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Come cambia la vita

Per il ciclo d’intervsite “Come cambia la via”, abbiamo incontrato Massimo, che ci ha parlato della sua vita spesa tra tossicodipendenza e criminalità. Un’esistenza sbandata, la sua, che sembrava già scritta per eredità familiare ma che grazie alla forza di volontà, l’amore della sua donna e l’aiuto della psicoterapia è riuscito a rivoluzionare, completamente. Nato e cresciuto nella periferia Est di Roma, a pochi chilometri dal Colosseo, nel quartiere Collatino, è ultimogenito di tre fratelli. Oggi ha 48 anni, una sua famiglia… e un passato che merita di essere raccontato, tra devianza, droga, disinteresse per la propria salute, carcere e di nuovo droga… fino ad una inaspettata trasformazione proprio grazie alla psicoterapia e ad una donna speciale.

Leggi la prima parte dell’intervista

Hai scontato una pena, quanto sei stato in galera?

Al processo di primo grado mi diedero dodici anni, perché c’era anche l’associazione per delinquere. Di detenzione vera e propria ho fatto due anni e il resto della pena l’ho scontato ai domiciliari.

Che ricordi hai della detenzione?

La prima cosa che avverti è la mancanza di libertà. Ti tolgono tutto, devi chiedere il permesso anche per andare al bagno e ti accorgi veramente di cosa significa non essere più libero. All’inizio stavo a Regina Coeli, in isolamento, poi sono stato trasferito a Lanciano, un carcere a regime speciale… e infine nel supercarcere di Rebibbia. A Lanciano ero in cella con un camorrista con due ergastoli sulle spalle. Un uomo che passerà tutto il resto della vita in galera, mi ha dimostrato un’umanità inaspettata. Avvertivo un senso di protezione nei miei confronti, così come da altri detenuti che profacevano parte del suo giro.

Un’umanità inaspettata, che ti ha aiutato a sopravvivere…

Certamente, ho incontrato uomini che in me hanno visto un ragazzo spaesato, impaurito. Sono state delle belle persone, lo dico senza giudicare i motivi che li hanno condotti in carcere. Contestualizzando la mia vicenda, loro mi hanno supportato, mi hanno dato consigli. Ho ricevuto anche delle lezioni, come quando la sera i secondini passavano per darci i tranquillanti. Il camorrista che era in cella con me, mi vietò di prenderli spiegando che ero un bravo ragazzo e non dovevo stordire la mente perché dovevo ricordare sempre i motivi che mi avevano portato in galera! Quando da Lanciano sono stato trasferito a Rebibbia, salutandomi mi disse, in napoletano stretto, che non avrebbe più voluto rivedermi in prigione. Dopo aver scontato la mia pena, se fossi di nuovo stato arrestato, lo avrebbe saputo e mi avrebbe fatto prendere a mazzate. Diceva che io non appartenevo a “quel mondo”.

Tu non hai un cuore criminale. I criminali veri questo lo capiscono subito…

Ho fatto tutto questo per essere accettato in famiglia, ho attuato delle dinamiche per riconoscermi ed essere riconosciuto nell’ambiente in cui ero nato e cresciuto. Una regola non scritta, che hai dentro. E anche quando ho finito di scontare i domiciliari, e avevo solo l’obbligo di firma, ho continuato a fare uso di cocaina insieme alla mia ragazza dell’epoca. Nonostante fossi in libertà vigilata e sapessi che qualsiasi errore mi avrebbe riportato in galera a scontare i tre anni di pena rimanenti.

Poi, però, c’è stato un episodio che mi ha portato a cambiare rotta…

Che cosa è successo?

Un giorno ero in macchina con questa ragazza. Guidava lei e aveva addosso della droga. Siamo stati fermati per un controllo dai carabinieri e, una volta accertata la mia identità, siamo stati perquisiti. Trovata la cocaina ho rischiato grosso. Con i miei precedenti e la libertà vigilata sarei tornato definitivamente in carcere. Alla stazione dei carabinieri siamo stati sottoposti ad interrogatorio. La mia ragazza dichiarò che la droga era per suo uso personale, e che io ero all’oscuro di tutto. Fui lasciato andare.

In quell’occasione fu talmente tanta la paura di tornare in galera che decisi di cambiare vita.

Solo questo episodio è bastato a farti smettere con quel tipo di vita?

No, quello è stato il primo stimolo per cominciare. In quel periodo ho avuto la fortuna di conoscere la donna che oggi è mia moglie e con cui ho avuto due figlie. È stato grazie a lei che ho cominciato un percorso psicoterapeutico che è durato cinque anni. Sono entrato nel mondo della psicoterapia inizialmente sentendola una forzatura, nella mia cultura una cosa del genere non poteva esistere. Ho avuto l’intelligenza di capire che poteva essere l’unica soluzione che avrebbe potuto veramente aiutarmi a uscire dal brutto giro di droga e malavita in cui mi ero invischiato. E lei mi ha aiutato molto anche a tenere il punto fermo su questa iniziale decisione.

Una donna del nord Italia tua moglie. Completamente lontana dal tuo contesto, ti ha introdotto alla psicoterapia. Un passaggio fondamentale che dimostra l’efficacia di questo strumento quando si vuole tornare a vivere con consapevolezza.

Assolutamente sì, grazie a una donna che viveva completamente al di fuori del mio ambiente sociale. La sua insistenza nel farmi intraprendere un percorso psicoterapeutico mi ha fatto capire che per anni ho indossato degli abiti che non mi appartenevano. Tutto per farmi accettare dalla mia famiglia. Il vero Massimo è, invece, quello di oggi: un uomo che ha voluto una moglie al suo fianco per costruire una nuova vita. Ho aperto un negozio con cui sostengo la mia nuova realtà, quella che ho sempre voluto. Una vita normale. Due splendide figlie. La psicoterapia mi ha aiutato a far emergere la parte più vera. Mi ero snaturato per sopravvivere in un ambiente molto competitivo, dove “sopravviveva” il più forte ossia chi si adattava alle regole di quell’ambiente.

Che conseguenze ha avuto la tua scelta di affrontare una psicoterapia?

Quando affronti un percorso psicoterapeutico, vai a scandagliare i motivi per cui ti sei comportato in un modo piuttosto che in un altro…diventando qualcuno che in realtà non volevi essere. Ho valutato i tanti errori dei miei genitori: ci ho dovuto fare i conti. Ricordo che mio padre possedeva sempre macchine nuove, da un mese all’altro. In prima elementare, quando mi domandarono che lavoro facesse mio padre, per la vergogna, dissi che vendeva le automobili. A sei anni avevo una malizia che un bambino di quell’età non dovrebbe mai possedere. Oggi li ho perdonato i miei genitori.

Una conseguenza della psicoterapia è anche l’attuale scontro con i miei fratelli che non avendo fatto il mio stesso tipo di percorso, sono convinti che quello che hanno vissuto insieme a nostro padre è stato del tutto normale. Ho avuto, ed ho, delle discussioni che ci hanno portato al momento a una rottura, credo definitiva.

La rottura con “quel mondo” ha comportato delle rinunce?

Certo, soprattutto quando ero più giovane. Mio padre mi ha sempre viziato molto. Quello che volevo me lo comprava. C’è da dire che chi conduce quel tipo di vita passa dei periodi anche senza soldi, e quando poi tornano… li spende come e più di prima. Così ho agito anch’io. Quando sono cresciuto, e ho maneggiato veramente tanti soldi, non mi sono mai fatto mancare nulla. Ma ti posso garantire, a costo di essere banale, che quello che oggi ho raggiunto con mia moglie non ha prezzo e alle mie figlie insegniamo ben altri valori.

Quindi, nessun rimpianto…

No, assolutamente nessuno. Ho condotto un tipo di vita in cui dovevo essere tosto, anche se non volevo. Una volta all’interno di quel tipo di gioco non ti puoi permettere di essere tenero. Ricordo molto bene il timore che incutevo. E quando incuti paura nel prossimo ti sembra che non ci sia niente di meglio oltre quello. Ho capito di non volere più che gli altri mi temano.

Voglio che mi rispettino, certo, ma per ciò che oggi sono veramente.

 

Scritto da Davide Testa, articolista, blogger de La Gomma del Ponte, curatore de Le Storie Più Piccole Del Mondo