere presenti per poter fare una diagnosi, sono le seguenti:

– Criterio A: Nell’ultimo anno, in cinque o più giorni, l’individuo si è intenzionalmente inflitto danni di qualche tipo alla superficie corporea in grado di indurre sanguinamento, lividi o dolore (per es. tagliandosi, bruciandosi, accoltellandosi, colpendosi, strofinandosi eccessivamente), con l’aspettativa che la ferita porti a danni fisici soltanto lievi o moderati (non c’è intenzionalità suicidaria).
– Criterio B: L’individuo è coinvolto in condotte autolesive con una o più delle seguenti aspettative: ottenere sollievo da una sensazione o uno stato cognitivo negativi; risolvere una difficoltà interpersonale; indurre una sensazione positiva.
– Criterio C: L’autolesività intenzionale (le condotte autolesive) è associata ad almeno uno dei seguenti sintomi: difficoltà interpersonali o sensazioni o pensieri negativi, come depressione, ansia, tensione, rabbia, disagio generalizzato, autocritica, che si verificano nel periodo immediatamente precedente al gesto autolesivo. Prima di compiere il gesto autolesivo, presenza di un periodo di preoccupazione difficilmente controllabile riguardo al gesto che l’individuo ha intenzione di commettere. Pensieri di autolesività presenti frequentemente, anche quando il comportamento non viene messo in atto.
Oggi l’autolesionismo è un fenomeno talmente diffuso nei Paesi industriali avanzati da costituire una vera e propria emergenza sociale, che riguarda tutta la popolazione, non soltanto quella psichiatrica e, in special modo, la fascia di età giovanile.

Adolescenti a rischio: fra disagio emotivo e bisogno di sentirsi meglio

Si calcola che l’incidenza di tale fenomeno fra gli adolescenti ed i giovani adulti sia compresa tra il 15-20% (Ross et al., 2002) e l’esordio si aggira tra i 13 e i 14 anni (Nock et al., 2006; Withlock et al. 2006).
Ricerche recenti suggeriscono che pensieri e comportamenti autolesivi si manifestino anche in ragazzi più giovani, con un’età al di sotto dei 14 anni; inoltre è stato riscontrato che i pensieri autolesivi nelle ragazze tra i 13 e i 14 hanno una prevalenza del 22%, e fino al 15% di esse hanno tentato di farsi del male almeno una volta negli ultimi 6 mesi (Stallard et al.,2013). L’autolesionismo in adolescenza può essere accompagnato da sintomi depressivi, ansia, stress, uso e abuso di droghe, disturbi della condotta, e può essere anche associato a relazioni familiari disfunzionali, scarso rendimento scolastico, propensione all’isolamento e al ritiro sociale (Fliege et al., 2009).

Fra i fattori che possono essere considerati implicati nelle condotte di autolesionismo, rientrano le strategie di coping. Con tale termine ci si riferisce a quell’insieme di comportamenti, pensieri e meccanismi messi in atto per fronteggiare una situazione stressante o difficile da gestire. Sulla base di ciò, i gesti autolesionistici potrebbero essere dei tentativi di mettere in atto delle strategie di coping disfunzionali per ripristinare il benessere ed allontanare la mente da pensieri o da eventi disturbanti, catalizzando l’attenzione sulla condotta autolesiva, come se si volesse tramutare in sofferenza fisica (apparentemente più controllabile) una sofferenza emozionale (difficilmente domabile). Infatti, il soggetto che si procura dolore sa che per un po’ di tempo dovrà occuparsi delle sue lacerazioni fisiche, piuttosto che di quelle emotive.

Certamente, le condotte autolesioniste racchiudono comportamenti variegati e diversi fra loro, pertanto, è opportuno evitare semplificazioni estreme in virtù di un’etichetta diagnostica. Al contrario, è importante indagare ogni singolo caso e trattarlo come unico rispetto alle cause scatenanti il comportamento e rispetto ai fattori che lo mantengono.

L’autolesionismo può essere considerato una forma di dipendenza?

Le dipendenze comportamentali e da sostanze sono accomunate da alcuni fattori, come ad esempio la sensazione pervasiva ed invalidante di vuoto, il senso di solitudine, il percepirsi impotenti ed inadeguati, il senso di colpa, l’aver sperimentato perdite oppure abbandoni, sentimenti di distacco dalla realtà e alienazione, un sollievo effimero e inconsistente.
Nell’autolesionismo, al pari di una dipendenza, si possono rintracciare tutti questi fattori. Alcuni soggetti iniziano, infatti, a provocarsi ferite a seguito di perdite affettive importanti e reali, ma anche immaginarie, nel senso che a volte la perdita è vissuta solo a livello interiore. Inoltre, fanno spesso da cornice al disturbo: solitudine, senso di vuoto, senso di colpa e di impotenza.

Subito dopo essersi tagliate queste persone possono sperimentare un sollievo temporaneo che dura fino a quando un’altra sensazione negativa farà scattare nuovamente l’esigenza di ferirsi. Anche l’alienazione dal proprio corpo è un segnale tipico di chi si fa del male: il dolore e il sangue che esce dal corpo permette a queste persone di realizzare che sono vive, che sono reali.

Come è possibile provare piacere per tutto questo? A detta degli esperti, l’effetto fisiologico del dolore da taglio, ripetuto ossessivamente, produce e sprigiona nel cervello delle sostanze chimiche che, esattamente come le droghe, anestetizzano e creano dipendenza. Il dolore non è di per sé piacere, ma può essere legato al piacere a livello, appunto, chimico. La stimolazione che genera dolore libera endorfine che producono piacere, cosicché le due sensazioni finiscono per sovrapporsi, e l’intensità del dolore diviene la misura del piacere che seguirà. Contrariamente a quanto si dice a volte a proposito della tossicodipendenza o dell’abuso di droghe, la ricerca del piacere è un movente chiaro e comprensibile, su cui si perde il controllo nel caso della dipendenza. Allo stesso modo, il trovarsi spesso in situazioni di sofferenza in cui ci si è “cacciati” o si rimane fino a toccare il fondo non significa che si cerchi la sofferenza, ma che piuttosto nella ricerca di un piacere e di una soddisfazione ci si è invece imbattuti in una delusione o in una trappola da cui magari è poi difficile tornare indietro. Questo spiega perché, poi, uscirne diventi per loro e per chi tenta di aiutarli, un’operazione complessa.

Riferimenti bibliografici

Bjärehed, J., & Lundh, L. G. (2008). Deliberate self-harm in 14-year-old adolescents: How frequent is it, and how is it associated with psychopathology, relationship variables, and styles of emotional regulation? Cognitive Behavior Therapy, 37, 26-37.

D’Agostino, A. (2012). Corpi alla deriva. Autolesionismo e oltre. In M. Rossi Monti (a cura di). Psicopatologia del presente. Crisi della nosografia e nuove forme della clinica, Milano: FrancoAngeli.

Fliege H., Lee J.R., Grimm A., Klapp B.F. (2009). Risk factors and correlates of deliberate self-harm behavior: a systematic review. J Psychosom Res, 66: 477–93.

Nock M.K., Joiner T.E., Gordon K.H., (2006) Non-suicidal self-injury among adolescents: diagnostic correlates and relation to suicide attempts. Psychiatry Research, 144 (1), 65–72.

Stallard P., Spears M., Montgomery A.A., Phillips R., Sayal K. (2013). Self-harm in young adolescents (12-16 years): onset and short-term continuation in a community sample. BMC Psychiatry,13: 328.

Whitlock J., Eckenrode J., Silverman D. (2006). Self-injurious behaviors in a college population. Pediatrics, 117(6),1939–1948.