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Nascere nel periodo della rivoluzione informatica

Vi parleremo di Millennials, ossia dei nati tra l’inizio degli anni Ottanta e la fine dei Novanta. Una generazione che ha vissuto in pieno la rivoluzione informatica, in special modo con l’utilizzo d’internet. Il continuo confronto sulle piattaforme social creerebbe in questi ragazzi tendenze accentuate nel perfezionismo, causando problemi di natura psicologica. Una ricerca pubblicata su Psychological Bullettin, e riportata da repubblica.it, ha preso in esame i profili di oltre quarantamila studenti di college britannici, canadesi e statunitensi fra la fine degli anni Ottanta e il 2016, appartenenti alla generazione dei Millennials. Ognuno di loro ha compilato una scala di perfezionismo multidimensionale (un test in grado di individuare gli atteggiamenti in questione). I tipi di perfezionismo presi in considerazione sono stati tre:

– Perfezionismo orientato verso se stessi; un desiderio irrazionale di raggiungere la massima condizione possibile;

– Perfezionismo orientato verso gli altri;

– Perfezionismo ricercato per le eccessive aspettative della propria rete sociale.

Nel trentennio preso in considerazione, il primo profilo ha subito un aumento del 10%, il secondo del 16% e il terzo, quello ricercato per il consenso altrui, di ben il 33%. Il responsabile dell’indagine, Thomas Curran, ha dichiarato che queste tendenze possono portare a un corollario di problemi psicologici: vuoto emotivo, depressione, ansia e, nei casi più gravi, istinti suicidi. I motivi sono molti, ma uno di quelli che si evidenzia riguarda l’utilizzo dei social network. Piattaforme come Facebook e Instagram, hanno dato vita ad una competizione sotterranea. Il confronto con le vite degli altri è diventato più facile e diretto. Questa è la sensazione che si ha quando si visitano le bacheche degli amici, e non sempre rispecchiano la realtà.

La competizione con l’altro

L’immagine che i Millennials vogliono dare, scatena una reazione in chi segue la vita virtuale altrui. La competizione che s’instaura, ufficialmente, non è un obiettivo delle piattaforme, piuttosto è una componente innata dell’essere umano, che si forma già in età prescolare. Molti ex manager dei social network, però, hanno puntato il dito su questa dinamica, dichiarando che le piattaforme in questione sfruttano le debolezze psicologiche, insite soprattutto in giovane età, per innescare forme di atteggiamenti competitivi. Un’ascesa verso il perfezionismo, che trova sfogo in un uso compulsivo di smartphone e social, trasformandosi nell’arena dove far scendere se stessi. Un confronto ininterrotto con gli “amici”; si aspettano e si valutano le reazioni, si risponde, si modificano le informazioni su di sé, in cerca di una compiutezza i cui confini sono in costante espansione. Una corsa verso una vetta irraggiungibile.

Il giudizio degli altri per i Millennials arriva fin dentro le proprie stanze, i like e i follower sono trasformati in un metro di giudizio, sul grado di consenso personale. Un circolo vizioso, al cui interno si cercano obiettivi basati sulle aspettative degli altri e non interrogando se stessi. Thomas Curran indica, come prima mossa, per invertire questa pericolosa tendenza, quella di focalizzare le aspettative sulle doti della propria personalità e non pensare che la perfezione sia ad una sola dimensione. Un ritorno sui personali traguardi e desideri, senza che siano gli altri a stabilire quali debbano essere. Si dice che l’uomo tema di più il giudizio altrui e poi la morte. Nella piramide dei bisogni di Maslow (già trattata in questo sito nell’articolo sui pornosessuali) troviamo alla base i bisogni fisiologici, dopo la sicurezza e al terzo gradino troviamo il bisogno di appartenenza, che è soddisfatto con l’affetto familiare, l’intimità sessuale e una buona rete di amicizie.

Il bisogno di appartenenza

Il bisogno di appartenenza è fondamentale, come ci ricorda la Dr.ssa Eleonora Sellitto, e alla base di tale necessità si trova la paura di essere esclusi, isolati. Liberarsi, o attenuare quest’angoscia, inizia con l’imporsi l’attenuare del giudizio interno. Silenziare il personale giudice interiore, che è sempre pronto a valutarci in modo negativo; che è il primo a limitare le personali capacità affermando che non si è all’altezza della situazione, che non si è bravi, che ci si deve sempre uniformare al pensiero degli altri. Una volta presa coscienza del primo vero nemico, essere autentici con se stessi è il secondo passo. Ascoltare la propria natura interna e finirla con l’assurda pretesa di piacere a tutti.

La tecnologia porta tanti vantaggi, rende la quotidianità più comoda, ma allontana troppo dalle componenti più naturali di un essere umano. I bisogni primari subiscono “variazioni tecnologiche” che snaturano l’uomo e la donna. Il bisogno di appartenenza non si può colmare dentro una piazza virtuale, il perfezionismo non garantisce mai soddisfazione per se stessi e il giudizio degli altri non può condizionare ogni singolo pensiero.

L’importanza delle inclinazioni naturali

Le azioni che saranno svolte in futuro, devono rispecchiare il personale modo di essere, non devono sempre sottostare al parametro di giudizio del giusto o dello sbagliato, che l’altro inevitabilmente darà. Il proprio modo di essere uscirà fuori soltanto così e inevitabilmente a qualcuno non andrà bene. Viviamo in mondo dove il giudizio del prossimo è sempre dietro l’angolo. Ne avvantaggerà l’autostima, la spontaneità, la libertà di esprimersi, la serenità, l’indipendenza e renderà più attivi.

Di motivi ce ne sono in abbondanza per valutare meglio le proprie naturali inclinazioni, poiché questo porta benefici indispensabili per condurre una vita più serena e aderente alla realtà, atteggiamento che potrebbero far proprio anche i Millennials. Una maggiore consapevolezza di se stessi porterà anche a non ritrarsi in un dover “essere speciale”, da esporre ventiquattro ore su ventiquattro nella patinata vetrina delle piattaforme social.

L’utilizzo di Facebook e Instagram diventerà più funzionale, una vera condivisione e non un palcoscenico, dove esibirsi senza sosta, ricercando il consenso universale. Predisporre una mèta inarrivabile a quindici anni fa gettare le fondamenta per condurre un’esistenza costellata da continue insoddisfazioni. Il fallimento sarà visto sempre come un dramma, un’onta da celare agli occhi degli altri. E nascondere porta a non valutare mai i propri sbagli, non ragionare su quello che è andato male, per fare meglio in seguito. Vivere in una perenne negazione è un inferno interiore. Ne vale la davvero la pena?