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Sequel, perché possono deludere

Può accadere, una volta che ci si innamora di un film o di un romanzo, di desiderarne il seguito, un secondo corposo capitolo. Si brama il cosiddetto sequel. E in questa epoca, dove i desideri vengono realizzati prima ancora di aver compreso di averne uno, i seguiti delle storie arrivano con sbalorditiva velocità. Si è andati oltre, da un po’ di anni, realizzando anche i prequel, ossia la narrazione di fatti antecedenti ai fatti narrati nel primo film. La saga di Guerre Stellari è un ottimo esempio per il capire il discorso.

In questi ultimi anni hanno preso piede le serie tv, con sceneggiature che nulla hanno da invidiare ai film di successo. con l’impiego di mezzi e attori di fama, incollano sulla poltrona milioni di telespettatori. “Il Trono di Spade”, “The Walking Dead”, la nostrana “Gomorra” sono veri e propri fenomeni di costume. Nell’ambito letterario calza a pennello citare il maghetto Harry Potter, il quale è diventato anche fenomeno cinematografico a livello planetario. In Italia, Il commissario Montalbano, dove Camilleri ha disegnato alla perfezione la versione italiana dell’affascinante e tormentato investigatore, propinato da decenni di cinematografia poliziesca statunitense, ha riscosso un successo tale da fornire anche la serie con il Montalbano più giovane.

Romanzi e film, continuano a sfornare protagonisti che si impara ad amare, mitizzare o ad odiare con affascinato rispetto. Tutti sorridono con malcelato disdegno, quando tornano alla mente gesta efferate di Hannibal The Cannibal ne “Il Silenzio degli Innocenti”.

La forza della storia raccontata non ha perso fascino. In questa era moderna non si accetta la fine immediata, si pretende un seguito, la diluizione della storia che deve diventare parte della vita reale. Una rivisitazione delle soap opera, a ben guardare. I protagonisti diventano una presenza costante nel quotidiano, non rimango rinchiusi nei fatti di un solo film. Le trame si espandono, permettendo ai personaggi amati di rimanere coinvolti in storie in continua evoluzione.

Proiezione e identificazione

Molti fattori indicano come lo spettacolo filmico dialoghi con l’inconscio, ricorda lo psicoterapeuta Alberto Angelini nel suo articolo Psicodinamica dello spettatore cinematografico. Chi assiste al film attiva due meccanismi psicodinamici nell’area della sfera emotiva: La proiezione e l’identificazione.

Con proiezione, in psicologia, si intende descrivere quel meccanismo che porta a spostare parti del Sé, sentimenti, caratteristiche proprie, su altri individui od oggetti. Questo è un sistema di difesa che ha origini arcaiche, e si riscontra prevalentemente nella paranoia. Si trova un processo di attuazione anche in forme di pensiero non patologiche, come nella superstizione. Fenomeni di proiezione si possono avere anche durante la visione di un film. Questo, però, avviene in maniera subordinata, a causa della struttura rigida e articolata di un film; si avvia un processo limitato della proiezione. Si manifesta quando lo spettatore attribuisce ai personaggi dei film sentimenti e intenzioni che risultano essere, più o meno consciamente, suoi.

Nel fenomeno dell’identificazione la persona fa proprio un aspetto, un attributo, una proprietà di un altro individuo. Un processo con il quale ci si trasforma in parte o pienamente nel soggetto idealizzato, anche in questo caso più o meno consapevolmente. Nella costituzione e differenziazione della personalità trovano spazio molteplici processi di identificazione. E le identificazione che si protraggono nel tempo conducono all’adozione di comportamenti mentali, emotivi e motori che si riscontrano nel soggetto preso come modello identificativo. La personalità individuale, però, si contrappone con continuità al processo di identificazione, e ciò avviene altrimenti si verrebbero ad annullare le caratteristiche proprie del soggetto, come avviene nelle forme patologiche.

Durante la visione di uno spettacolo il fenomeno di identificazione assume toni intensi. Questo avviene grazie alle caratteristiche oniriche che si formano durante la proiezione e della consapevolezza, dei limiti di tempo del programma, da parte dello spettatore. Questo tranquillizza e consente di lasciarsi andare ai processi psichici che un film è in grado di avviare. Ci si identifica, solitamente con il protagonista della storia, il quale agisce e pensa come sarebbe giusto secondo i parametri dello spettatore. Molto interessante è il processo identificativo con i personaggi secondari, o l’eventuale antagonista. Angelini le definisce identificazioni laterali ed inconsce, che nella vita di tutti i giorni non sono consentite.

Il bisogno di emozioni alienate dal quotidiano

 Proiezione e identificazione, avvengono quando si rimane rapiti da una storia. In un mondo con sempre meno tempo libero a disposizione che, quando c’è, viene occupato anche da altri “impegni”. Una socialità sempre più virtuale, legata a liturgie guidate (scuola, palestra, centro commerciale) toglie sempre più spazio ai rapporti umani svincolati da obblighi, diventa arduo dare spazio a conoscenze, dettate solo da una sana voglia di conoscere l’altro. E quindi, le grandi emozioni vengono delegate al mondo dello spettacolo. Il film, la serie televisiva (la quale amplifica il tempo grazie a più episodi) sono il prodotto che permette di vivere artificialmente emozioni e storie che restano invise nell’arco di una vita. Prodotti commerciali, truccati da prodotti artistici, che donano l’illusione di vite alternative, l’idealizzazione di personaggi che nella vita reale non trovano riscontro.

La delusione, che spesso accompagna i sequel, è legata non solo alle grandi aspettative o alla debolezza delle nuove sceneggiature, ma anche all’abuso che se ne fa. Non si riesce a circoscrivere la trama avvincente, non gli si vuol dare una fine perché questa deve continuare a regalare le sensazioni della prima volta. Questo non è possibile. Una grande emozione è tale proprio perché non può durare all’infinito.

Scritto da Davide Testa, articolista e blogger