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Via le foto dei bambini dai social

I social network mettono in contatto milioni di persone da tutto il mondo che condividono momenti, significativi e non, della vita quotidiana. Il grande utilizzo dei social network ha visto l’aumento del diffondersi di foto e video di neonati e bambini ancora troppo piccoli per poter essere in grado di postare foto e scrivere autonomamente (o, viceversa, per scegliere di non farlo!).

Facebook, Instagram e altri social, giorno dopo giorno, arrivano ad accumulare migliaia di foto di bambini postate dai loro genitori, poiché considerati come un “diario personale” nel quale le immagini vengono condivise e commentate da amici virtuali.

Pubblicare le foto dei propri figli sul web per moltissimi genitori è considerato normalità; lo si fa per condividere un momento di gioia, per festeggiare un compleanno, per monitorare i progressi del bambino in piena crescita evolutiva… Dietro ad un gesto apparentemente innocuo, però, si cela un vero e proprio pericolo: Dove finiscono le foto pubblicate? Ma soprattutto, chi protegge le foto condivise sui social?

 

Dal Parenting allo Shareting

Lo sharenting è un neologismo nato dalla fusione di due termini: parenting (genitorialità) e sharing (condivisione). E’ un termine utilizzato per indicare quei genitori che fanno un uso eccessivo dei social media poiché condividono in maniera esagerata contenuti riguardanti momenti quotidiani ed intimi della vita di un bambino. Lo sharing è strettamente collegato al concetto di “sovraffolamento” d’informazioni, identificando il problema della sovraesposizione dei bambini nel mondo d’internet. I social network hanno ormai modificato e distorto il modo di rapportarsi al mondo della comunicazione.

Mentre prima la privacy è stata considerata uno dei diritti principali dell’uomo, oggi si è più inclini a rendere pubblico il privato, avendo piena trasparenza sulla propria vita. Il bambino assiste così, passivamente, a un’infanzia senza filtri in cui il popolo del web è libero di commentare (anche in modo aggressivo come nel caso degli haters), e addirittura condividere, foto e video che gli appartengono, dando vita ad un’identità digitale facilmente rintracciabile da chiunque.

Per evitare ciò, è necessario conoscere le regole della privacy imposta dai vari social network a cui si è iscritti e sono pubblicate le foto, omettendo la localizzazione del luogo in cui ci si trova. In secondo luogo, sarebbe bene evitare di postare foto di bambini nudi o in momenti particolari per due motivi: bisogna ricordarsi che in futuro i bambini potrebbero avere la possibilità di vedere le foto che li ritraggono, creando in loro imbarazzo e disagio poiché già conosciute ai più.

Foto come queste, inoltre, alimenterebbero una parte d’internet sconosciuta a molti: il Deep Web.

 

Il lato oscuro d’internet: Deep Web e pedopornografia

 Il termine “Deep Web” può essere tradotto in italiano con “web profondo”; è l’altra faccia del web, quella nascosta e non accessibile a chiunque, ma in cui sono condivisi foto e video macabri.

E’ un vero e proprio mondo parallelo in cui chiunque può condividere qualsiasi contenuto senza alcun tipo di restrizione.

All’interno del Deep Web si cela un fenomeno nascosto e pericoloso, molto difficile da combattere: la pedopornografia. La pedopornografia è tutto ciò che riguarda il mondo infantile; è lo stesso spietato mondo della pedofilia, la differenza è che i soggetti coprono una fascia d’età che va dalla nascita alla prima infanzia.

Le foto condivise dagli utenti sono visibili e soprattutto disponibili a tutti semplicemente cliccando un tasto del pc o dello smartphone. In questo semplice modo, le foto considerate private finiscono nelle mani sbagliate, senza che nessuno se ne accorga.

Chi fa parte del mondo della pedopornografia e della cyberpedofilia agisce proprio in questo modo: cerca foto di bambini in età prepuberale per farle proprie, modificarle, e usarle per scopi sessuali. Provano piacere nel vedere infanti in contesti assolutamente non adatti alla loro età. E’ un vero e proprio mercato nero in cui le foto dei bambini sono sottratte dai profili dei vari social e riutilizzarle ai fini di contestualizzarle in situazioni a sfondo sessuale.

Nel Deep Web i pedofili agiscono in maniera precisa, suddividendo in vere e proprie sezioni dell’orrore il materiale di cui vengono in possesso: c’è il settore definito “soft” dove le immagini sono quelle di bambini nudi, la sezione “hard” dove i file sono maggiormente riguardanti bambini violentati, alla sezione “hurt” in cui vengono documentate scene di violenza sessuale e tortura su minore, per poi arrivare infine alla sezione “death” i cui file documentano veri e propri infanticidi.

Non ti ho dato il mio permesso!

Per avere una maggiore sicurezza, è bene sapere che pur avendo un profilo privato, i file condivisi non sono mai totalmente al sicuro.

Al fine di tutelare i minori sui social network è necessario selezionare il pubblico che può avere accesso alle foto o alle notizie, evitando così che i propri dati finiscano nelle mani sbagliate.

Inoltre, non è detto che il bambino, quando sarà adolescente, apprezzerà il fatto che la sua infanzia sia stata resa pubblica dai propri genitori, disponibile alla visione di un pubblico curioso, morboso e alla condivisione senza filtri di un prossimo sconosciuto. L’adulto dà per scontato, poiché genitore o tutore, di essere proprietario dell’immagine del proprio figlio e di poter manipolare la sua infanzia (come nel caso estremo della piccola Eva n.d.r.), non domandandosi quali ripercussioni future tutto ciò potrebbe avere sulla privacy di quest’ultimo.

Ve lo siete mai chiesto? Se voi foste al loro posto cosa provereste?

Scritto con la collaborazione di Veronica Pacifici

 

Bibliografia

Cosimi S., Rossetti A. (2017). Nasci, cresci, e posta. I social network sono pieni di bambini: chi li protegge? Roma: Città Nuova

Faccioli M. (2015). Minori nella rete. Pedofilia, pedopornografia, deep web, social network, sexting, gambling, grooming e cyberbullismo nell’era digitale. Frosinone: Key Editore